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Questo testo fa parte della raccolta Poesie inedite (Pellico)


LE PROCESSIONI.





Vexilla Regis prodeunt.

(Eccl. hymn.).



               Dolce è l’aspetto
                    De’ templi santi,
                    Dove tra faci
                    4Sfolgoreggianti,
                    Dove tra incensi,
                    Dove tra canti
                    Di Dio grandeggia
                    8La maestà;

                         Dove al mortale
                    Le sacre mura
                    Tolgono il resto
                    12Della natura,
                    Dove ogni oggetto
                    Ch’ei raffigura
                    Gli dice: « Adora,
                    16L’Eterno è là! »

Nondimeno allorquando dal tempio
     Uscir vedesi l’Onnipotente,
     Tra le mani d’un debil vivente,
     20Pe’ sentieri che tutti calchiam,
          Pare a noi che vieppiù ci sorrida,
     Che vieppiù ci si faccia fratello:
     Per pregarlo un impulso novello,
     24Una nova speranza sentiam.

Egli è il Re che diffondersi brama,
     Che pacifico vien dalla reggia,
     Che fra i sudditi amati passeggia,
     28Che lor volge parole d’amor:
          Egli è il padre che visita i figli,
     Che s’appressa a ciascun de’ lor petti,
     Che lor mostra quant’ei si diletti
     32Di cercarli, di starsi fra lor.

Oh nel moltiplicar tuoi benefici,
     Ricca d’industrie amabili e sublimi,
     Religïon che a’ tuoi sinceri amici
     36Con sì söavi grazie amore esprimi!
     Religïon, che pur ne’ tuoi nemici
     A lor dispetto meraviglia imprimi!
     Religïon d’imperscrutati veri,
     40Bella in tuoi grandi lampi e in tuoi misteri!

Splendono innumerati i santi modi
     Con che rammenti agli uomini il Signore,
     Con che il Signor medesmo offerir godi
     44Alla vista de’ popoli ed al core:
     A te non basta in mezzo a preci e lodi
     Sull’ara alzar la diva Ostia d’amore;
     Fuor de’ salubri tu la traggi, e in pie
     48Feste l’elevi per le dense vie.

Perchè iroso talun le venerande
     Processïoni con ribrezzo guata?
     Perchè immagina ei tutta in miserande
     52Cure avvolta la turba ivi adunata?
     In ogni loco, ottusa al Bello, al Grande
     Langue, è ver, più d’un’alma sciagurata,
     Ma gente è pur che il Grande, il Bello ancora
     56Sente con forza, e, quando sente, adora.

           Almo sono, in cui ragione
               Ed amante fantasia
               Tal serbarono armonia
               60Che abbellisce ogni pensier:
                    Chi ragion vuol tutta gelo
               Senza slanci, senza affetto,
               Tarpa l’ali all’intelletto,
               64Non s’innalza fino al ver.
              
          Tutto ciò che santo brilla,
               Che divelle dalla creta,
               Che solleva ad alta meta,
               68Dobbiam credere ed amar:
                    D’infelici sprezzatori
               Non confondaci lo scherno:
               Vile sforzo è dell’inferno
               72Ogni cosa dissacrar.
              
          Quali volge a noi la Chiesa
               Rimembranze in tutti riti?
               Son materni, dolci inviti
               76A speranza ed a fervor.
                    Il Signor quando discende,
               Quando incede in mezzo a noi,
               Chiede amore a’ figli suoi,
               80Chiede e in un largisce amor.

Indelebil mi sei, giorno lontano,
     Allor che in giovenili anni a me stanza
     83Era söave lido oltramontano:
    
Cessava la sacrilega burbanza
     Dalla falsa republica ostentata
     86Contro la dolce degli altar possanza;
    
E l’ardito mortal che, rovesciata
     La licenza volgar, lo scettro prese,
     89Volle che laude fosse a Dio ridata.
    
Da lungo tempo augusta dalle chiese
     Pompa uscita non era d’alternanti
     92Supplici turbe a fervid’inni intese,
    
Ricordavano solo alcuni santi
     Vecchi le amate feste, ove il Signore
     95Passeggiava cogli uomini preganti.
    
Di repente riviver lo splendore
     Ecco di quelle feste a’ Franchi lidi,
     98Ad un cenno del Corso Imperadore.
    
E con gara magnifica allor vidi
     Il popolo esultar, che finalmente
     101Fosser compressi di bestemmia i gridi:

E la città del Rodano opulente
     Sfoggiò tappeti e drappi ed archi e troni
     104Al quaggiù ridisceso Onnipotente.
    
Gioiva la caterva udendo i buoni
     Racconti de’ vegliardi, ed esclamava:
     107« Di novo esser del ciel vogliam campioni! »
    
Intanto ognun con dignità n’andava
     Qua e là per le strade brulicando,
     110O a’ pensili balconi susurrava,

Lo spettacol santissimo aspettando.

                             ................

112Del cannone il fragor nuncio prorompe,
     E da ogni parte ecco seguir silenzio;
     La procedente pompa in quell’istante
     Prese le mosse avea del tempio. E oh quale
     116In tutta quella turba apparìa senso
     Misto di gaudio, di stupor, d’ossequio,
     Di terror sacro! E nel quadrivio tutti
     Protendeano la testa, impazïenti
     120D’appagar le pupille in quel sublime
     Intervenir del Re dell’universo

     Tra le infelici vie che de’ mortali
     Cingon le case!
                                        Il cinguettìo s’andava
     124A poco a poco intorno rïalzando,
     Sin che ad un capo della via rifulse
     La prima Croce, è la seguia drappello
     Di devoti cantanti. Allor di novo
     128Regnò silenzio. A quella prima Croce
     Ed al suo stuolo, stuoli altri seguìro,
     Con altre Croci ed elevate insegne,
     E varii ammanti, onde scerneansi varie
     132Affratellanze di civili uffici
     E di sacerdotali. Inteneriva
     Quell’ineffabil mistica armonia.
     Degli aspetti moltiplici, e dell’inno
     136Da tante bocche e tanti cuor sonante,
     E del brillar dell’infinite faci,
     Il pio simboleggianti amor ridesto.
          Bello il mirar là sovra antiche gote.
     140Lagrime di piacer! Là, sovra gote
     Di dolci verginelle e di lor madri
     Lagrime d’agitate alme, ferventi
     Di carità reciproca e di gioia!
     144E là l’ansante genitrice in alto
     Il suo bimbo elevar, sì ch’egli scorga

     La maestà del rito, ed insegnargli
     A riportar la tenera manina
     148Sulla fronte e sul petto e sulle spalle,
     Balbettando la trina alma parola,
     Che de’ cattolici è gloria e salute!
          Poi tragittate le abbondanti schiere
     152Che annunciavan l’Altissimo, ecco un nembo
     Di timïàmi, e fra quel nembo pria
     Vago drappello d’angioli incensanti,
     E fiori per la sacra aura spargenti;
     156Indi — oh spavento! oh amore! — indi Colui
     Che la terra creò, che creò i cieli,
     Che l’uom creò, che all’uom s’unì, e divisa
     Dell’uom l’ambascia, il consolò e redense!
          160A cotal vista l’adorante folla
     Genuflessa cadeva, ed i singhiozzi
     Udii di molti che dicean: « Signore,
     » Pietà di me che te cotanto offesi,
     164Ed ammenda desìo! »
                                                    — Stava fra i mille
     Colà prostrato un giovane infelice,
     Ch’empio non era stato, e sempre in core
     D’amor favilla avea per Dio nodrita,
     168Ma pur sovente dal demòn superbo
     Delle dubbiezze invaso avea lo spirto.

     E certo le dubbiezze eran flagello
     Da Dio permesso, perchè umìl non era
     172Di quel giovin lo spirto, e si credea
     D’altissima natura, atto all’acquisto
     D’ogni saper cui non s’aderge il volgo;
     E lungh’ore ogni dì sedea solingo
     176Fra libri ottimi e pessimi, e scrutava
     La verità — dimenticando spesso
     D’invocarla dal ciel. Ma in quel gran giorno
     Dell’adorabil pompa, in quel momento
     180Che a mille a mille si prostràr gli astanti,
     Ed anch’egli prostrossi; il giovin, pieno
     Poco prima di tenebre, una luce
     Vide novella, e umilïò l’altero
     184Intelletto con gioia, e senza orgoglio
     Fu per più giorni e immacolato e forte.
          E quando quell’audace irrequïeto
     Tornava a’ suoi deliri, investigando
     188Con indagin profana alti misteri,
     Scontento si sentiva e sen dolea;
     Ed in sè di quel giorno Lugdunense
     La ricordanza ridestava, in cui
     192S’era con fede innanzi a Dio gettato;
     E tale avventurosa ricordanza

     Lui consolava, e gli rendea sovente,
     Od accresceagli della fede il raggio!
     
                                  ................
     
     V’amo, o Processïoni! e v’amo tutte,
          Pubbliche preci dalla Chiesa alzate
          198Ad inforzarci in perigliose lutte!
         
     Io son quell’un, che da dubbiezze ingrate
          Afflitto in gioventù, pur vi cercai,
          201Ed hovvi schiettamente indi onorate.
     
     E non sol nelle feste, ove, i suoi rai
          Nascondendo, intervien l’Ostia divina,
          204D’indicibil dolcezza io m’esaltai;
     
     Ch’ovunque l’uom pregando pellegrina
          Affratellato al suo simile e canta,
          207Sento un poter che a Dio mi ravvicina.
     
     Quant’amo l’adunanza umile e santa
          De confidenti nell’amor di Quello
          210Che di bei fiori le convalli ammanta!
     
     Congregati alle miti aure d’un bello
          Mattin di maggio, in copia anzi la chiesa
          213Ecco stan villanel con villanello.

     Ed ecco, il piede innoltran per la scesa
          Giovani donne, e nel tugurio resta
          216L’avola antica alle faccende intesa.
     
     Ed il sacro Pastor move la festa,
          Guidando i parrocchiani in mezzo ai prati,
          219E in mezzo a’ campi e in mezzo alla foresta.
     
     Mirano con dolcezza i germogliati
          Frutti di quel terreno, e pel ricolto
          222Litanïando invocano i Bëati;
     
     E il passegger da lunge dando ascolto
          Alla rustica prece, si commove,
          225Ed anch’egli a pregar sentesi volto,
     
     E forse da mal opra indi si move.
     
                                  ................
     
               Udran certo la prece devota
                    I Bëati che sono appo Dio;
                    L’udrà l’Angel del bosco e del rio,
                    230L’udrà l’Angel del monte e del pïan;
                         E le debili umane parole
                    Commutando in concento divino,
                    Le alzeran fino all’Unico-Trino,
                    234E felice la messe otterran.


               Ma se pur le parole dell’uomo
                    In concento divin commutate
                    Al Signor non salissero grate,
                    238E vibrasse tremendo flagel,
                         La preghiera che alzaro i credenti
                    Infeconda giammai non si fora,
                    Sempre i cor la preghiera migliora,
                    242Sempre l’uom riconcilia col ciel.
          
          E dopo l’anno in cui sole o procella
               Di frutti la campagna han desertato,
               Riedono i contadini in la novella
               246 di maggio al supplicare usato.
               Di sue peccata ognun castigo appella
               L’arsura o i nembi del trist’anno andato;
               Ognun con penitenza più sincera
               250Da Dio depreca tai sciagure, e spera.
          
          Venga a que’ giorni il vate ed il pittore
               Sulla bella collina d’Eridàno,
               E contempli quel quadro incantatore
               254Cui son limite l’alpi da lontano.
               Di bellezza uno spirito e d’amore
               Diffuso è là sui monti, e là sul piano,
               E qui sui poggi, e sui due fiumi, donde
               258Accarezzan Taurin le amabil onde.

          Il vate ed il pittor vedrà un incanto
               A sì bel quadro unirsi novo ancora:
               Escon le forosette in bianco ammanto
               262Da diversi tuguri anzi all’aurora,
               Ed affrettano il passo al loco santo,
               Ove la campanetta suona l’ora;
               Passar indi tra questo albero e quello
               266Vedesi colla Croce il pio drappello.
          
          Pingetemi raggiante dall’Empiro
               Degli Angiol la Regina che sorride:
               Dicesi che talor nel sacro giro
               270Delle Rogazïoni alcun lei vide;
               Dicesi che commossa dal sospiro
               Di quell’anime semplici a lei fide,
               Col divin Figlio i campi benedisse,
               274Nè gragnuola per molti anni li afflisse.
          
                                       ................
          
                    E belle son le supplici
               Pompe di penitenza in alto lutto,
               Quando da morbo orribile
               278A gran terrore un popolo è condutto.
          

                    Per alcun tempo attonite
               Portano le cittadi il flagel rio,
               Indi, poichè ogni provvida
               282Arte inutile appar, volgonsi a Dio.
              
                    Ed allor sorgon uomini
               Per eloquenza e santo cor sublimi,
               E con ardir magnanimo
               286Rinfacciano lor colpe ai grandi e agl’imi.
              
                    Della rampogna ridere
               Vorrìa il perverso, e già il malor lo afferra:
               Jeri con vil tripudio
               290Opprimea l’innocenza, oggi è sotterra.
              
                    Prendon la Croce gli umili,
               E più d’un già superbo anche la prende,
               E il penitente cantico
               294Da migliaia di cuori al cielo ascende.
              
                    Religïon fortifica
               Gli animi che depressi avea paura,
               E quindi all’aer malefico
               298Più robusta resiste anco natura.
    

                    Religïon le torbide
               Coscïenze deterge, indi le calma,
               E più efficaci i farmachi
               302Opran nell’uom, qualor pacata è l’alma.
              
                    Accumular prodigii
               Potria certo il Signor, ma senza questi
               Pur con sue leggi solite
               306Sana e protegge chi a ben far si desti.
              
                    Il penitente popolo
               Dopo le preci meno ismorto riede,
               E più costante esercita
               310Sua carità, perchè doppiata ha fede.
          
                                       ................
          
          Ed allor men sovente abbandonati
               312Van gli egri da’ famigli e da congiunti;
               E più d’un egro che di duol perito
               Fora per l’abbandon, s’altri l’aiuta,
               Forze ritrova, e più del morbo i dardi
               316A lui non son mortiferi. In tal guisa
               Scema la strage a poco a poco, e cessa.

                    Ah! in questi miseri anni Europa invasa
               Dall’indica per l’aer corrente lue,
               320Quanta per ogni loco alzar dee lode
               A te, Religïon! Dove i più ardenti
               Soccorritori delle inferme turbe?
               Eran color che a beneficio spinti
               324Venìan da fede! Eran le pie fanciulle
               Vincolate da voto a farsi ovunque
               Ancelle de’ languenti! Eran dell’are
               Degni ministri! Erano illustri o scuri
               328Concittadini che schernir solea
               La vigliacca empietà, perchè prostesi
               Sovente all’are onde traean virtude!
               E te fra tanti ardimentosi egregi,
               332Ottogenario Vescovo, annovrava
               La nostra Cuneo dianzi, a’ più tremendi
               Lunghi giorni di morte e di spavento!
                    Te col drappello de’ tuoi forti amici
               336Cingeano indarno gli ululi codardi,
               E i turpi esempli di color che aïta
               Negavano a’ giacenti! Impallidìa,
               Ma per alta pietà, non per paura
               340La vostra fronte, ed al pallor gentile
               Succedea sulle guance il nobil foco
               Della vergogna per l’altrui fiacchezza.

                    E quando truce cova, e già scoppiando
               344Va in queste Taurinensi aure la lue,
               Chi a’ bisogni provvede e rischi affronta,
               E sprona, e gare generose incìta?
               Alme prodi son desse, a cui ben nota
               348Religion senno e costanza infonde!
               E fra tali, io con giubilo un amico
               Vidi primo scagliarsi all’ardue cure
               Che salvaron la patria; e fra i gagliardi
               352Che il seguitavan, godo altri a me cari
               Scorgere e benedire, e vieppiù amarli!
               
                                            ................
               
                    Ma il dolor pur rammentiamo
                         D’altre turbe supplicanti:
                         Stirpe misera d’Adamo,
                         357Numerar chi può tuoi pianti?
               
                                            ................
               
                                   Più d’una volta
                                        Furon vedute
                                        Disperar quasi
                                        Della salute
                                        Assedïate:
                                        363Degne città.

                                             L’oste che i muri
                                        Ivi circonda;
                                        Desolò questa
                                        E quella sponda;
                                        Scevra si vanta
                                        369D’ogni pietà.
               
                                   Pubbliche preci
                                        La Chiesa intìma,
                                        Anzi agli altari
                                        Ciascun s’adìma,
                                        Indi procede
                                        375Ignudo il piè.
                                             La mescolanza
                                        Del lor dolore,
                                        Del loro grido
                                        Al Salvatore,
                                        In tutti i petti
                                        381Cresce la fè.
                                 
                                   Dopo la pompa
                                        Il capitano
                                        Ripon sull’elsa
                                        L’ardita mano,
                                        Ed ispirato
                                        387Snuda l’acciar.

                                             « Chi di voi sente
                                      » Iddio, con noi?
                                      » — Tutti il sentiamo! »
                                        Sclaman gli eroi.
                                        Apron le porte,
                                        393Vanno a pugnar.
                                 
                                   Scossa, atterrita
                                        L’oste nemica,
                                        A ripulsarli
                                        Mal s’affatica;
                                        Già si scompiglia,
                                        399Si dà a fuggir.
                                             Mai non è vinto
                                        Chi vincer crede:
                                        Negl’irrompenti
                                        Opra la fede:
                                        Salva è la patria
                                        405Presso a perir!
                  
                                            ................


                                   Chi son que’ feroci
                                        Che d’Asia partiti,
                                        Di tutto Occidente
                                        Percorrono i liti?
                                        Rapinan, devastano
                                        411Campagne e città.
                                             Il lor capitano
                                        È demone od uomo?
                                        Da niuna possanza
                                        Giammai non fu domo.
                                        Flagello di Dio
                                        417Nomar ei si fa.
                                      
                                   Le Slaviche terre,
                                        Le terre Tedesche
                                        Sopportan sue stragi,
                                        Sue luride tresche;
                                        Le Gallie lo veggono
                                        423Sovr’esse piombar.
                                             Ma il barbaro in mezzo
                                        Al sangue, alle prede
                                        Non gode, se Roma
                                        In polve non vede;
                                        Ed eccol dall’Alpi
                                        429Furente calar.

                                   Qual possa di braccio
                                        Avria soffermato
                                        Chi tanto al suo ferro
                                        Già avea soggiogato?
                                        Qual gente dal Tevere
                                        435Incontro gli vien?
                                             Un duce canuto,
                                        Magnanimo, forte,
                                        Non forte di schiere
                                        Datrici di morte;
                                        La sola sua fede
                                        441Il guida, il sostien.
                                  
                                   Quel duce vestiva
                                        D’Apostolo il manto;
                                        Portava in sue mani
                                        Il Re sempre Santo;
                                        E folto seguialo
                                        447Pregante drappel.
                                             Ed Attila, fero
                                        Flagello di Dio,
                                        Innanzi agl’inermi
                                        Tremò, impallidìo,
                                        E disse: « Non voglio
                                        453» Pugnar contro il Ciel! »


                                   Perchè retrocesse
                                        Con tanto spavento?
                                        Vid’ei nelle nubi
                                        Un vero portento,
                                        O tutto il prodigio
                                        459Oproglisi in cor?
                                             Dicevano gli Unni
                                        Con rabida voce:
                                        « Per quale incantesmo
                                        « Ci vinse la Croce? »
                                        Ed Attila urlava:
                                        465« Fuggiamo il Signor! »
               
                                            ................
               
               Ah! dolce siami ricordarmi ancora
                    Processïoni d’altri cuori amanti,
                    468Volte a far sì ch’uom santamente mora;
               
               Allorquando a’ fratelli doloranti
                    Sovra il letto di morte vien portato
                    471Quel Dio che si commove a’ nostri pianti.
               
               Brama la Chiesa intorno a sè adunato
                    Stuolo di figli allora, ed indulgenza
                    474Materna a chi l’accorra ha pronunciato.

               Per le vie con sollecita frequenza
                    Suona la nota squilla annunziatrice
                    477Di quel mister d’amore e sapïenza.
               
               E già la donnicciuola, osservatrice
                    De’ pii dettami, il suo lavor sospende,
                    480E prega per l’incognito infelice,
                   
               E lascia l’officina, e il passo tende
                    Con altri umili artieri al loco santo,
                    483E il cereo appo l’altar ciascuno accende.
               
               Ivi ad artieri e a donnicciuole accanto
                    S’inginocchiano tai, che più cortese
                    486Hanno il contegno e le sembianze e il manto.
                   
               Il vario grado qui sparisce; intese
                    Tutte quell’alme al Re del Ciel si stanno,
                    489Che in man dell’uom dalla sua gloria scese.
               
               Sostegno quattro fidi ecco si fanno
                    Al padiglion, sotto cui l’Ostia viene
                    492Riparatrice dell’eterno danno.
               
               Escon del tempio, e in meste cantilene
                    Salmeggiano il bel carme in che il Profeta
                    495Reo si chiamava, ed estollea sua spene.

               All’ansio mover della schiera è meta
                    Il tetto di fratello o di sorella,
                    498Cui forse morte è già da Dio decreta.
               
               E talor quell’afflitta anima in bella
                    Giace magion, che al volgo ivi stupito
                    501Rammemoranza d’alte gioie appella.
               
               Allor più d’un fra gl’infimi è colpito
                    Dal sentir ch’è pur cosa egra e mortale
                    504Uomo a sorti sì splendide nodrito.
               
               E tra sè dice: « Ai fortunati oh quale
                   » Stolta invidia portai, se tutti dee
                   507» Involver duolo ed esterminio eguale! »
                   
               E mentre le atterrite alme plebee
                    Il vil livor depongono, e commosse
                    510Pregan per lui che l’ultim’ aure bee,
                   
               Con dolcezza rammentan com’ei fosse
                    Modesto in sua possanza, e come pure
                    513L’altrui miseria a pietà sempre il mosse.
               
               Ovver tristi rammentan le pressure
                    Ch’oprate lunghi giorni ha il vïolento,
                    516Insultando degl’imi alle sventure.

               Lagrime versa quei di pentimento,
                    E scorge di perdon raggio felice
                    519Entro al cor ricevendo il Sacramento:
               
               E a sè d’intorno mira e benedice
                    La carità di quella pia congrèga,
                    522Che i torti obblìa dell’alma peccatrice,
                   
               E pel suo scampo sempiterno prega.
               
                                            ................
               
          524Chi sì fredda laudar mente potrìa
               Sì del bello avversaria e del sublime,
               Che la potenza non ammiri ed ami
               Del gran mister? Mentre all’infermo è data
               528Per patire o morir forza oltr’umana,
               Uno spirto di serii pensamenti
               E di mutua pietà gli astanti afferra;
               E ciascun dal palagio ov’oggi han regno
               532Le dolorose infermità e la morte,
               Riede a sue ricche sale, o al suo tugurio,
               Più memore del cielo e più benigno.
                    Nè spettacol men alto è quando tragge
               536Il Pan celeste al miserando letto
               Dell’indigenza. Fra lo stuol seguace

               Dell’adorabil visita divina,
               Donna s’annovra illustre e generosa,
               540Ben conscia già di luride scalee
               E di covili ov’han mendici albergo.
               Ed ella dietro al Salvatore ascende
               Alla povera stanza; e gentilmente
               544Del suo splendido stato si vergogna,
               Ed aïtar tutti vorria gli afflitti.
                    Egra giace una vedova, ed intorno
               Lagrimosi le stanno i figliuoletti
               548Della fame dimentici, e accorati
               Sol perchè temon pe’ materni giorni.
                    Della Comunïon pur non vorrebbe
               Questa mirarli nel solenne istante;
               552Pensar vorrebbe solo a Dio; ma gli occhi,
               Pensando a Dio, ricadon sovra i figli,
               E s’empiono, di pianto. ― « Oh figli miei!
               » All’infrenabil mio materno lutto
               556» Deh non badate, e voi consoli Iddio!
               » A lui vi raccomando: ei padre ognora
               » Fu de’ pupilli derelitti; piena
               » Fiducia abbïate in lui! » Così l’inferma
               560Geme ed abbraccia ad uno ad uno i cari;
               Poi, vinta dall’angoscia, obblia di nuovo
               La voluta fiducia, e per delirio

               Lamentosa prorompe: « Oh delle mie
               564» Viscere amati frutti! ov’è chi prenda
               » Cura di voi, quand’io sarò sotterra?
               » — Per mezzo mio li aiuterà il Signore! »
               Dice l’illustre donna ivi prostrata;
               568E s’alza, ed alla vedova giacente
               Le braccia stende, e al sen la stringe; e questa
               Effonde il core in voci alte di gioia,
               Dicendo: « Io moro consolata! a’ figli
               572» Che in terra lascio, resterà una madre! »
                    Io vidi, io stesso un giorno in mezzo a’ campi
               Avvïarsi la visita d’Iddio
               A povera magion. Seguii la turba,
               576Per l’infermo pregando, e quell’infermo
               Canuto essere intesi agricoltore
               Presso al centesim’anno. Ove giacea
               L’onorato vegliardo? In una stalla!
                    580A manca erano i buoi; spazio bastante
               Libero stava a destra, e un letticciuolo
               Ivi il padre capìa della famiglia.
               E in quella stalla il Creator del mondo
               584Entra a soccorrer l’uomo! ad onorarlo!
               A nutrirlo di sè! tanto è il prodigio
               Dell’umiltà divina, o tanto agli occhi
               Del Crëator sublime cosa è l’uomo!

               588Ah! ben desso è quel Dio che in una stalla
               Nascer degnava, e palesar che in pregio
               Gli era il mortal, non per potenza ed oro,
               Ma per l’umana sua nobil natura!
                    592Oh mirabile vista quel languente
               Che dal guancial la testa sollalzava,
               Bella per bianche chiome, e pel sorriso
               Della pace di Dio! mirabil vista
               596L’atto in cui della debil creatura
               Cibo si fa il Signor! Chi non di dolce
               Stilla bagnate aver potea le ciglia,
               Ripetendo le preci? — E la pietosa,
               600Ond’or parlai, che della vedov’ egra
               L’oppresso spirto avea racconsolato,
               Non è del vate invenzïon. Mi stava
               Quell’angelica donna appunto a fianco
               604Or nella stalla del canuto. E quando
               Il Sacerdote retrocesse, allora
               Sorse l’egregia, e avvicinossi al letto,
               E favellò non so quai detti al vecchio,
               608E nelle antiche palpebre io vedeva
               Gratitudin rifulgere e contento.
          
                                       ................


               Ma non così pacifiche
                    Sempre si volgon l’ore
                    Al figlio della polvere,
                    613Quando patisce e muore.
             
               Colui tre volte misero
                    Che in suoi peccati è spento,
                    Di cui la gente mormora:
                    617« Non ebbe il Sacramento! »

                             ................

     Assai meno, assai meno infelice
          Di chi muor senza luce d’ammenda
          È colui che da legge tremenda
          621Vien dannato a precoce morir!
               Fur gravissimi forse i delitti
          Che macchiaron la vita del tristo;
          Ma piangendoli a’ piedi di Cristo,
          625Spera in ciel perdonato salir.

                             ................

Ed anco a tal dannato a fera morte
     Religïon moltiplica sua cura:
     Ella sola al gran passo il rende forte,
     629Che vinta da terror fora natura.
     Arrivato d’un tempio appo le porte
     Perchè il fermano? Oh ciel! che raffigura?
     Dall’altar mossa l’Ostia avvivatrice,
     633Conforta ancor la vittima infelice.

E la vittima piange benedetta
     L’ultima volta dal Signore in terra,
     E con più vigoroso animo accetta
     637La fune onde il carnefice la serra:
     Che è mai la morte al misero che aspetta
     Grazia colà, dove non è più guerra?
     Ch’è mai la morte all’uom quaggiù imprecato,
     641Se Iddio gli dice in cor: « T’ho perdonato! »

                             ................

          Le varie pompe tutte
     Uopo non è che annovri il verso mio,
     Onde sovente addutte
     L’anime sono a rammentarsi Iddio,
     E onde abbelliti vanno
     647Di vita il corso ed il postremo affanno.


          Io tutte v’amo, quante
     Istituì la provvidente Chiesa
     Processïoni sante!
     Sol per la mente a basse cose intesa,
     Il senno dell’altare
     653Non benefizio, ma stoltezza appare.
    
          Io v’amo, o pompe! ed amo
     Pur la più mesta; quella in cui giacente
     Nel feretro seguiamo
     Il simil nostro, che di nobil ente
     Sulla terra mutossi
     659In carne data a’ vermi e in poveri ossi.
    
          Oh commovente gara
     Il congregarsi ad onorar per via
     La sventurata bara!
     L’alzare ancora in funebre armonia
     Un voto pel fratello,
     665Di cui le spoglie inghiottir dee l’avello.
    
          Soleasi a’ dì lontani,
     Che barbari a ragion forse son detti,
     Ed in cui pur gli umani
     Portavan reverenza a’ begli affetti,
     Soleasi da’ congiunti
     671Pianto sacrar solenne a’ lor defunti!

          Mutò la degna usanza,
     E quando un genitor serrato ha il ciglio,
     Più intorno non gli avanza
     Nè la consorte, nè un diletto figlio:
     Decenza impone a questi
     677Sgombrar lochi per morte oggi funesti.
   
          Ah! ben più venerando
     Era a’ tempi de’ barbari il compianto
     Delle famiglie, quando
     I figliuoli mescean lagrime e canto,
     Venendo primi dietro
     683All’orribile e in un caro ferètro!
   
          Fretta mi par non pia
     Il fuggire un amato, appena e’ muore;
     Il non voler qual sia
     Prova a lui dar di pubblico dolore:
     Ma ben è ver, che ascoso
     689Pur gronda il pianto — e spesso è più doglioso!
   
          Se quei che vincolati
     Son per sangue col morto, alla gemente
     Pompa non son restati,
     Folta dietro la bara è pur la gente:
     Misto al terror, v’è un forte
     695Amor nell’uom per l’alta idea di morte.

          Chi vive puro, i grandi
     Proponimenti inforza a quella vista,
     E chi traea nefandi
     I giorni suoi, sogguarda e si contrista:
     D’ognuno a tal pensiero
     701Scossa è la mente e richiamata al vero!

                             ................

Ma poichè il più giulivo e il più dolente
     Fra quanti riti a noi la Chiesa espone,
     Ha in sè di grazia spirto onnipossente,
     705Che al cor favella ed a virtù dispone,
     Star giammai non si vegga ivi il credente
     Col vil sorriso che a bestemmia è sprone:
     Ne’ templi e fuor de’ templi ogni atto pio
     709Puote e debbe nostr’alme alzare a Dio.

V’amo, o pompe divine! e prego il Cielo
     Ch’io mora in patria ove sien usi santi,
     Ove alla tomba il mio corporeo velo
     713Dato non sia da ignoti o da sprezzanti,
     Ma pochi amici con pietoso zelo
     Seguano la mia bara salmeggianti,
     E valga sì de’ lor sospiri il merto,
     717Che tosto siami il sommo regno aperto!


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