< Le Selve Ardenti
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Capitolo X
La resa
IX XI

Capitolo X.


La resa.


Sarebbe stato forse meglio che le belve avessero continuato da sole l’assedio della grande caverna degli Atabask, poichè finchè c’erano delle mummie da bruciare, grandi pericoli non esistevano, avendo tutti gli animali troppa paura del fuoco.

Cogl’indiani la cosa si aggravava improvvisamente, senza che le carcasse degli Atabask potessero servire gran che.

— Siamo presi! — aveva esclamato rabbiosamente John, gettando a terra la parrucca. — Per riavere la mia capigliatura io vi ho stupidamente perduti.

— Non siamo ancora fra le grinfie di quella vecchia scimmia che si chiama Nube Rossa — gli disse Harry, il quale vedeva le cose sempre dal loro lato buono. — Prima che i Sioux entrino, dovranno fare i conti coi nostri rifles; non è vero, signor Devandel?

— Parrebbe anche a me — rispose il capitano, scaraventando sul fuoco un’altra carcassa degli Atabask. — Delle munizioni ne abbiamo ancora, perchè possiamo contare su quelle di Sandy-Hook e di quel pazzo di lord. —

John scrollò la testa.

— Quanto la potremo durare? — chiese poi. — Noi siamo in quattro, mentre gl’indiani che ci stringono addosso, Dio sa quanti sono.

Quel cane di Nube Rossa non sarà qui venuto con un araldo ed un sonatore di flauto.

Saranno in buon numero, ve lo assicuro io. Ora che sanno chi siamo noi, faranno degli sforzi supremi per darci nelle mani della Scotennatrice.

Maledetta donna! Abbiamo avuto torto a non gettarla nel Lago Salato quand’era ancora bambina. —

Quattro o cinque colpi di fucile rimbombarono al di fuori, ed i proiettili attraversarono la gran sala.

Uno colpì la lampada, ma la luce misteriosa continuò a brillare. Ci voleva forse il cannone per ispegnerla!

I quattro assediati si gettarono prontamente indietro e imbracciarono le carabine.

Ne avevano due di ricambio: una era del bandito, e l’altra a due colpi veramente magnifica, era del lord.

— Si può rispondere? — chiese Harry, il quale cominciava a mostrarsi nervoso.

— Nessuno vi trattiene — rispose l’indian-agent.

Il signor Devandel, che aveva caricata la carabina di lord Wylmore fece un segno come per arrestarli, poi si cacciò coraggiosamente in mezzo al fumo che eruttavano le mummie dai loro ventri squarciati.

Due spari rimbombarono, seguiti da due urli. Il piombo dell’inglese aveva morso.

— Oh se avessero toccato Nube Rossa! — esclamò John, digrignando i denti. — Ma non sarà così perchè quella vecchia scimmia ha sempre avuto troppa fortuna.

Se potrò, lo attaccherò a coltellate, e vedremo se la sua pelle resisterà alla punta della mia navaja.

Disgraziatamente sarà lui che prenderà me per regalare a sua figlia la mia parrucca! —

A sua volta si cacciò in mezzo al fumo ed alle scintille e lasciò partire un colpo. —

Nessun grido rispose alla detonazione.

L’indian-agent si passò una mano sulla fronte già coperta di sudore, e serrando i denti sibilò:

— Che non sappia più uccidere i vermi rossi? La maledizione di Dio è piombata dunque su di noi inesorabile? —

Una scarica terribile attraversò la barriera di fuoco. Venti o trenta fucili avevano sparato insieme, scaraventando entro il salone un turbine di piombo.

Per la seconda volta la lampada misteriosa fu colpita, eppure la luce continuò a scintillare sempre eguale, limpida come un grande globo di luce elettrica.

— Giù mummie, giù! — comandò John. — Quante ne rimangono?

— Più di cento ancora, — rispose Harry. — Ma vi sono parecchi ragazzi.

— Bruceranno anche quelli, e finchè le vampe chiuderanno il passaggio, le pelli-rosse non oseranno farsi innanzi. Non sono salamandre, per centomila corna di bisonte! —

Altre dieci o dodici carcasse di sakems e di principini furono scaraventati contro la pietra, sollevando fiamme enormi, gigantesche.

La corrente, che saliva dalla cascata, sempre impetuosissima, respingeva il fumo verso la gradinata, minacciando di soffocare gli assedianti.

Gl’indiani, furiosi di non poter montare all’assalto coi loro tomahawks in pugno, sprecavano inutilmente i serbatoi dei loro wynchesters.

Il piombo fischiava attraverso l’immensa sala scrostando qua e là le pareti e rimbalzando sulle masse di granito che formavano la vôlta.

John, il signor Devandel ed i due scorridori rispondevano lentamente, tenendo molto alle loro munizioni.

La grande tavola di pietra gettata attraverso la porta era più che sufficiente a proteggerli. D’altronde il fumo sprigionato dalle mummie li rendeva quasi invisibili.

Per più di un’ora le carabine e i fucili a ripetizione degl’indiani tempestarono la caverna; poi la voce rauca di Nube Rossa si fece novamente udire.

— È tempo che gli uomini bianchi si arrendano. Se non lo faranno subito, noi li priveremo delle loro capigliature sul posto. —

L’indian-agent rispose:

— Come Toro Seduto rispondeva al generale Crook, che gl’imponeva la resa, così io rispondo a te, vecchia pelle: «Vieni a prenderci».

— Voi siete pochi e noi siamo molti, e mia figlia ha cinquecento guerrieri accampati sulla riviera del Lupo — rispose il sakem dei Corvi.

— Se siamo pochi, siamo valorosi, ed armi e munizioni ne abbiamo per rispondere al tuo fuoco. Sono venticinque anni che noi lottiamo con te, vecchia pelle, e siamo ancora vivi.

— Ma hai lasciata la tua capigliatura nelle mani di mia figlia Minehaha fra le montagne dei Laramie.

— Ed io ho preso la capigliatura della grande Yalla, di tua moglie, sulle rive del torrente delle sabbie, e poi l’ho uccisa. —

Un urlo di belva ferita lacerò l’aria. Il vecchio sakem dei Corvi era stato colpito in pieno petto dal ricordo di quella terribile vendetta che l’aveva reso vedovo della più bella e della più valorosa indiana di tutte le tribù dei Sioux.

— E così, vecchia pelle! — chiese John dopo un istante di silenzio.

— Avrò la tua vita! — urlò Nube Rossa.

— Vieni a prenderla. —

Harry ed il capitano avevano gettato nel frattempo altre mummie attraverso la porta, sviluppando nembi di fumo così pestiferi, che nemmeno le pelli-rosse osavano affrontarli.

Giorgio invece aveva fatta una visita alla rotonda ed era riuscito a scovare dentro un grosso vaso d’argilla due dozzine di tortillas di maiz ed una fiasca piena di un certo liquore, che doveva essere della pessima acquavite dei trafficanti di prateria.

— Abbiamo ancora lo zampone d’orso, più o meno arrostito, poco importa — disse il bravo scorridore. — Per ora adunque non c’è pericolo di morire di fame. —

Gl’indiani, furiosi di aver ricevuto una risposta negativa e di trovarsi sempre dinanzi quel bracere asfissiante che lanciava lingue di fuoco e colonne di fumo in tutte le direzioni, avevano ripreso a sparare, sprecando inutilmente le loro munizioni, poichè i quattro assediati, difesi anche dalla grossa tavola di pietra, non potevano correre pericolo alcuno, almeno finchè le mummie non venivano a mancare.

— Lasciamoli divertirsi! — aveva detto l’indian-agent ai suoi compagni, mentre Giorgio tagliava tranquillamente lo zampone d’orso e le tortillas, niente affatto spaventato da quella furiosa fucileria che non riusciva nemmeno a scrostare le massicce muraglie della grande caverna. — Abbiamo ancora delle mummie da bruciare e delle palle da mandare a destinazione. —

Si ritirarono dietro la parete di destra della porta, e cenarono tranquillamente, quantunque non troppo abbondantemente, poichè volevano fare economia dei viveri.

Quell’assedio poteva prolungarsi, Sandy-Hook poteva ritornare tardi alla testa degli americani, quindi la più elementare prudenza consigliava a diventare economi.

Il fuoco delle pelli-rosse non aveva cessato, ma non tiravano più all’impazzata.

Erano un paio di colpi ogni minuto, seguiti da una scarica di fucili a ripetizione, la quale non toglieva affatto l’appetito agli assediati.

La notte intanto era scesa, una notte tempestosa che non prometteva nulla di buono a coloro i quali si trovavano all’aperto.

Un vento fortissimo fischiava o mugolava fra le piante, e larghi fiocchi di neve turbinavano.

In lontananza, sulla penisoletta, le coyotes, che le pelli-rosse avevano sdegnato distruggere, urlavano lamentosamente.

Nella grande sala la lampada misteriosa brillava più viva che mai, proiettando in tutte le direzioni la sua fredda luce azzurrognola.

Dinanzi e dietro la pietra, le carcasse dei sakems degli Atabask e delle loro mogli continuavano a crepitare e scoppiare, lanciando lunghe lingue di fuoco.

— Signor Devandel, — disse John appena terminata la cena — che cosa ne pensate della nostra condizione? —

Il capitano accese tranquillamente la pipa si coricò alla distanza di tre metri dalla pietra, colla carabina a due canne di lord Wylmore, e poi disse:

— Mi pare che gli affari non vadano troppo bene, mio caro John. Le mummie spariscono con rapidità spaventevole, e se dovremo continuare, domani sera non avremo più nemmeno un marmocchio degli Atabask.

— È vero, signore, — rispose l’indian-agent, con voce un po’ cupa. — Gli affari vanno male. Eppure dobbiamo resistere ferocemente fino al ritorno di Sandy-Hook!

— E credi tu che quell’uomo si occupi di noi?

— Sì, signor Devandel. È stato un tempo un grande furfante, ma ora fa il possibile per diventare un uomo onesto.

— Uhm!

— Lo abbiamo già provato, capitano.

— Non dico di no; ma se si fosse annegato nella traversata dell’ultima rapida?...

— Noi non abbiamo ancora le prove della sua morte, e poi quei briganti si salvano sempre.

Io sono sicurissimo che a quest’ora galoppa disperatamente verso il campo americano.

— In camicia?

— Aveva una capanna e dei cavalli sull’altra sponda della riviere del Lupo!

— È vero. E lord Wylmore?

— Che il diavolo si porti quel pazzo! Se si è annegato, credo che nessuno lo piangerà nè in America, nè in Inghilterra.

— Sono della tua opinione — rispose sorridendo il signor Devandel. — È un vero maniaco più che un originale.... To’! Questi indiani cominciano a diventare noiosi. Quante mummie abbiamo ancora?

— Ottantasette, signore, ― disse Harry. ― Le ho contate in questo omento.

— Pochine.

— Bruciano come fiammiferi! Hanno messo nei loro ventri troppa resina e troppa canapa.

— Ba’, aspettiamo! Chi sa che quell’allegro brigante non giunga in tempo per salvare le nostre capigliature.

— Corpo di un bove sventrato e salato! — esclamò Giorgio il quale tormentava il grilletto della carabina. — Che Nube Rossa abbia fatto un patto con Manitou per campare cent’anni. È il terzo colpo che sparo colla speranza di mandarlo a cacciare nelle praterie celesti, e senza alcun resultato.

— Risparmia per più tardi le munizioni — gli disse John, il quale gli si era sdraiato al fianco. — Si tengono nascosti dietro gli alberi quei bricconi. Sanno che siamo abilissimi tiratori e non si fanno vedere. —

Il fuoco continuava da parte degli assediati, ma non molto violento. Sparivano più per impedire agli assedianti qualche colpo di testa, che colla speranza di colpirli, perchè le palle si schiacciavano contro la grossa tavola di pietra o contro le reti.

Durante la notte, il signor Devandel e l’indian-agent si erano recati nella rotonda per vedere se da quel lato fosse possibile la fuga, ma non si sentirono in grado di sfidare le onde furiose della rapida, anche perchè essendo il freddo aumentato, enormi lastroni di ghiaccio rovinavano fra le rocce, e rompendosi facevano scoppii come bombe.

— Sarebbe la morte per tutti noi! — aveva detto John, che si era recato nella rotonda dopo le due del mattino. — Quei ghiacci ci fracasserebbero in mezzo alle rocce.

— È vero, — aveva risposto il capitano. — Sandy-Hook e lord Wylmore hanno avuto più fortuna di noi. La nostra salvezza sta nelle mummie e nei nostri rifles. —

E per la quinta volta, ma non troppo allegri, erano tornati dietro la tavola di pietra, dove le mummie continuavano a fumare e crepitare.

La fucileria delle pelli-rosse era cessata. Avevano ormai compreso i rossi guerrieri che senza un furioso assalto coi tomahawks, dopo cessato il fuoco, non sarebbero riusciti ad espugnare la grande sala degli ultimi discendenti degli Atabask.

L’alba spuntò senza che le condizioni fossero cambiate.

Non rimanevano che cinquanta mummie e delle più piccole poichè la maggior parte erano di principesse e di giovani, vale a dire di futuri sakems.

Gl’indiani che avevano forse dormito tranquillamente sulle loro pelli di bisonte, infischiandosene del freddo intensissimo, colle prime luci del giorno avevano ripreso a sparare, ma a casaccio, poichè il fumo delle mummie era così denso, che essi vedevano a malapena la porta dell’immensa sala.

I due scorridori, l’indian-agent ed il signor Devandel, per far capire agli assedianti che non avevano nessuna voglia di mettere le loro capigliature nelle mani di Nube Rossa o di Minehaha, avevano risposto, di quando in quando, con qualche colpo di rifle, ma senza risultato apprezzabile, poichè gl’indiani si tenevano ostinatamente al riparo dei grossi tronchi d’acero che si stendevano, come un magnifico viale, attraverso l’istmo. Alle dieci del mattino non rimanevano che venticinque mummie e le trombe della cavalleria americana non echeggiavano ancora sulle rive del fiume del Lupo.

Una cupa disperazione si era a poco a poco impadronita dell’indian-agent.

— Venticinque mummie ancora da consumare, — disse al capitano, il quale pareva che avesse perduto molto del suo sangue freddo e della sua calma consueta. — E poi?

— Daremo battaglia, — rispose il valoroso. — Abbiamo sei carabine ed una a due colpi. Credo che potremo resistere ancora ventiquattr’ore.

— Ma sono molti, signore, gl’indiani. Nube Rossa ne avrà fatti venire degli altri. Sono in cinquecento i Sioux che emigrano, e sono tutti scelti fra i più valorosi. Le donne e i fanciulli li raggiungeranno forse più tardi, quando avranno raggiunta la frontiera del Dominio inglese.

— Saremo dunque costretti a capitolare?

— Tutto dipende da Sandy-Hook.

— Io non ho mai avuta alcuna fiducia in quel bandito.

— E forse v’ingannate, signor Devandel. Gli americani possono essere ancora lontani, e con queste nevicate i loro cavalli non potranno giungere in ventiquattro ore.

Chi sa? Aspettiamo? —

A mezzogiorno non vi erano che quindici misere mummie e le pelli-rosse sparavano furiosamente come se avessero ricevuto un carico di munizioni.

Erano palle perdute, è vero, non di meno inquietavano assai gli assediati, i quali vedevano scemare con rapidità spaventosa le loro ultime difese.

Invano John tendeva gli orecchi.

Le trombe della cavalleria americana restavano mute. Solamente la rapida faceva udire i suoi ruggiti formidabili, accresciuti dallo spezzarsi dei lastroni di ghiaccio.

Alle una dopo mezzodì le ultime cinque mummie venivano scaraventate sulla tavola di pietra.

Scoppiarono come bombe, crepitarono, lanciarono in aria turbini di fumo fetente e di scintille, e si spensero rapidamente come cinque zolfanelli.

E la tromba della cavalleria americana non aveva ancora squillato di là dalla riviera del Lupo.

Era morto dunque Sandy-Hook? Sull’inglese già nessuno contava più.

Il fumo si dileguava rapidamente. I cranî delle mummie scoppiettavano, e gli stinchi si ritiravano ripiegandosi sui ventri ormai quasi consunti.

Le faville non piovevano più sugli assedianti.

Il signor Devandel si era alzato appoggiandosi alla carabina di lord Wylmore, ed aveva fissati i suoi sguardi su John.

— È la fine, è vero? — gli chiese.

L’indian-agent chinò mestamente il capo.

— La mia capigliatura ormai è perduta da molti anni e adorna lo scudo di Minehaha, — disse poi. — Non potrebbero prendermi che la parrucca formata dai capelli della grande Yalla.

È per voi che io tremo.

— Siamo uomini di guerra! — rispose il capitano. — Ottocento soldati aveva Custer, e tutti furono scotennati, eccettuato uno solo.

Sono cose che succedono ai vivi, mio caro John.

— Anche vostro padre è stato scotennato da Yalla! — disse l’indian-agent con voce commossa.

— Tali sono le guerre delle frontiere. Orsù, il fuoco si spegne e non abbiamo più nessuna altra cosa per alimentarlo. Prepariamoci a morire colle armi alla mano.

— Adagio, signore, — disse in quel momento Harry che era tornato dalla rotonda — abbiamo ancora gli sgabelli delle mummie da consumare e poi una quarantina di pelli di bisonte ben secche, che io ho spalmate di grasso d’orso, avendone scoperto due grossi vasi.

Così il fuoco durerà ancora, e chi sa che intanto la tromba degli americani non vinca i fragori della rapida....

A me, Giorgio! Ho arrotolate tutte le pelli, e non abbiamo che a portarle qui....

E tu, John, fa’ strage di sgabelli. Quel cane di Nube Rossa aspetterà ancora. —

Senza curarsi delle fucilate degli assedianti, che non potevano d’altronde offenderli, il signor Devandel e l’indian-agent fecero raccolta di scanni e li scagliarono a quattro a quattro sugli avanzi delle ultime mummie, rialimentando le fiamme con grande furore di Nube Rossa, il quale credeva ormai giunto il momento di forzare il passaggio.

Harry e Giorgio intanto giungevano carichi come muli di gigantesche pelli di bisonte arrotolate e bene spalmate di grascia.

Ne scaraventarono un paio di là dalla tavola di pietra; e subito quelle vecchie pelli secche da secoli, presero fuoco, scoppiettando come mitragliatrici.

— Ve ne sono altre trentotto, — disse Harry. — Forse potremo resistere fino a stasera.

— E poi? — chiese John, guardando dentro la canna del suo rifle, come se cercasse la soluzione di quel terribile quesito.

— Quel Sandy-Hook del malanno non ci avrà gabbati, io spero.

— Sono cinquanta e più ore che ci ha lasciati.

— Allora si sarà annegato, o l’avranno accoppato sull’altra riva.

Non si può aver sempre fortuna....

Giorgio, pelli! Bruciano come le mummie. —

Gl’indiani, trattenuti sempre da quella barriera di fuoco, che pareva non dovesse cessare più, si sfogavano con continue scariche.

Dopo tre altre ore tutti gli sgabelli erano distrutti insieme con una ventina di pelli.

Il momento terribile si avvicinava. Una lotta non era possibile, poichè dalle grida di guerra che le pelli-rosse di quando in quando lanciavano, gli assediati si erano ormai reso conto del numero dei loro avversari.

Cinquanta tomahawks per lo meno stavano di fronte a loro e pronti a forzare il passo.

Alle sei di sera, quando al di fuori l’oscurità ormai calava rapidissima, le due ultime pelli finivano di consumarsi.

I quattro assediati si erano provati a sparare alcuni colpi che non avevano sloggiato affatto gli assedianti dalle loro posizioni.

Gl’indiani attesero che le ultime scintille si dileguassero e che la grossa tavola di pietra si raffreddasse; poi verso le sette montarono furiosamente all’assalto coi tomahawks in pugno, mandando il loro grido di guerra.

I primi quattro che balzarono dentro il gran salone, che la lampada misteriosa sempre illuminava colla sua luce fredda e tranquilla, caddero fulminati; ma gli altri quaranta o cinquanta piombarono sopra gli assediati ed in un baleno li ridussero all’impotenza, legandoli per bono con dei lazos.

Il vecchio Nube Rossa, che non aveva creduto opportuno esporsi ai colpi di quei formidabili scorridori, entrò per ultimo nella sala con aria altera, facendo dondolare il suo gigantesco ornamento di penne di tacchino selvatico.

Guardò ad uno ad uno i prigionieri, con un sorriso beffardo sulle labbra, e poi disse:

— L’indian-agent, il figlio del colonnello Devandel ed i due celebri scorridori. Benissimo. Li vedremo tutti alla prova del palo della tortura....

Minehaha potrà aggiungere altre quattro capigliature a quelle che già possiede. —

Poi volgendosi ai suoi guerrieri, soggiunse:

— Alzateli, e portiamoli subito al campo. La zattera è sempre arrenata?

— Sì, sakem, — rispose un vecchio guerriero il cui viso era coperto di cicatrici.

— Partiamo! —


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