< Le Selve Ardenti
Questo testo è stato riletto e controllato.
Capitolo XX
La caccia di lord Wylmore
XIX XXI

Capitolo XX.


La caccia di lord Wylmore.


Lord Wylmore, quantunque maniaco e semi-pazzo, non era uomo da spaventarsi per un duello, fosse condotto secondo le regole europee o quelle americane.

Lasciato l’accampamento, si era lanciato nella foresta colla ferma intenzione di mandare una buona palla attraverso il corpo del capitano.

Disgraziatamente per lui, preso dalla sua vecchia bisontite acuta, dopo aver percorso un paio di miglia, si era imbattuto nella mandra di ruminanti, che il signor Devandel doveva incontrare più tardi, ma in minor numero.

Erano più di quattrocento, divisi in due grosse schiere, guidati da vecchi maschi armati di corna imponenti.

L’inglese si dimenticò subito della partita d’onore e si mise in caccia gridando allegramente:

Hip! Hip! Hurrà!

Fiancheggiò la seconda schiera e raggiunse la prima per arrestarla nella sua marcia a colpi di fucile e di rivoltella.

Come si sa, i bisonti, malgrado il loro aspetto terribile e la loro mole veramente gigantesca, sono animali stupidissimi che sì lasciano ammazzare senza rivoltarsi.

E dire che con quelle corna potrebbero benissimo sbaragliare uno squadrone di cavalleggeri e mandare i cavalli a gambe levate!

Solamente nella stagione degli amori i maschi diventano pericolosi e, se vengono disturbati nel loro combattimenti, non esitano un solo istante ad assalire il cacciatore che tenta avvicinarli.

Lord Wylmore, il quale ormai, come abbiamo detto, non pensava più al duello lanciò audacemente il mustano dietro la colonna, mandando grida altissime, sparò una fucilata contro una grossa femmina che si era sbandata, colpendola al cuore.

Il branco, spaventato, si dette alla fuga verso il settentrione, mentre, l’inglese, tutto lieto di quel primo successo, armatosi del suo coltellaccio da caccia e sceso a terra, s’accostò alla vittima ancora boccheggiante.

— Io volerti mangiare lingua — disse — perchè io avere molta fame e briganti non volermi dare zamponi d’orso. —

Le squarciò la gola e s’impadronì, ma non senza fatica, di quel pezzo scelto che tutti gli scorridori di prateria non abbandonano mai ai lupi.

L’inglese appese alla sella il trofeo sanguinante e riprese la corsa coll’intenzione di fare una grande strage di quei pacifici ruminanti.

Se non che il branco si era di molto allontanato e galoppava verso il Missuri coll’intenzione di attraversarlo e di salvarsi a nuoto sulla riva opposta, se non era gelato.

Ci volle una buona mezz’ora prima che lord Wylmore sparasse la seconda fucilata, con la quale atterrò un magnifico vitello grande quasi quanto un bue comune.

— Aho! — esclamò l’inglese, raggiante. — Io essere grande cacciatore sempre.

Io tornare mia patria terribile pugillatore e rifleman di primo ordine.

America bel paese per guarire spleen. —

Legò il mustano e s’impadronì anche della lingua del povero vitello.

— Io questa sera cenare come Graziosa Regina — disse. — Hip! Hip! Hurrà!

Ed il maniaco si rimise per la seconda volta in caccia, risalendo verso il settentrione, dietro la mandra che fuggiva sempre senza ribellarsi, mentre le sarebbe stato così facile gettare in aria cavallo e cavaliere.

Aveva ricaricata la carabina per atterrare il terzo animale, ma ad un tratto, superata una fitta foresta, si trovò sulle rive d’un gigantesco fiume tutto gelato e sulla cui superficie si erano già lanciati confusamente i bisonti, senza pensare che da un momento all’altro potevano precipitare in acqua senza nessuna speranza di salvarsi, quantunque siano buoni notatori.

Quel fiume era il Missuri, una delle più grandi arterie fluviali che solchino le vergini terre degli Stati Uniti del settentrione.

Quest’affluente del non meno gigantesco Mississipì, ha le sue sorgenti fra le montagne Rocciose, sorgenti che furono solamente scoperte nel 1805 da Lewis e Clercke, e che si trovano fra il 42° ed il 48° di latitudine nord.

Nelle sue parti superiori accoglie nel suo seno dei grossi fiumi, quali il Jefferson, il Madison, il Gallatin ecc., ma non è navigabile, essendo il suo corso interrotto da spaventevoli cateratte che nemmeno gl’indiani tentano discendere, quantunque si contino fra di loro degli abilissimi battellieri che sfidano perfino i canadesi.

Se la grande cascata del Niagara tiene il primato, il Missuri ne ha una non meno imponente che tiene il secondo posto.

Anche nel suo corso inferiore raccoglie grossi affluenti come il Yellow Stone (Pietra Gialla), il quale ha da solo un corso di 1700 chilometri ed una larghezza di 1000 metri.

Dal Mississipì alle cateratte del Missuri si può navigare, ma i pericoli sono sempre grandissimi, sia per la estrema rapidità della corrente, sia per il gran numero di banchi sabbiosi che cambiano continuamente di posto, mettendo a dura prova l’abilità dei piloti.

Per di più è sempre ingombro di tronchi d’alberi di dimensioni quasi sempre colossali, i quali sfondano non solo le imbarcazioni, ma anche i battelli a vapore.

Alle porte delle Montagne Rocciose la navigazione cessa, poichè è là che la cateratta precipita da un’altezza di ben cento e dieci metri, scrosciando per altri trecento fra rocce e scogliere tagliate a picco.

In tutto, questo fiume ha un corso di 7000 chilometri dei quali solo 4150 navigabili.

Lord Wylmore, vedendo i bisonti arrischiarsi sul ghiaccio, il quale poteva essere meno solido di quello che si credesse, si fermò sulla riva del fiume gigante pensando un po’ alla propria pelle. Giacchè non aveva più avuto notizie del capitano Devandel, non ci teneva affatto ad abbandonarla alle torbide e rapidissime acque della riviera.

― Io lasciare passare prima bisonti ― disse. ― Se ghiaccio resistere anch’io andare altra parte. —

Il freddo intensissimo, prodotto dalle grandi correnti d’aria che venivano dal non lontano Dominio inglese confinante colle isole polari, aveva tanto bene gelato il fiume gigante, che la superficie non cedeva sotto le poderose masse dei bisonti.

― Tutto andare bene! ― disse l’inglese dopo un buon quarto d’ora di attesa. ― Briganti non mi prendete più nemmeno allievo di mister Calkraff.

Io avere ricevuto abbastanza lezioni per rompere costole a miei colleghi della Camera dei Pari.

Cavallo, passare anche tu. ―

Appioppò al mustano due poderosi colpi, poichè non aveva speroni e lo costrinse a scendere sul fiume gelato.

I bisonti avevano già raggiunta l’altra riva, lontana due buone miglia e si erano internati nelle foltissime boscaglie che coprivano tutto l’orizzonte settentrionale.

L’inglese, temendo che il ghiaccio non fosse dappertutto egualmente spesso, avanzava con prudenza senza spingere il cavallo.

Dei crepitii poco rassicuranti si udivano infatti sotto lo zampe ferrate, tuttavia la traversata fu compiuta felicemente, e lord Wylmore potè rimettersi novamente sulle tracce della mandra.

Si sarebbe detto che si era promesso di fare una vera collezione di lingue di maschi e di femmine adulti e di vitelli, per regalarla forse più tardi a Minehaha.

Aveva lanciato novamente il mustano al galoppo, ma percorsi cinque o seicento metri, si arrestò, indeciso fra l’avanzare o tornare al più presto verso il fiume.

Due colossali maschi, staccatisi dalla mandra, si erano provocati a duello e si assalivano con furia feroce, avventandosi tremende cornate, strappandosi ciuffi di peli e lembi di pelle sanguinante.

Come abbiamo detto, anche se perseguitati a colpi di freccia o di fucile, quei colossi preferiscono proseguire la loro strada, pur tentando di coprire coi loro corpi le femmine ed i vitelli.

Se rivalità per una femmina scatena la loro gelosia, allora, non temono più nessuno, ed assalgono coll’impeto selvaggio dei bufali africani ed asiatici i quali sono i più pericolosi di tutti.

Lord Wylmore, che dai molti anni batteva la bassa prateria, sempre in compagnia dei famosi scorridori, lo sapeva, e perciò si era fermato.

— Aho! esclamò. — Questo essere bello duello. Io vedere e poi sparare. —

Armò per precauzione la carabina, si mise la Colt nella cintura ed attese il momento di fare un buon colpo.

I due animalacci non si erano ancora accorti della presenza di quell’intruso, e si picchiavano con crescente furore, per chi sa quali occhi bruni di femmina della manada.

Le lotte dei cervi, dei caribou, delle grandi alci sono sempre impressionanti, ma quelle dei bisonti le superano, poichè sono due enormi masse di carne che si scagliano l’una contro l’altra, coll’impeto d’un ariete o meglio, di due barche da pesca spinte da un fortissimo vento.

E non si tratta d’una lotta di pochi minuti, ma di ore, poichè l’uno o l’altro degli avversari deve rimanere sul terreno.

È vero bensì che anche il vincitore, la maggior parte delle volte, cade e spira a fianco del vinto dopo un’agonia più o meno lunga.

L’inglese si teneva a debita distanza dietro un gruppo d’aceri; non osando spingersi innanzi, quantunque armato benissimo.

I due bisonti intanto continuavano a lottare con furore crescente, scagliandosi l’un contro l’altro.

I colpi di corna non si contavano, ma avendo quegli animalacci delle fronti quasi corazzate, che arrestano perfino una palla di carabina, continuavano come se giocassero.

La frangia lanosa, che cade sui loro occhi, era stata strappata nella lotta. Così sbarazzati da quell’impiccio, e vedendoci meglio, i due avversari si accanivano maggiormente, muggendo come tori in furore.

L’inglese, vedendo che la storia diventava un po’ troppo lunga, si decise finalmente a forzare il passo, fidando nella propria abilità di gran cacciatore.

― Io non essere mai stato servo di bisonti — disse. — Un lord passa sempre dinanzi a tutti. —

Senza considerare il grave pericolo che stava per affrontare, spinse risolutamente il suo mustano, mandando altissime grida.

I due bisonti, vedendo comparire quell’intruso, cessarono subito di assalirsi e fecero fronte al nemico, caricando all’impazzata.

Parevano due bufali dell’Africa centrale, resi furibondi per l’attacco di qualche orda di vespe selvatiche.

Lord Wylmore, come abbiamo detto, aveva coraggio da vendere, quindi si preparò col suo solito sangue freddo ad affrontare il pericolo.

Mirò attentamente il bisonte più lesto e che stava per investirlo, e gli appioppò una palla nella giuntura della spalla sinistra, spezzandogli il cuore.

Il povero animale continuò la sua corsa, per dieci o quindici metri ancora, poi stramazzò pesantemente a terra, agitando disperatamente le zampacce.

Intanto il secondo giungeva di gran galoppo, colla testa bassa, pronto a sventare con le terribili corna e a rovesciare tutti gli ostacoli sul suo passaggio.

Lord Wylmore, vedendosi venire addosso quella massa, afferrò prontamente la rivoltella e si dètte a sparare all’impazzata, poichè i salti disordinati del mustano non gli permettevano di mirare.

Tutti i colpi, con sua grande sorpresa, andarono a vuoto.

Forse qualche proiettile era giunto a destinazione, ma le rivoltelle, non hanno mai avuto buon successo contro quelle enormi masse di carne.

Vedendosi in procinto di essere sventrato e mancandogli il tempo di ricaricare il rifle, il lord, lo stravagante inglese, il quale conservava tuttavia un sangue freddo meraviglioso, lanciò il mustano in mezzo agli alberi.

Il bisonte, che forse era stato ferito, e perciò anche più infuriato, gli si cacciò dietro muggendo spaventosamente.

I suoi larghi zoccoli, trovando maggior appoggio sullo strato nevoso, lo spingevano ad una corsa furiosa, mentre il mustano, armato di ferri, di quando in quando affondava.

Quella caccia impressionante non durò che un sol minuto, poichè il bisonte con un ultimo e più impetuoso slancio fu addosso ai nemici fuggenti.

Fortunatamente l’inglese era penetrato in un lembo di foresta foltissima, la quale stendeva i rami in tutte le direzioni ed a varie altezze.

Comprendendo ormai che ogni lotta non sarebbe stata possibile, poichè non si trattava di atterrare un orso dei Pirenei, con una mossa brusca si alzò e s’aggrappò ad un ramo d’un pino nero, abbandonando fucile, rivoltella e cavallo.

Rotto a tutti gli esercizi ginnastici, con volteggio, che sarebbe stato ammirato anche da un giovanotto di vent’anni, si mise in salvo e al sicuro da ogni attacco.

Il bisonte, il quale pareva che non si fosse nemmeno accorto della scomparsa del suo feritore, si rovesciò sul mustano, che aveva le zampe affondate nella neve, e con due terribili cornate lo rovesciò col fianco sinistro squarciato. Le budella uscirono subito fuori fumanti.

— Bel colpo! — esclamò il lord.

Poi aggiunse:

— Mie povere lingue! —

Si era messo a cavalcioni del grosso ramo, che si stendeva orizzontalmente a tre metri dal suolo, ed osservava flemmaticamente quanto stava per succedere, come se il caso non lo riguardasse.

Non era ancora finita per il povero mustano agonizzante in mezzo alla neve, già arrossata del suo sangue!

Il terribile ruminante, dopo d’aver continuata la sua corsa indiavolata per un centinaio di metri, aveva fatto un improvviso voltafaccia e tornava alla carica colla testa quasi rasente al suolo.

Le sue corna già tinte di sangue, si affondarono per la seconda volta nel corpo del moribondo strappandogli un nitrito acutissimo.

Riprese la corsa girando su sè stesso, come se fosse impazzito, poi novamente si precipitò sul mustano.

Era un attacco inutile, poichè il povero figlio della prateria dopo d’avere sferrati alcuni calci, si era allungato, mostrando le sue spaventose ferite.

Da quegli squarci uscivano intestini, polmoni, e pezzi di altri visceri.

— Qui venire vedere toreros! — disse lord Wylmore. — Aho! Loro tori non valere niente: essere come asini. Cornate molto terribili. —

E rideva tranquillamente il mattoide, mentre il bisonte sfogava il suo furore contro il vinto, calpestandolo coi pesantissimi zoccoli e continuando a lacerarlo a gran colpi di corna.

Quando lo ebbe ridotto quasi in una massa informe il bestione parve calmarsi, e dopo d’aver lanciati in aria tre muggiti sonori, si diresse verso il compagno.

Un’imprudenza dell’inglese lo fece tosto ritornare.

Quell’originale credendosi ormai salvo, stava spenzolandosi dal ramo per raccogliere, se non le lingue, almeno le armi, quando il bisonte accortosi della sua presenza, tornò sollecitamente indietro, pronto a sventrarlo come aveva fatto al mustano.

Ma l’inglese fu lesto a tirarsi su di nuovo sul ramo, sul quale non aveva niente da temere.

Un bisonte non si arrampica come un orso grigio o nero.

L’animalaccio, non sapendo con chi sfogarsi, si scagliò contro l’albero strappando larghi pezzi di corteccia. Erano sforzi inutili, poichè la pianta era troppo grossa per poterla atterrare con un colpo di testa.

— Aho! Mie povere lingue! — esclamò per la seconda volta l’inglese. — Io essere destinato morire di fame. Niente zampone orso, niente pezzo bisonte ed io pagare sempre, sempre senza contare. —

Guardò il bisonte, domandandosi come avrebbe potuto sbarazzarsi di lui e quanto l’assedio sarebbe durato.

Le munizioni le aveva sempre nelle sue numerose tasche, ma la carabina e la rivoltella erano a terra.

Il bisonte, più che mai inferocito, continuava a dar cornate all’albero, senza alcun risultato. Tuttavia era tale la sua forza, che di quando in quando riusciva a scuoterlo.

Stanco finalmente, si coricò sulla neve, a breve distanza dal cavallo, guardando l’inglese con due occhi torbidi, iniettati di sangue.

L’assedio cominciava, ed un assedio bene stretto, e lungo, perchè i bisonti sono talvolta assai testardi e non rinunciano alle loro vendette.

L’inglese assolutamente immobilizzato, aspettava con rassegnazione che il tremendo animale si decidesse ad andarsene, ma era vana speranza.

Ciò che seccava soprattutto il lord era la fame, che di momento in momento diventava sempre più tormentosa.

Se avesse potuto avere le due lingue, non avrebbe esitato a divorarle così crude.

Si era messo a bestemmiare in inglese ed in gallese, senza riuscire ad irritare il bisonte, diventato, almeno in apparenza, tranquillo. Infatti aveva lasciato in pace l’albero e fingeva di russare, ma con un occhio chiuso e l’altro aperto.

Mister brigante essere dunque morto? — si chiese il disgraziato, che da un paio d’ore gelava a cavalcioni del ramo. — Questo essere molto brutto paese. Pagare pagare sempre, e tutti ladri. Qui non sapere cosa essere un lord. Briganti! —

Fortunatamente per lui gli scorridori di prateria erano lontani. Se l’avessero udito non avrebbero mancato di dare all’inglese una lezione di boxe da fargli ricordare per lungo tempo l’America del Nord.

Gelava da tre ore sul suo ramo, studiando il modo di uscire alla meglio da quel grave imbarazzo, quando ai suoi orecchi giunsero dei latrati sonori, misti a ululati.

— Mia prigionia finire! — esclamò.

Poi alzando la voce lanciò tre hurrà formidabili per attirare l’attenzione dell’uomo che si avvicinava.


Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.