< Le mie prigioni
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Cap XLIX Cap LI


Capo L.

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Addì 11 gennaio (1822), verso le 9 del mattino, Tremerello coglie un’occasione per venire da me, e tutto agitato mi dice:

— Sa ella che nell’isola di San Michele di Murano, qui poco lontano da Venezia, v’è una prigione dove sono forse più di cento carbonari?

— Me l’avete già detto altre volte. Ebbene... che volete dire?... Su, parlate. Havvene forse di condannati?

— Appunto.

— Quali?

— Non so.

— Vi sarebbe mai il mio infelice Maroncelli?

— Ah signore! non so, non so chi vi sia. —

Ed andossene turbato, e guardandomi con atti di compassione.

Poco appresso viene il custode, accompagnato da’ secondini e da un uomo ch’io non avea mai veduto. Il custode parea confuso. L’uomo nuovo prese la parola:

— Signore, la Commissione ha ordinato ch’ella venga con me.

— Andiamo, dissi; e voi dunque chi siete?

— Sono il custode delle carceri di San Michele, dov’ella dev’essere tradotta. —

Il custode de’ Piombi consegnò a questo i denari miei, ch’egli avea nelle mani. Dimandai ed ottenni la permissione di far qualche regalo a’ secondini. Misi in ordine la mia roba, presi la Bibbia sotto il braccio, e partii. Scendendo quelle infinite scale, Tremerello mi strinse furtivamente la mano; parea voler dirmi: — Sciagurato! tu sei perduto.

Uscimmo da una porta che mettea sulla laguna; e quivi era una gondola con due secondini del nuovo custode

Entrai in gondola, ed opposti sentimenti mi commoveano: — un certo rincrescimento d’abbandonare il soggiorno dei Piombi, ove molto avea patito, ma ove pure io m’era affezionato ad alcuno, ed alcuno erasi affezionato a me, — il piacere di trovarmi, dopo tanti mesi di reclusione, all’aria aperta, di vedere il cielo e la città e le acque, senza l’infausta quadratura delle inferriate, — il ricordarmi la lieta gondola che in tempo tanto migliore mi portava per quella laguna medesima, e le gondole del lago di Como e quelle del lago Maggiore, e le barchette del Po, e quelle del Rodano e della Sonna!... Oh ridenti anni svaniti! E chi era stato al mondo, felice al pari di me?

Nato da’ più amorevoli parenti, in quella condizione che non è povertà, e che, avvicinandoti quasi egualmente al povero ed al ricco, t’agevola il vero conoscimento de’ due stati, — condizione ch’io reputo la più vantaggiosa per coltivare gli affetti; — io, dopo un’infanzia consolata da dolcissime cure domestiche, era passato a Lione presso un vecchio cugino materno, ricchissimo e degnissimo delle sue ricchezze, ove tutto ciò che può esservi d’incanto per un cuore bisognoso d’eleganza e d’amore avea deliziato il primo fervore della mia gioventù: di lì tornato in Italia, e domiciliato co’ genitori a Milano, avea proseguito a studiare ed amare la società ed i libri, non trovando che amici egregi, e lusinghevole plauso. Monti e Foscolo, sebbene avversarii fra loro, m’erano benevoli egualmente. M’affezionai più a quest’ultimo; e siffatto iracondo uomo, che colle sue asprezze provocava tanti a disamarlo, era per me tutto dolcezza e cordialità, ed io lo riveriva teneramente. Gli altri letterati d’onore m’amavano anch’essi, com’io li riamava. Niuna invidia, niuna calunnia m’assalì mai, od almeno erano di gente sì screditata che non potea nuocere. Alla caduta del regno d’Italia, mio padre avea riportato il suo domicilio a Torino, col resto della famiglia, ed io procrastinando di raggiungere sì care persone, avea finito per rimanermi a Milano, ove tanta felicità mi circondava, da non sapermi indurre ad abbandonarla.

Fra altri ottimi amici, tre, in Milano, predominavano sul mio cuore, D. Pietro Borsieri, Monsign. Lodovico di Breme, ed il conte Luigi Porro Lambertenghi. Vi s’aggiunse in appresso il conte Federigo Confalonieri. Fattomi educatore di due bambini di Porro, io era a quelli come un padre, ed al loro padre come un fratello. In quella casa affluiva tutto ciò non solo, che avea di più colto la città, ma copia di ragguardevoli viaggiatori. Ivi conobbi la Stäel, Schlegel, Davis, Byron, Hobhouse, Brougham, e molti altri illustri di varie parti d’Europa. Oh quanto rallegra, e quanto stimola ad ingentilirsi la conoscenza degli uomini di merito! Sì, io era felice! io non avrei mutata la mia sorte con quella d’un principe! — E da sorte sì gioconda balzare tra sgherri, passare di carcere in carcere, e finire per essere strozzato, o perire nei ceppi!




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