< Le mie prigioni
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Capo XLIX
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Capo XLIX.

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La mia fantasia era ancora vivamente colpita dall’aver veduto quell’incendio, allorchè, poche notti appresso, — io non era ancora andato a letto, e stava al tavolino studiando, e tutto intirizzito dal freddo, — ecco voci poco lontane: erano quelle del custode, di sua moglie, de’ loro figli, de’ secondini: — Il fogo! il fogo. Oh Beata Vergine! oh noi perdui!

Il freddo mi cessò in un istante: balzai tutto sudato in piedi, e guardai intorno se già si vedevano fiamme. Non se ne vedevano.

L’incendio per altro era nel palazzo stesso, in alcune stanze d'ufficio vicine alle carceri.

Uno de’secondini gridava: — Ma, sior paron, cossa faremo de sti siori ingabbiai, se el fogo s’avanza?

Il custode rispondeva: — Mi no gh’ho cor de lassarli abbrustolar. Eppur no se po averzer le preson, senza el permesso de la Commission. Anemo, digo, corrè dunque a dimandar sto permesso. — Vado de botto, sior, ma la risposta no sarà miga in tempo, sala.

E dov’era quella eroica rassegnazione ch’io teneami così sicuro di possedere, pensando alla morte? Perchè l’idea di bruciar vivo mi mettea la febbre? Quasichè ci fosse maggior piacere a lasciarsi stringer la gola, che a bruciare! Pensai a ciò, e mi vergognai della mia paura, stava per gridare al custode, che per carità m’aprisse, ma mi frenai. Nondimeno io avea paura.

— Ecco, diss’io, qual sarà il mio coraggio, se scampato dal fuoco, verrò condotto a morte! Mi frenerò, nasconderò altrui la mia viltà, ma tremerò. Se non che... non è egli pure coraggio l’operare come se non si sentissero tremiti, e sentirli? Non è egli generosità lo sforzarsi di dar volentieri ciò che rincresce di dare? Non è egli obbedienza l’obbedire ripugnando?

Il trambusto nella casa del custode era sì forte, che indicava un pericolo sempre crescente. Ed il secondino ito a chiedere la permissione di trarci di que’ luoghi non ritornava! Finalmente sembrommi d’intendere la sua voce. Ascoltai, e non distinsi le sue parole. Aspetto, spero; indarno! nessun viene. Possibile che non siasi conceduto di traslocarci in salvo dal foco? E se non ci fosse più modo di scampare? E se il custode e la sua famiglia stentassero a mettere in salvo se medesimi, e nessuno più pensasse ai poveri ingabbiai?

— Tant’è, ripigliava io, questa non è filosofia, questa non è religione! Non farei io meglio d’apparecchiarmi a veder le fiamme entrare nella mia stanza e divorarmi?

Intanto i romori scemavano. A poco a poco non udii più nulla. È questo prova esser cessato l’incendio? Ovvero tutti quelli che poterono, sarann’essi fuggiti, e non rimangono più qui, se non le vittime abbandonate a sì crudel fine?

La continuazione del silenzio mi calmò: conobbi che il fuoco doveva essere spento.

Andai a letto, e mi rimproverai come viltà l’affanno sofferto; ed or che non si trattava più di bruciare, m’increbbe di non esser bruciato piuttosto, che avere fra pochi giorni ad essere ucciso dagli uomini.

La mattina seguente, intesi da Tremerello qual fosse stato l’incendio, e risi della paura ch’ei mi disse aver avuta; quasi che la mia non fosse stata eguale o maggiore della sua.

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