< Le mie prigioni
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Cap XVIII Cap XX


Capo XIX.

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Il custode passava sotto le nostre finestre, e ci fece tacere.

Quale infelice duca di Normandia? andava io ruminando. Non è questo il titolo che davasi al figlio di Luigi XVI? Ma quel povero fanciullo è indubitatamente morto. — Ebbene, il mio vicino sarà uno dei disgraziati che si sono provati a farlo rivivere.

Già parecchi si spacciarono per Luigi XVII, e furono riconosciuti impostori: qual maggior credenza dovrebbe questi ottenere? —

Sebbene io cercassi di stare in dubbio, un’invincibile incredulità prevaleva in me, ed ognor continuò a prevalere. Nondimeno determinai di non mortificare l’infelice, qualunque frottola fosse per raccontarmi.

Pochi istanti dappoi, ricominciò a cantare, indi ripigliammo la conversazione.

Alla mia dimanda sull’esser suo, rispose ch’egli era appunto Luigi XVII, e si diede a declamare con forza contro Luigi XVIII, suo zio, usurpatore de’ suoi diritti.

— Ma questi diritti, come non li faceste valere al tempo della Ristorazione?

— Io mi trovava allora mortalmente ammalato a Bologna. Appena risanato, volai a Parigi, mi presentai alle Alte Potenze, ma quel ch’era fatto era fatto: l’iniquo mio zio non volle riconoscermi; mia sorella s’unì a lui per opprimermi. Il solo buon principe di Condé m’accolse a braccia aperte, ma la sua amicizia nulla poteva. Una sera, per le vie di Parigi, fui assalito da sicarii, armati di pugnali, ed a stento mi sottrassi a’ loro colpi. Dopo aver vagato qualche tempo in Normandia, tornai in Italia, e mi fermai a Modena. Di lì, scrivendo incessantemente ai monarchi d’Europa, e particolarmente all’imperatore Alessandro, che mi rispondea colla massima gentilezza, io non disperava d’ottenere finalmente giustizia, o se, per politica, voleano sacrificare i miei diritti al trono di Francia, che almeno mi s’assegnasse un decente appannaggio. Venni arrestato, condotto ai confini del ducato di Modena, e consegnato al Governo austriaco. Or, da otto mesi, sono qui sepolto, e Dio sa quando uscirò! —

Non prestai fede a tutte le sue parole. Ma ch’ei fosse lì sepolto era una verità, e m’ispirò una viva compassione.

Lo pregai di raccontarmi in compendio la sua vita. Mi disse con minutezza tutti i particolari ch’io già sapeva intorno Luigi XVII, quando lo misero collo scellerato Simon, calzolaio; quando lo indussero ad attestare un’infame calunnia contro i costumi della povera regina sua madre, ec., ec. E finalmente, che essendo in carcere, venne gente una notte a prenderlo; un fanciullo stupido per nome Mathurin fu posto in sua vece, ed ei fu trafugato. V’era nella strada una carrozza a quattro cavalli, ed uno de’ cavalli era una macchina di legno, nella quale ei fu celato. Andarono felicemente al Reno, e passati i confini, il generale.... (mi disse il nome, ma non me lo ricordo) che l’avea liberato gli fece per qualche tempo da educatore, da padre; lo mandò o condusse quindi in America. Là il giovine re senza regno ebbe molte peripezie, patì la fame ne’ deserti, militò, visse onorato e felice alla corte del re del Brasile, fu calunniato, perseguitato, costretto a fuggire. Tornò in Europa in sul finire dell’impero napoleonico; fu tenuto prigione a Napoli da Giovacchino Murat, e quando si rivide libero ed in procinto di reclamare il trono di Francia, lo colpì a Bologna quella funesta malattia, durante la quale Luigi XVIII fu incoronato.

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