< Le mie prigioni
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Capo XXIX
Cap XXXI Cap XXX


Capo XXIX.

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Da quel giorno divenni, non so perchè, il confidente della fanciulla, e tornò a trattenersi lungamente con me.

Mi diceva: — Signore, ella è tanto buona, ch’io la guardo come potrebbe una figlia guardare suo padre.

— Voi mi fate un brutto complimento, rispondeva io, respingendo la sua mano; ho appena trentadue anni, e già mi guardate come vostro padre.

— Via, signore, dirò: come fratello. —

E mi prendeva per forza la mano, e me la toccava con affezione. E tutto ciò era innocentissimo.

Io diceva poi tra me: — Fortuna che non è una bellezza! altrimenti quest’innocente famigliarità potrebbe sconcertarmi. —

Altre volte diceva: — Fortuna ch’è così immatura! Di ragazze di tale età non vi sarebbe pericolo ch’io m’innamorassi. —

Altre volte mi veniva un po’ d’inquietudine, parendomi ch’io mi fossi ingannato nel giudicarla bruttina, ed era obbligato di convenire che i contorni e le forme non erano irregolari.

— Se non fosse così pallida, diceva io, e non avesse quelle poche lenti sul volto, potrebbe passare per bella. —

Il vero è che non è possibile di non trovare qualche incanto nella presenza, negli sguardi, nella favella d’una giovinetta vivace ed affettuosa. Io poi non avea fatto nulla per cattivarmi la sua benevolenza, e le era caro come padre o come fratello, a mia scelta. Perchè? Perch’ella avea letto la Francesca da Rimini e l’Eufemio, e i miei versi la faceano piangere tanto! e poi perch’io era prigioniero, senza avere, diceva ella, nè rubato nè ammazzato!

Insomma, io che m’era affezionato a Maddalena senza vederla, come avrei potuto essere indifferente alle sorellevoli premure, alle graziose adulazioncelle, agli ottimi caffè della

«Venezianina adolescente sbirra?»

Sarei un impostore se attribuissi a saviezza il non essermene innamorato. Non me ne innamorai, unicamente perchè ella avea un amante, del quale era pazza. Guai a me, se fosse stato altrimenti!

Ma se il sentimento ch’ella mi destò non fu quello che si chiama amore, confesso che alquanto vi s’avvicinava. Io desiderava ch’ella fosse felice, ch’ella riuscisse a farsi sposare da colui che piaceale; non avea la minima gelosia, la minima idea che potesse scegliere me per oggetto dell’amor suo. Ma quando io udiva aprir la porta, il cuore mi battea, sperando che fosse la Zanze; e se non era ella, io non era contento; e se era, il cuore mi battea più forte e si rallegrava.

I suoi genitori, che già avevano preso un buon concetto di me, e sapeano ch’ell’era pazzamente invaghita d’un altro, non si faceano verun riguardo di lasciarla venire quasi sempre a portarmi il caffè del mattino, e talor quello della sera.

Ella aveva una semplicità ed un’amorevolezza seducenti. Mi diceva: — Sono tanto innamorata d’un altro, eppure sto così volentieri con lei! Quando non vedo il mio amante, mi annoio dappertutto fuorchè qui.

— Ne sai tu il perchè?

— Non lo so.

— Te lo dirò io: perchè ti lascio parlare del tuo amante.

— Sarà benissimo; ma parmi che sia anche perchè la stimo tanto tanto! —

Povera ragazza! ella avea quel benedetto vizio di prendermi sempre la mano, e stringermela, e non s’accorgeva che ciò ad un tempo mi piaceva e mi turbava.

Sia ringraziato il Cielo che posso rammemorare quella buona creatura, senza il minimo rimorso!

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