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Roma, 11 marzo 1801

Motu proprio

1. Le più colte nazioni d’Europa ed alcune popolazioni d’Italia a Noi più vicine hanno già provato, con felice e calcolata esperienza, che tutte le leggi proibitive che vincolano l’industria ed il commercio sono del pari perniciose che vane; i loro Stati sono divenuti tanto più floridi ed opulenti quanto più si sono allontanati dal sistema di regolamento il quale, se poteva forse convenire in altra epoca ed in diverse situazioni politiche, non può certamente sostenersi nelle attuali circostanze, in cui si rende più che mai indispensabile il bisogno d’incoraggiare l’agricoltura e di attivare l’azione delle manifatture ed il movimento della circolazione. Le leggi, appunto, ed i regolamenti coattivi hanno purtroppo illanguidito l’industria nazionale, ed hanno inceppato a tal punto il commercio interno ed esterno in tutto il Nostro Stato che, scemata notevolmente la forza riproduttiva, si sono aggravati su di esso gli effetti funesti dello scoraggiamento e della sterilità.

2. È generalmente riconosciuto che l’interesse privato d’ognuno, quando coincide con l’interesse pubblico, è il più sicuro garante della felicità dello Stato, e che la libertà del commercio, nell’atto in cui favorisce il diritto di proprietà, accresce anche la somma della riproduzione; questa, accrescendo di sua natura il numero dei venditori, ne raddoppia la concorrenza, che è la sola salvaguardia contro il monopolio, e la più efficace moderatrice del prezzo delle merci, laddove i vincoli nelle contrattazioni non solo conducono all’abbandono della coltivazione delle terre, i cui frutti non sono alla libera disposizione dell’agricoltura, ma scompongono ed alzano il prezzo delle derrate contro il naturale andamento del valore commerciale. Conseguentemente, affrettandosi il proprietario ad esitare un prodotto soggetto a tutte le vessazioni che può imporci la pubblica indigenza, il prodotto stesso viene a radunarsi nelle mani di pochi compratori i quali, interessati ad escludere l’abbondanza apparente delle derrate, che più dell’abbondanza assoluta ne modera il prezzo, producono nello Stato un artificioso rincaro.

3. Con tanta maggiore alacrità poi Ci siamo determinati ad adottare a vantaggio dei Nostri amatissimi sudditi questa libertà di commercio non solo perché è consigliata da gran tempo dall’esempio e riconosciuta come l’unico mezzo ad animare l’agricoltura e a ricondurre l’abbondanza, ad abbassare a poco a poco i prezzi dei generi, e ad allontanare almeno nelle stagioni di carestia la mancanza assoluta dei medesimi, ma anche perché generalmente sperimentata come la difesa più acconcia a chiudere l’adito alle estrazioni fraudolente, che sono sempre inutilmente proibite dalla legge, contro la quale non cospirano mai invano l’interesse di molti e l’impeto naturale del commercio; ond’è che ai danni sempre di quello Stato, in cui è tesa la rete dei vincoli, approfitta il vicino, il quale adesca le importazioni e si alimenta e si giova delle perdite altrui.

4. Tale sistema di libertà di commercio interno abbiamo anche rilevato mirabilmente convenire alle circostanze delle Nostra capitale, dove il possesso dei vasti latifondi che la circondano si trova concentrato nelle mani di un ristretto numero di proprietari. Essendo la libertà di commercio un mezzo adattissimo a richiamare dalle province e dai domini esteri la concorrenza dei generi, non può non essere nel medesimo tempo il più efficace a livellarne i prezzi al giusto equilibrio, ed a reprimere efficacemente gli attentati dell’avarizia e del monopolio, che dalla vastità delle suddette proprietà potrebbero d’altronde temersi. Inoltre, un accurato esame dei fatti Ci ha reso abbastanza istruiti che il sostentamento della Nostra capitale proviene nella maggior parte dalle campagne romane, da dove non sono i ricchi suoi proprietari che la forniscono privativamente dei necessari alimenti, ma in gran parte anche i piccoli possidenti delle province, la concorrenza dei quali esclude assolutamente il temuto monopolio dei primi. Difatti l’Agro Romano non produce la più piccola quantità di olio, e Roma si sostenta sempre di quello che ne importano tanto le province, che i negozianti esteri, o per terra, o per mare. Lo stesso accade degli animali neri, che si trasmettono in Roma intieramente dalle province; lo stesso per la maggior parte dell’anno degli animali vaccini tradotti dal territorio perugino, non somministrandone le tenute romane che una molto discreta quantità. Quasi la stessa cosa infine si verifica nel primario genere del grano, che nelle stagioni anche più ubertose le campagne di Roma producono appena in quantità sufficiente al consumo della capitale per lo spazio di sei mesi.

5. Persuasi Noi, pertanto, di queste verità, ed istruiti da una luttuosa esperienza, che le leggi coercenti il commercio e l’industria nazionale non producono giammai né l’abbondanza dei generi, né la moderazione dei prezzi, fino dai primi giorni in cui piacque alla Provvidenza di affidarci il supremo governo dello Stato fu Nostro serio e singolare impegno prosciogliere i laici che inceppavano in precedenza il sistema frumentario, con danno dei Nostri sudditi non meno che del pubblico erario, che in ultima analisi lo fa ricadere inevitabilmente sul popolo, come dalla Nostra cedola di motu proprio in data 3 settembre 1800. E quantunque sterile oltremodo, ed universalmente scarsa si sia sperimentata la raccolta del grano nella presente stagione, e potesse a ragione temersi sui calcoli precedenti una improvvisa deficienza del genere, tuttavia si è veduto, malgrado le attuali notorie circostanze, crescere in Roma i venditori di grani, i quali se non possono rendere del tutto abbondanti i mercati, nulladimeno sollevano l’indigenza prodotta dalla sterilità dei campi e dalle vicende universali, e mantengono finora i prezzi al di sotto del livello attuale della maggior parte delle piazze d’Italia.

6. Ci consola ancora, e Ci rende vieppiù costanti ai princìpi adottati, la felice certezza che sebbene la libertà del commercio dei generi frumentari sia stata da Noi proclamata poco prima del tempo delle semine, nulladimeno queste sono fin d’ora in gran parte aumentate, onde si rende immancabile negli anni avvenire questa gara nella coltivazione dei campi, la quale, combinata con l’uso indipendente dei prodotti, può solo creare il maggior numero di venditori e la conseguente abbondanza del genere.

7. Non bastando però al Nostro cuore paterno di avere svincolata l’annona frumentaria da quei lacci che ne avrebbero anticipata e resa più grave la penuria, abbiamo pure rivolto le Nostre cure ad impedire la carestia delle grascie [delle vettovaglie], che formano un altro oggetto importante del benessere dei Nostri fedelissimi sudditi. Essendo poi la coerenza dei princìpi, e l’unità dell’azione la più sicura norma in ogni sistema amministrativo, anche con impegno maggiore Ci siamo indotti a seguire la stessa massima ed a rimuovere i medesimi ostacoli rispetto ad ogni sorta di vettovaglie e di commestibili, e perciò, adunata innanzi a Noi una particolare Congregazione composta di dieci reverendissimi Cardinali e di alcuni Prelati, e sentito in voce con matura discussione il savio parere dei medesimi, Ci siamo determinati a fondare le Nostre provvide leggi anche relativamente agl’importanti oggetti della grascia [annona] sulla stessa base della libertà del commercio.

8. Quindi in virtù della presente Nostra cedola, nella quale vogliamo che si abbia per espresso, e di parola in parola, inserto il tenore di tutti i chirografi, brevi, costituzioni, bandi, ed editti relativi all’antico sistema di grascia, come pure d’ogni altra cosa in qualunque modo necessaria ad esprimersi, di Nostro motu proprio, certa scienza, e pienezza della Nostra sovrana autorità, aboliamo, sopprimiamo, ed annulliamo tutti e singoli i vincoli che al libero commercio interno di tutto ciò che cade sotto il nome di grascie si trovano prescritti nel riferito antico sistema, quantunque derivanti dai suddetti chirografi, brevi, costituzioni, bandi, ed editti sinora a tale effetto pubblicati, con le modificazioni però, provvedimenti, e cautele qui sotto descritte, ordinando espressamente che l’esatta e piena esecuzione di tutte le disposizioni contenute in questa Nostra cedola di motu proprio abbia il suo inizio dal dì 30 del corrente mese di marzo.

9. Primieramente intendiamo, vogliamo e comandiamo che all’epoca suddetta sia lecito ad ognuno di Roma, e del Nostro Stato Pontificio, ed anche a qualunque altro estero, dopo che avrà pagato alle porte il dazio che si troverà fissato nella presente cedola di Nostro motu proprio o nelle tariffe generali delle dogane, il vendere, il comprare, il trasportare da un luogo all’altro liberamente i generi vendibili, comprati, invenduti, purché per altro non si estraggano, né si trasportino fuori dello Stato, senza espressa licenza da ottenersi in iscritto dai tribunali di rispettiva giurisdizione, e da concedersi soltanto allorché la Deputazione della grascia [dell’annona] che da Noi viene istituita come si prescriverà in appresso, giudicherà che la suddetta estrazione non solo non sarà per diminuire la corrispettiva abbondanza nell’interno, ma si renderà anzi necessaria per non ristagnare il superfluo e disanimare così i cooperatori della riproduzione; resta beninteso però di non limitare tali licenze a particolari persone, ma che tutti universalmente possano profittare delle medesime con il pagamento d’un competente dazio, onde garantire sempre a migliore condizione il consumatore nazionale. Così ancora sarà lecito e permesso in avvenire a qualunque proprietario e mercante dei generi riguardanti la grascia di vendere i medesimi liberamente non solo nei giorni di fiera e mercato, ma in qualunque tempo e giorno dell’anno, purché si conformi alle leggi della Chiesa che vietano i traffici nei giorni Sacri della Nostra Santa Religione.

10. Sarà egualmente permesse ai medesimi possessori di grascie di venderle, comprarle, e permutarle a loro talento non solamente nelle piazze e nei luoghi addetti ai mercati, ma altresì in ogni altro sito che loro sembrerà più opportuno, ed anche nelle pubbliche strade, purché peraltro queste non restino dalla molteplicità dei venditori soverchiamente ingombrate contro il divieto di chi vi presiede; sperando Noi che con tale mezzo possano essere arrestate le compre privative all’ingrosso, che da pochi avari incettatori si fanno con detestabile monopolio, giacché non essendo i venditori in forza in questa Nostra cedola di motu proprio obbligati d’ora innanzi ad esporre alla pubblica vendita le loro merci in un luogo fisso e determinato, tanto meno avranno di comodo i suddetti incettatori di riunirsi e fra loro concertare la contrattazione ed i prezzi dei generi, per assoggettare ai loro artifizi i venditori di prima mano, ed opprimere con lo smercio privativo gl’innocenti consumatori.

11. Ed acciocché nulla ritardi il certo e spedito effetto di tali Nostre provvide determinazioni, con la Nostra suprema autorità e pienezza della Nostra potestà dichiariamo e vogliamo che s’intenda soppresso ed abolito, come in realtà sopprimiamo ed aboliamo, ogni diritto e facoltà di godere ed esigere in piazza Navona, come in ogni altra piazza e luogo pubblico, tutti e singoli gli emolumenti, proventi e regalìe, non meno che i pagamenti dei posti e luoghi di mercato tanto alla Nostra Camera che a private persone, per cui finora i venditori sono stati soggetti ad una vessazione non conciliabile certamente con quella felice libertà che oggi si stabilisce.

12. Conseguentemente a tale Nostra determinazione vogliamo ed ordiniamo che qualunque venditore possa occupare gratuitamente, e senza pagamento di sorta alcuna, i posti e luoghi di mercato e qualsivoglia altro sito pubblico, conformandosi però sempre a quelle leggi di pulizia che dai legittimi superiori saranno imposte al solo fine che le strade non siano tumultuariamente ingombre e deturpate; a tale effetto rescindiamo ed annulliamo qualunque appalto o locazione di detti diritti, proventi, emolumenti e posti e luoghi di mercato, che per ragioni di contratto dovesse ancora avere continuazione di tempo, volendo che gli appaltatori, che attualmente se ne trovano in possesso, debbano considerarsi e reputarsi come se fin da principio fossero stati meri e semplici amministratori delle cose appaltate, e ritenute o a nome della Nostra Camera, o dei particolari proprietari, onde resti escluso qualunque benché piccolo bonifico per gli utili che avrebbero potuto fare in appresso, come si è più volte in casi consimili praticato dai Nostri predecessori, e segnatamente da Benedetto XIV in occasione della soppressione del bollo della carta da scrivere.

13. Per rendere poi con la più esatta misura a ciascuno quello che è suo, e per non defraudare alcuno del frutto dei suoi legittimi acquisti, vogliamo che i particolari proprietari dei posti e luoghi di mercato possano dirigersi al Nostro monsignor tesoriere generale per avere dal medesimo un adeguato compenso alla perdita che essi fanno di detti posti e luoghi di piazza Navona e di altri siti, qualora però provino effettivamente che nella loro origine siano stati per essi, o per i loro autori, acquistati dalla Nostra Camera, e con titolo oneroso ovvero presunto.

14. Similmente, e per le identiche ragioni, volendo Noi favorire sempre più la classe indigente dei Nostri sudditi e dei benemeriti introduttori dei commestibili, vogliamo ed ordiniamo che s’intenda altresì soppresso ed abolito, come di fatto sopprimiamo ed aboliamo, il dazio detto dei pesi e delle misure di piazza Navona, di piazza del Paradiso, di altri simili pubblici mercati, in forza del quale i venditori dei commestibili sono stati costretti finora a servirsi dei pesi e delle misure dell’appaltatore di detto dazio; conseguentemente rescindiamo ed annulliamo l’appalto del dazio medesimo con le stesse leggi, condizioni e dichiarazioni che, relativamente agli attuali appaltatori e subappaltatori abbiamo prescritto di sopra nella soppressione degli appalti, dei posti e dei luoghi di mercato. Sarà pertanto in piena libertà degli anzidetti venditori dei commestibili di servirsi delle loro proprie stadere e misure, purché per altro siano campionate e bollate nell’ufficio a tale effetto destinato presso la dogana di terra, ed abbiano ivi pagato il prescritto emolumento.

15. E siccome non basta il proscioglimento dei vincoli relativi ai luoghi per godere i benèfici influssi della libertà del commercio, ma è necessario anche stabilire una piena libertà di contrattazioni, non arrestata dal più piccolo impedimento, quindi dichiariamo ancora, e vogliamo che siano per l’avvenire tolte in perpetuo tutte le prelazioni e i privilegi d’ogni maniera, tanto personali, quanto reali, ancorché avessero bisogno di speciale menzione, non meno riguardo alle vendite che rispetto al consumo delle materie di grascia; cosicché in avvenire non possa giammai allegarsi titolo di sorta alcuna, onde costringere i commercianti a vendere i generi di grascia a chicchessia in qualunque tempo ed in qualunque luogo, fuori d’una scambievole volontaria convenzione. 16. Per lo stesso importantissimo oggetto di favorire il commercio, comandiamo ancora che nessuno ardisca sotto qualunque ragione o pretesto vietare nel Nostro Stato Pontificio il libero passaggio ai commercianti di grascia, nonostante qualunque privilegio degno anche di specifica menzione di cui qualcuno fosse insignito, o esigere dai medesimi alcun dazio di piazza, di mercato, di transito, o di qualunque altra denominazione, che abbia similmente bisogno di speciale menzione, i quali tutti vogliamo che restino aboliti ed annullati, non intendendo però di sopprimere con questa Nostra disposizione le gabelle di consumazione che presso le Comunità dello Stato possano esistere, ed essere imposte con l’approvazione della Congregazione del Buon Governo, le quali però vogliamo che siano organizzate in modo da colpire soltanto la consumazione locale, e non mai render soggetti alla gabella i generi di semplice passaggio.

17. Unitamente all’enunciata indefinita libertà d’importazione e di trasporto interno, circolazione, luoghi, e contratti dei generi di grascia, vogliamo eziandio che abbia luogo quella del prezzo, il quale, se viene dalla legge determinato fuori del livello del commercio, non può non essere gravoso ad uno dei contraenti, e per conseguenza ingiusto, o assolutamente inutile se lo pareggia. Pertanto in avvenire il prezzo delle merci di grascie dovrà essere in pieno e libero arbitrio del possessore delle medesime in modo che tanto in questa Nostra capitale, come in ogni altra città, terra, castello, o luogo del Nostro Stato Pontificio, non volendosi dai rispettivi proprietari, per giuste e convenienti speculazioni di loro privata utilità, smerciare ed esitare i generi suddetti, non possa farsi ad essi violenza alcuna, obbligandoli alla vendita coattiva dei medesimi.

18. Ma siccome la proclamata libertà di commercio è diretta non solo ad animare la riproduzione nell’interno dello Stato, ma anche a richiamare nel medesimo la concorrenza dei venditori esteri, onde sempre più ne risultino la moltiplicazione delle offerte di vendita e la desiderata moderazione dei prezzi, quindi Ci siamo anche determinati ad ordinare, come in realtà ordiniamo, che siccome in vigore di questa Nostra cedola di motu proprio dovrà essere permesso a qualunque Nostro suddito e mercante del Nostro Stato d’introdurre liberamente, e liberamente riestrarre, ogni genere di grascia da qualunque città e luogo a Noi soggetto, purché rimanga nella circolazione dello Stato medesimo, così relativamente ai generi d’estera provenienza, i mercanti debbano godere della facoltà d’introdurre nello Stato, e di riestrarre dal medesimo, a loro piacimento, i generi introdotti, salvi sempre i regolamenti delle finanze ai confini. Affinché peraltro questa felice libertà non degeneri in licenza, e sotto il suo manto non si velino le fraudolente estrazioni delle grascie nazionali, vogliamo ed ordiniamo che nei casi accennati di estrazioni dallo Stato si debba provare dal mercante che le derrate che egli vuole riestrarre sono quelle medesime che furono da lui introdotte, e che né per vendita né per commissione sono divenute nazionali. 19. Ad evitare intanto i più piccoli aggravi che potessero recarsi ad alcun commerciante o nelle introduzioni, o nelle legittime riestrazioni dei generi, prescriviamo al Nostro monsignor tesoriere generale una rigorosa vigilanza sopra i ministri delle dogane ai confini, affinché questi non vessino i mercanti con sempre nuovi pretesti, e non esigano da essi arbitrarie precauzioni che sono ordinariamente di ritardo alla libera circolazione dei generi di consumo, il che non solo vogliamo che si osservi nei generi di grascia che possano introdursi per terra, ma anche per quelli che potessero essere condotti per mare nei Nostri porti e nel Nostro litorale.

20. Affinché poi gli ostacoli veri alla libertà del commercio non si confondano con gl’immaginari e con i falsi, dichiariamo espressamente che i dazî di semplice consumo, come quelli che per loro natura si pagano dopo la perfezione dei contratti, per nessun motivo si oppongono ad essa, e basta soltanto usare delle misure adeguate nel modo di organizzarli. Siamo anzi tanto persuasi di questa verità, che stimiamo opportuno promulgare che il dazio di consumazione, che sarà da Noi imposto sulle materie di grascia, dovrà cadere per l’avvenire indistintamente tanto sul genere introdotto per le vendite, quanto su quello che s’introduce per uso di propria particolare consumazione, non essendo giusto che i possessori dei generi, in vista appunto della loro opulenza, vadano esenti da un peso che sopra tutti i consumatori si deve proporzionatamente ripartire. Perciò ingiungiamo al Nostro monsignor tesoriere generale di vigilare esattamente, onde per mezzo di opportuni moduli tutti i bestiami, e segnatamente gli animali porcini che sono allevati dentro le mura di Roma, o nelle vigne, o nei luoghi chiusi della medesima città (destinati per lo più a particolari consumazioni private) non si sottraggano a quel medesimo discreto dazio di consumazione, che secondo la proporzione del loro peso da Noi più sotto si stabilirà su tutti quegli animali che saranno per introdursi.

21. E perché tutti i Nostri provvedimenti nonché lo stesso gravame della gabella servano indirettamente all’aumento della riproduzione ed alla conseguente abbondanza delle grascie, avendo Noi riflettuto che la mattazione intempestiva degli animali non ancora adulti distrugge radicalmente la forza riproduttiva, oggetto primario delle cure d’ogni saggio legislatore economico, prescriviamo ed ordiniamo che un tal genere di animali così immaturamente consumati debba essere soggetto tanto in Roma, quanto nel resto del Nostro Stato, ad una più grave gabella, la quale corrisponda non solo al dazio di consumazione, ma anche come penale, onde non venga in avvenire impedito il naturale incremento dei bestiami. Inculchiamo pertanto anche alla Nostra Congregazione del Buon Governo d’avere a cuore le provvidenze suddette, affinché prescriva in tutte le Comunità del Nostro Stato una gabella punitiva, in quel grado che sarà da essa creduta più atta a reprimere l’immatura mattazione dei bestiami suddetti.

22. Né volendo nella Nostra legislazione economica trascurare cosa alcuna che possa favorire l’ordinata libertà di commercio, istruiti d’altronde dalla stessa esperienza che le Università e le Corporazioni tutte dipendenti e correlative alle materie di grascia, mediante il necessario ed indispensabile godimento di tante privative, esenzioni, privilegi, facoltà, prerogative, limitazioni di dispacci, e fissazione di distanze fra essi, non solo non hanno mai contribuito alla pubblica felicità, ma inceppando anzi l’andamento del commercio hanno piuttosto cagionato scoraggiamento negli speculatori, e ritardo alla perfezione delle manifatture non emulate da una libera industria, di suprema Nostra autorità comandiamo e dichiariamo che tutte le Arti dipendenti dal Dipartimento della grascia non abbiano in avvenire alcun diritto di rappresentanza sotto nome e forma di corpo, professione ed università, che vogliamo fin da ora intieramente soppresse, ed abolite, come con la Nostra suprema autorità sopprimiamo ed aboliamo, permettendo soltanto che gli esercenti le arti e professioni suddette possano unirsi nelle loro Chiese in occasione dei suffragi o di quegli altri pii e religiosi oggetti i quali sono comuni alle altre Confraternite della città, come ancora per l’amministrazione e direzione degli ospedali annessi alle Chiese stesse, ma senza che per questi pii e religiosi oggetti essi possano sottoporre ad alcuna tassa forzosa o pagamento di qualunque benché minima somma i particolari individui, dai quali per conseguenza le indicate Chiese e gli ospedali non potranno ricevere che le sole volontarie oblazioni. Per tale soppressione ed abolizione si renderanno certamente a tutti i Nostri amatissimi sudditi anche dei particolari immediati e non indifferenti vantaggi. Infatti, sciolte e distrutte le corporazioni suddette, non potrà conseguentemente aver più luogo, sotto qualunque causa o pretesto, alcuna esazione di tassa forzosa o di emolumento consimile sulle vendite, sulle botteghe e sugli spacci, e non saranno più necessarie le patenti solitamente dispensate in passato per l’esercizio legittimo dell’Arte, volendo Noi che sia permesso a ciascuno, senza la patente suddetta e senza pagamento di alcuna tassa, il libero esercizio della professione che a lui più parerà e piacerà in materia di grascia, onde tutti a vicenda si possano emulare sia sulla perfezione delle manifatture, sia sul decremento dei prezzi. 23. Infine, essendo l’osservanza delle leggi e la pronta amministrazione della giustizia la base di ogni ben regolato governo; ponderando Noi che l’esecuzione di un nuovo sistema distruttivo di tante vecchie costumanze richiede specialmente per la città di Roma le più efficaci misure, siamo venuti nella determinazione di stabilire in essa un Tribunale, che sarà chiamato Deputazione della grascia [cioè: Deputazione dell’annona, delle vettovaglie], lasciandone esercitare le funzioni nelle province del Nostro Stato alle solite legittime autorità, le quali inoltre nei piccoli paesi, dove, o per disposizione di luogo, o per povertà di fortune, o per difetto di popolazione, o per qualunque altra causa, manchi la concorrenza dei venditori dei generi, per cui non resti conseguentemente abbastanza assicurata la sussistenza del pubblico, dovranno dirigersi alla Congregazione del Buon Governo ed ottenere dalla medesima che la Comunità qualunque sia, anche baronale, provveda senza suo scapito allo spaccio dei generi di grascia in quel modo che crederà più espediente, ed ai prezzi naturali di commercio, non disuniti peraltro dalla idoneità degli oblatori. Sarà pertanto esatta e principale cura della Deputazione suddetta vigilare sull’osservanza delle leggi prescritte nella presente cedola di Nostro motu proprio, e far argine ai monopoli, alle frodi ed agli aggravi, sia pubblici, sia privati, per mezzo della retta e sollecita amministrazione della giustizia, preservando però sempre intatto al Cardinale camerlengo il pieno esercizio del suo privativo ministero della legislazione ai sensi di quanto si trova prescritto nella Nostra costituzione Post diuturnas (titolo De publicae aeconomiae administratione, et administratoribus, decretum 11). 24. Alla giurisdizione della medesima Deputazione della grascia dovranno poi essere sottoposti per l’avvenire tutti gli oggetti che appartenevano in addietro alla Presidenza, così detta, della grascia, con le modificazioni però in tutto e per tutto prescritte dalla presente Nostra cedola di motu proprio. Dovranno per conseguenza da essa emanarsi le provvidenze esecutive, che all’opportunità potranno sembrare necessarie relativamente ad ogni genere di commestibili di qualunque sorta essi siano, ed a qualunque vincolo fossero stati soggetti finora; dovranno tutti, e i singoli salumieri, macellai, orzaroli, ossia arte bianca, vermicellai, osti, formaggiai ed ogni altro venditore di generi di analoga consumazione dipendere dalla Deputazione della grascia in ciò che riguarda la legalità dei pesi e delle misure, la buona qualità dei generi da spacciarsi, salva sempre a tutti la libertà del prezzo e dell’esercizio dell’arte. Dovranno infine tutte le manifatture di sòla, di sapone, di candele di sevo, di corde armoniche e di pelli conciate in qualunque maniera, ed ogni altra manifattura relativa alla grascia soggiacere alla ispezione della Deputazione suddetta, per ciò che riguarda la loro buona qualità e la perfezione, volendo Noi che tutte quelle manifatture che sono suscettibili di bollo siano a tale effetto gratuitamente marcate dai ministri della Deputazione; questi però dovranno non solo ricusare l’apposizione del medesimo nel caso d’imperfezione del lavoro e della cattiva qualità della merce, ma farne anche l’opportuno rapporto all’intiera Deputazione, onde possa procedere contro il venditore, o manifattore, con quelle pene o multe che giudicherà convenienti. 25. E perché abbiano il pieno loro effetto le Nostre sovrane disposizioni, e perché la giurisdizione degli affari toccanti la grascia non sia divisa in più tribunali, siamo venuti nella determinazione di sopprimere, come con la presente cedola di Nostro motu proprio sopprimiamo, la giurisdizione del Tribunale dei maestri giustizieri, però solo per quello che riguarda gli affari di grascia, togliendo al detto Tribunale ogni e qualunque facoltà che sui generi di grascia fosse stata al medesimo accordata, nonostante qualunque breve, costituzione apostolica, legge statutaria, ed altro che ricercasse, e speciale menzione in contrario. E tanto più volentieri siamo venuti nella presente determinazione, quanto più l’esperienza ha comprovato non solo l’inutilità del Tribunale suddetto, ma l’aggravio ancora che ne ridonda ai venditori dei frutti sottoposti ad una tassa, il cui prodotto si divida fra pochi individui d’esso Tribunale, senza il minimo vantaggio del pubblico erario, e che perciò vogliamo soppresso ed annullato. 26. Per organizzare susseguentemente il nuovo Tribunale della Deputazione della grascia vogliamo e comandiamo che sia composto di monsignor presidente della grascia, di sei probi e sperimentati soggetti, due dei quali saranno sempre i due conservatori più antichi, per conciliare in tal modo la pubblica utilità con l’integrità dei diritti del magistrato romano, di un assessore con voto, e d’un segretario. 27. Le materie economiche e le giudiziali saranno discusse e decise dal pieno Tribunale radunato in congregazione; quelle però che riguardano strettamente il vero e puro favore del commercio, a simiglianza di quanto abbiamo prescritto relativamente alle materie annonarie con altra cedola di Nostro motu proprio e susseguenti Nostre dichiarazioni, saranno definite dal suddetto monsignor presidente con due dei sei deputati da eleggersi per turno della stessa Deputazione per quel corso di tempo che sarà da lui creduto opportuno, mentre le altre saranno privativamente giudicate da monsignor presidente della grascia. Incomberà poi a tutti i deputati, e segnatamente a quelli che verranno fra essi alternativamente dalla intera Deputazione particolarmente destinati, vigilare sui venditori, ed a tenore delle leggi condannare i trasgressori alle pene pecuniarie, dovendo peraltro sugli oggetti interessati e sugl’inconvenienti di maggior rimarco interpellare la piena Deputazione. L’assessore eserciterà le veci del fisco, e sarà obbligato a vigilare e a comunicare ai competenti superiori le denunzie che gli perverranno contro i trasgressori, nonché a ricorrere alla Congregazione economica composta dal reverendissimo Cardinale camerlengo e da altri reverendissimi Cardinali (dei consigli della quale Ci siamo principalmente serviti nel combinare le provvidenze contenute in questa Nostra cedola di motu proprio) ove da qualcuno nell’atto dell’esecuzione, o in qualunque altra circostanza, si portasse la minima alterazione all’adempimento del sistema da Noi adottato. Per supplire infine alle spese ordinarie e straordinarie del Tribunale, tanto relativamente ai dovuti onorarî e alle mercedi, quanto ad ogni altra cosa necessaria ed opportuna per l’andamento del medesimo, vogliamo che sia particolarmente assegnato il ricavato del dazio, che da Noi verrà imposto successivamente. [Seguono disposizioni sulla carne vaccina, sul bestiame pecorino, caprino e porcino; sui latticini; sull’olio; sui grassi, sui grassi sevi e sugli strutti; sui polli e le uova; sul pesce; sulle penali e loro distribuzione].

Dato dal Nostro palazzo apostolico del Quirinale oggi 11 marzo 1801.

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