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CANTO D’INGRESSO
Guidate dal vecchio padre Dànao, entrano le Danaidi, in vesti egizie, reggendo ciascuna nella sinistra un ramoscello d’ulivo avvolto di bianche lane — il segno dei supplici — e percorrono l’orchestra, sopra un lentissimo ritmo di marcia, cantando il brano seguente.
coro
Protettore dei supplici, Giove,
volgi l’occhio benevolo a questa
nostra schiera, che giunge per mare
dalle foci e le sabbie del Nilo.
La divina contrada finitima
della Siria fuggiamo; né bando
contro noi per delitto di sangue
decretava la nostra città.
Ma spontanee fuggiamo da sposi
consanguinei, schiviam l’abominio
d’empie nozze coi figli d’Egitto.
Consiglier della fuga fu Dànao
nostro padre: esso, il tutto librando,
questo farmaco ai mali rinvenne:
che sui flutti del mar c’involassimo,
che alla terra approdassimo d’Argo,
d’onde vien nostra stirpe, che vanta
la giovenca sospinta dall’estro
alla brama ed al tocco di Giove.
A qual terra potremmo approdare
piú di questa benigna, e protenderle
rami e bende con supplici palme?
Questa terra, ed i suoi cittadini,
e le candide linfe, ed i Superi,
e gl’Inferni implacabili Numi
guardïani dei tumuli, e Giove
salvatore per terzo, che i tetti
custodisce degli uomini pii,
diano asilo a la schiera fuggiasca
delle femmine; e spiri dall’animo
degli Argivi favore; e lo sciame
dei figliuoli d’Egitto protervo,
pria che posino il pie’ su le arene
della spiaggia, e il lor legno veloce
respingete nel pelago; e qui,
tra cozzare d’avverse procelle,
tra le folgori, i tuoni, le raffiche,
e la piova, sul mare selvaggio
spersi vadano, avanti che ascendano
i giacigli da cui li respinge
la Giustizia, e al legame paterno
faccian forza e a la mia volontà.