< Le vie del peccato
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Sei verità
La campana di partenza Villeggiatura

SEI VERITÀ.

A Mariano Fortuny.

Sei verità


I.

All’ingegner Paolo Daresta,

30, via Palermo,

Roma.

Torno a casa adesso. T’ho lasciato da dieci minuti. Tutto il mondo mi sembra cambiato. No, non ho paura, anzi temo che tutti mi leggano negli occhi l’orgoglio e la felicità d’essere tua. Paolo, anima mia, sì, hai ragione tu. «Perchè hai aspettato tanto, prima di venirti a chiudere qui tra le mie braccia?» Son state le parole tue oggi dopo il primo bacio. Hai ragione, ho perduto scioccamente troppi giorni di felicità. Perdonami e compensami con tanto amore.

Scrivere a te, così, con queste parole, dalla mia piccola scrivania, nella mia stanza dove tu sei penetrato quasi a forza l’altro giorno con la scusa di vedere i miei ritratti di collegio, mi pare un sogno. Mi guardo attorno. L’aspetto di tutte queste cose tra le quali ho vissuto sempre sola – tu sai quanto sola! – per anni, è mutato. Fino a stamane io venivo a rifugiarmi qui contro tutti: anche contro te, quando avevo paura di te, venivo a rifugiarmi qui, tremando. E anche di giorno, chiudevo le imposte e le cortine, accendevo la mia lampadina velata di rosa, mi immaginavo che fosse notte per sentirmi più sola, e mi raggomitolavo nella mia poltrona, selvaggia come una bestiola nella sua piccola tana. Adesso, da quattro ore, il mio rifugio non è più qui, è da te, nella stanza nostra, fra le braccia tue, Paolo mio, core mio, amante mio... Ho scritto la grande parola: amante mio! Mi par quasi un eroismo riescirla a scrivere francamente, senza paura: amante, amante mio! Adesso qui, fra i miei mobili, fra i miei gingilli, fra i miei fiori, fra i miei cuscini sono come in esilio. Tutto è vuoto, è senz’anima. Solo dove sei tu, core, è la vita.

E mi guardo sul braccio il segno rosso che mi hai fatto tu; e sento le labbra tue che schiacciano le mie, ancóra, ancóra; sento le mani tue nei capelli; nell’orecchie i tuoi baci. Paolo, Paolo mio! La mano mi si illanguidisce così che non so più stringere la penna, lo vedi.

Perchè t’amo tanto? Si sa mai perchè si ama? E lo posso sapere io che non ho amato mai?

Ho un anno più di te. Paolo! Quest’è il mio terrore.

Dammi un bacio. No, due! No, cento! Io t’adoro. Sono certa che stasera mi scriverai anche tu. A domani, alle tre. Pensa alle forcelle piccole e alla Poudre d’Houbigant.

Lora tua, tutta tua.

7 aprile 19... ore 7,30 di sera.

II.

Al conte Anselmo Ricci,

Arezzo per Larisana.

Caro Anselmo, dovrai restar molto ancóra? Lo vorrei sapere perchè il tappezziere, ancóra non ha finito di mutare i parati alla tua camera da letto, e a mettergli troppa fretta addosso temo che lavori male. Mi promette di finire tutto fra sei giorni, cioè per mercoledì.

Sono stata ieri, domenica, a vedere Neluccia al convento. È contenta e non si ricorda più nemmeno dell’influenza di febbraio scorso. M’ha detto di chiedere al suo papà che mandi altre due scatole di fichi e mandorle alla Madre Superiora, perchè le piacciono molto. E piacciono molto anche a lei! Quest’è la ragione vera...

Ho incontrato ieri l’ingegner Daresta, quello che era a Camaldoli. M’ha chiesto di venirci a salutare una sera, ma gli ho riposto che tu restavi ancóra qualche giorno in campagna per i bachi.

La mamma è venuta poco fa mentre ero a cena. È tutta sossopra perchè Rosa la sua vecchia cameriera soffre d’asma. E non osa metterla in riposo per prenderne una più giovane. Pure avrebbe bisogno di più cure, alla sua età. Credo che finirò a parlar io con Rosa, di nascosto della mamma.

Se fai una corsa a Firenze, ricórdati d’andar a salutare Fabrizio del Salto e sua moglie all’Hôtel Savoy. Sono in piena luna di miele.

Che tempo fa a Larisana? Qui, delizioso. Oggi ho fatto una passeggiata di tre ore, un po’ a piedi, un po’ in carrozza. E sono stanca morta. Perciò chiudo. Del resto è già così tardi che manderò Pietro alla stazione a impostare al treno delle dieci e mezza.

Un bacio buono, sulla fronte.

La tua moglietta Nora.

7 aprile 19... ore 10 di sera.

III.

Alla signora Elena Stari,

5, via Lorenzo il Magnifico.

Firenze.

Ça y est, Elena mia. Oggi sono stata tre ore a casa di Paolo Daresta. Non abbiamo mai nominato Fabrizio. Paolo innamorato sincero beato non sospetta nemmeno quale sia stato il primo e triste motivo del mio sì. Il giorno che tu mi rivelasti il tradimento di Fabrizio cioè il suo matrimonio imminente e mi proponesti, quasi per gioco, di vendicarmi col suo amico Paolo, io ero risoluta a far soltanto le mostre di... vendicarmi. Adesso invece che la vendetta c’è, non so più se debbo rivelarla o no al colpevole. E da due ore son qui sola nella mia stanza a cominciare e lacerare la letterina che devo mandare a Fabrizio.

Povero Paolo! Egli crede d’essere il primo, e non m’ha nemmeno interrogata. Pochi giorni fa parlando di Fabrizio, me ne lodò la lealtà, l’amicizia, ecc., senza l’ombra d’una reticenza, d’un sottinteso, d’una malignità. È così giovane, ha un anno meno di me; anzi, credo tre.

Il fatto si è che forse mi metterò ad amarlo con tutto il cuore, anche per far perdonare al mio amore il suo peccato d’origine. Del resto si sa mai perchè si ama? Le vie del peccato sono tante, mi diceva molti anni fa un confessore gesuita, ma novantanove volte su cento si pecca d’amore non per amore. La vendetta, il dispetto, la curiosità, il danaro, la noia, la paura della solitudine o della vecchiaia e qualche rarissima volta anche la passione... Ecco la verità vera.

In ogni modo, bisogna che io scriva a Fabrizio... Sarà la liberazione, finalmente! Tu che lo vedi più spesso e conosci sua moglie, sai che sia sempre felice... dopo un mese di matrimonio viaggiante? Se mai, la mia letterina sarà una bella bomba nella felicità del menage. Non vorrei che qualche scaglia ferisse Paolo: quest’è la sola paura.

Mio marito è ancora ad Arezzo, pei bachi. A domani, forse, con più calma.

tuissima Eleonora.

7 aprile 19... 10 ½ di sera.

IV.

Al conte Fabrizio del Salto

Hôtel Savoy,

Firenze.

Vi sembrerà strana questa mia lettera dopo due mesi di silenzio che voi avrete magari supposti due mesi di pena. Appunto per questo vi scrivo. Proprio ieri un’amica comune mi ha avvertito che voi parlate di me con un’affettuosa pietà che per lo meno è ridicola. Fate male, Fabrizio, e avete torto. Io oggi sono una donna felice: amo come non credevo di poter amare e sono amata come ho desiderato sempre (e sempre invano) d’essere amata. Siate altrettanto felice voi, se lo potete. Ve lo auguro, senza rancore, stendendovi la mano.

Per l’ultima volta

Lellè.

7 aprile 19... 11 di sera.

V.

Alla contessa Eleonora Ricci,

15, via Vittoria Colonna,

Roma.

Amore, tesoro, Lora mia, tutta mia, ti scrivo nella nostra stanza, presso il nostro letto che è ancóra odoroso di te, che conserva ancóra la forma del tuo corpo. E tremo e t’adoro. Da oggi la mia vita è tua, minuto per minuto. Tu ne farai quel che vorrai poichè l’hai accettata fin dal primo bacio tutta. Domattina alle undici e mezza sul corso, tra San Marcello e via Condotti. E domani nel pomeriggio, alle tre qui. Ti bacio tutta, anima mia tutta bianca.

Paolo.

7 aprile 19... ore 10 di sera.

VI.

Al conte Fabrizio del Salto

Hôtel Savoy

Firenze.

Fabrizio mio, è fatta! Ed è deliziosa. Grazie. Ella non sospetta nemmeno che io sappia quel che c’è stato per un anno fra voi due. È stata buona, semplice, affettuosa... Ma non voglio dir troppo perchè, per quanto tu sia felice e abbia finalmente trovato la vera donna da amare, un po’ di rimpianto potrebbe offuscare per un minuto la tua felicità presente! Ti dico solo grazie, centomila volte grazie. Solo ai consigli tuoi suggeriti dalla tua conoscenza profonda del... soggetto devo la celerità e – ormai lo posso dire – la sincerità del suo consenso. Tu vivi pure fra due cuscini; non ti disturberà più nè con rimproveri nè con minacce. E la tua luna di miele potrà essere – come deve essere – eterna.

Rispetti alla tua signora ma... non le far leggere questa lettera. Lo so: il consiglio è inutile!

In fretta, chè ho sonno,

tuo Paolo.

7 aprile 19... ore ½ di sera.





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