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L’ANELLO DEL MORTO.
Chi lo portava nude adesso e rigide
tiene le mani in croce, e non le stende
mai, nè più mai s’animeran d’un fremito.
Or quell’anello sul mio dito splende.
Splende al raggio del giorno e splende ai vividi
doppieri, come quando egli, il giocondo
capo d’adolescente erto, i miracoli
tutti poteva interrogar del mondo.
Va la mia mano sulla carta e sprizzano
baleni dalla gemma. Anch’io, fornito
il breve giorno, pregherò che cingasi
di questo istesso anello un altro dito;
e quando questo, ben di noi men fragile
cerchietto, splenda sovra un’altra mano,
anch’io sarò sotto la terra, immobile,
indifferente ad ogni dramma umano.
Dio!...Già mi vedo, come in sogno, chiudere
nella bara, per sempre al buio, e un lento
strisciar, succhiar d’animaletti gelidi
sulla mia carne irrigidita io sento.
Dio!... Forse intanto, al chiaro giorno, un libero
vivente troverà questa ingiallita
carta tra vecchie carte, questa pagina
che calde adesso toccan le mie dita.
Vedrà queste sottili aste che rapida
traccio sul foglio, mentre pieno il senso
della vita mi tiene, e pulsa il sangue,
e vedo, odo, desìo, palpito, penso.
Egli si chiederà: — Neri ebbe o ceruli
occhi?...fu bella?... Ed io nella macabra
mia prigione, laggiù, riderò l’orrido
riso dei morti che non han più labra.