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NEL BOSCO.
I.
Suona il bosco che Aprile agita; olezza
l’aria; tra i rami la campagna aprica
ride; e ancora mi parli, o giovanezza,
e ancor t’ascolto, o mia morente amica.
È tardi, è tardi! e vana è la fatica
— o sola della vita alta dolcezza! —
che il bisbigliarmi la lusinga antica
ti costa. È triste l’ultima carezza!
È tardi, è tardi! rassegnata muori,
nè pensar che ti salvi ira o lamento;
è la tua sorte la sorte dei fiori
nati di foglie sotto avaro velo,
di fior cresciuti in triste isolamento,
che un sol non vider mai lembo di cielo.
II.
O Messer Lodovico, oblìo domando
al gaio verso che la varia sorte
narra ed il lungo vaneggiar d’Orlando,
oblìo per tutte le mie gioie morte!...
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Ecco; per me del mio Ruggiero in bando
cadon d’Atlante le incantate porte,
libera anch’io, guerriera anch’io, col brando
movo a torlo d’Alcina alle ritorte.
Suona il bosco. Laggiù tra scure fratte
è Angelica che fugge? O tempestosa
di Baiardo che vien la zampa tuona?
È Bradamante che sfidata abbatte
il re di Circassìa, poi, non pensosa
che dell’indugio, a tutta briglia sprona?
III.
Oh se mai di laggiù, dietro quel folto
non d’Euro nato volator corsiero,
non divina beltà, non cavaliero
d’armi raggiante o in persi drappi avvolto;
ma sulla fronte arruffatello e nero
il crine, e dietro in lunghe trecce accolto:
ridente il bruno ritondetto volto,
sfavillante l’aperto occhio sincero,
venir vedessi una fanciulla e intorno
volger lo sguardo soddisfatto e buono
quasi pensando: — Tutto il mondo è mio! —
E dir la udissi: — Vedi? a te ritorno,
la tua risorta giovanezza io sono,
guarda; non sogni, no; guarda, son io! —