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maggio 1907
Mio caro De Amicis,
L'Etna ed io t'abbiamo aspettato invano. Non sei ancora guarito? O le arti di Armida invescandoti «Nel regno dell'amore» ti hanno distratto dalle splendide ascensioni? Gloria ad Armida in tal caso ed all'aurea bellezza,
ond'hanno,
Ristoro unico ai mali,
Le nate a delirar menti mortali.
Non sorridere. Vuoi forse dirmi che alla nostra venerabile età... No, mio caro:
Beata cosa è amor, chi ben l'estima,
E ad ogni core, ad ogni età conviene,
Sol che con parca mano i tempestivi
Doni ne colga, e, riottoso al volo
Delle stagioni, tu non chieda al verno
Quanto all'agosto od all'april s'addice.
Io, non ostante i soliti acciacchi, corro dietro ai fantasmi dell'Ideale, e mi sento più alacre e quasi quasi ringiovanisco al risveglio augurale, che scuote finalmente le coscienze della nazione e la spinge a smantellare la Bastiglia clericale e a snidare gl'immondi rapaci.
Da quarant'anni io combatto per questo risveglio e ne ho avuto scherni ed oltraggi dalla clericalaglia, dalla nobilea, dal borghesume bottegaio e maligno, e sopratutto da quella pessima canaglia minosseggiante delle gazzette che più si accanisce contro chi più la disprezza.
Ora che i nodi si appressano al pettine, io mi rallegro con me stesso, non tanto perchè da ogni loco d'Italia la gioventù mi dà segni non dubbi di stima affettuosa, quanto per la speranza luminosa che l'incendio onde rosseggia la nebbia borghese non sia per finire in una fiammata di paglia.
Altro non potendo, io mando all'animo dei giovani che me ne richiedono scintille e faville prorompenti dal cuore non ancora del tutto incenerito.
Perchè non alzi la voce anche tu? La mia, naturalmente aspra, riesce spesso molesta; la tua, soavissima, persuaderebbe tutti alla crociata santa contro l'esercito delle tenebre.