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aprile 1886 - Catania

Che altri sconosca che cosa io possa e che valga, non è da stupire, ma che tu filosofo, mi proponga di far ciò a cui la natura non m'ha chiamato,[1] credi, amico Bovio, mi meraviglia e mi duole. Ma che candidatura, che deputazione, che vita politica! Ti pare che io sia uomo da ciò? A solo pensarlo, mi s'accappona la pelle.

Nè ciò, credi, sia orgoglio o modestia o pusillanimità; ma conoscenza piena delle mie ristrettissime facoltà e schiettezza sincera di confessarla. Non ci mancherebbe altro, che dopo trent'anni di meditazioni sul famoso..., io non fossi ancor buono a valutare Quid valeant humeri etc.

Io ammiro, e tu lo sai, te e il Cavallotti e qualche altro, uomini molteplici che sapete e potete esercitare la vostra mirabile operosità in molte sfere, che dalla contemplazione passate all'attività, dalle placide speculazioni filosofiche alle torbide battaglie parlamentari, e dai trepidi entusiasmi dell'arte alle tempeste della vita pubblica; ma devo io per amor d'imitarvi o per misera ambizione di parer da più di quel che sono, contravvenire alla mia natura che mi ha dato un ingegno unilaterale e quasi monomaniaco?

Tolto dal campo letterario, e quest'aggettivo letterario bisogna intenderlo in senso ristrettissimo, credete a me, io non son più buono a nulla, l'animo mio non si nutrisce nè respira più: sono un pesce fuor d'acqua. - Ma il paese ha pur diritto a qualche vostro servizio! - Si, mio caro, ma nel limite delle nostre forze e con la possibilità d'un qualche utile.

Bell'utile, in verità, innestare una marza di fico in un ramo di limone! Il paese, sicuro, s'ha da servire, ma con quegli istrumenti e quelle armi che la natura ci ha dato.

Bella, per esempio, che, per far servizio al paese e piacere agli amici, io dovessi mettermi il rocchetto e servir la messa! No, miei cari, lasciate i morti nella propria nicchia, e i vivi nel proprio posto.

Certo, voi non mi vorreste alla Camera soltanto per far numero e crescere il gregge, che a tale officio, benchè assai fratellevole, la mia cristiana modestia non si presterebbe.

Comunque sia, io non sono di quelli che se la guardano dalla terrazza: il mio pensiero e con voi; e se non so combattere con la spada e dar la scalata e montar sulla breccia, qualcosa credo poter fare, e farò, ma con la penna: questo è il mio artiglio, disse l'asino.[2]


Note

  1. Il Bovio con lettera del 14 aprile annunziava al Rapisardi che a Marsala «portavano la sua candidatura, e gli raccomandava di accettare. Cfr. l'ode Per la mia candidatura in « Poesie religiose».
  2. Allude, celiando come ben si comprende, alla favola riferita: anche da Giordano Bruno nel suo Candelaio atto II, sc. 4.

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