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28 dicembre 1878
Caro Settimio,
Ho scritto L'epistola a Lucrezio, un'ode al re, destinata a procacciarmi altri e non meno accaniti nemici, do l'ultima mano al poema della Natura, studio la fisica del Mascotti, e la teoria atomica del Wurtz, m'accapiglio con la grammatica tedesca del Muller, comincio a tradurre letteralmente la Zuleica di Bodenstedt, squisitissima poesia che farò forse conoscere agl'Italiani; e per intercalare a tutta questa arruffata canzone del mio lavoro, l'emicrania e la noia e un disprezzo invincibile e quasi morboso per tutto questo canagliume ovattato di prosopopea che mi bulica intorno agli stivali!
La febbrile attività del mio ingegno, a cui non giova l'idroterapia dei disinganni, mi da un po' da pensare.
Che siano gli ultimi guizzi della lampa?
Chi vivrà vedrà; io non temo nè spero.
Certi versi di Ruckert che ho sotto gli occhi mi fanno ridere...
Solite storie! Sentite quest'epigramma:
Dice Stecchetti, il tisico immortale,
Che imitato ho Parny nel mio poema:
Felice lui, che con audacia estrema
Non imita nessun, fuor che il maiale.
Ed ora addio. Avete ricevuto il Ferron? Avete carezzato la zazzera del Gangetico Assalonne? Siete stato invitato alle nozze del prof. Trezza? O miseras hominum mentes, o pectora coeca!
Prendetevi un bacio del vostro...