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LV. Ad Urbano VIII
LIV. Al padre Ippolito Lanci di Acquanegra LVI. A Marco Aurelio Severino

LV

Ad Urbano VIII

Difesa dell’ortodossia della sua dottrina astronomica, e promessa,
se gli sarà comandato, di migliorarla.

Santissimo Padre,

Non senza providenza divina il divino intelletto di Vostra Beatitudine che nella faccia della veritá mira con disgusto ancora i nèi, dubitò sul Commento dell’oda di Vostra Beatitudine, perché dalla resoluzione io manifestassi quel che nelle promesse a Paolo V di bona memoria scrissi, la tacita congiura di scienziati nel nostro secolo fatta ad oscurar la veritá evangelica. La quale scoperta, ne siegue in parte la conversion delle nazioni, come mostrai nel libro De symptomatis mundi per ignem interituri contra ptolemaici e copernicani ed altri astronomi e fisiologi e macchiavellisti, delli quali profetò il prencipe degli apostoli: «venient in novissimis diebus viri illusores iuxta propriam conscientiam ambulantes et dicentes: ‘Ubi est promissio aut adventus eius? ex quo dormierunt patres, omnia perseverant sicut ab initio creaturae'».

Consentendo a quel che dice Aristotele nel primo De coelo, che per molti migliara d’anni mai li corpi celesti non cambiâro sito, moto, numero e magnitudine, onde conclude che pur mai si muterá e che sia incorruttibile ed eterno. Contra cui disse David: «caeli peribunt et sicut vestimentum veterascent et sicut opertorium mutabis eos et mutabuntur»: come avvertisce sant’Ambrogio in Exameron 4 e tutti padri, ed aspettava veder presto san Gregorio in Homilia primae dominicae Adventus; come si vede al presente per consenso di tutti astronomi — o vònno o no, pur lo confessano, che dopo che la Sapienza incarnata disse: «virtutes caelorum movebuntur» «et stellae de caelo cadent», ed i pianeti e’l sole son calati piú vicini a terra quasi cento e diecemila miglia, come prova la diminuzione dell’eccentricitá per vero movimento e non perché il sole ingrossò mangiando vapori, secondo dubitosamente pensa il Galileo con l’altri filosofi e poeti, in particolare Omero, che però par piú vicino.

E gli apogei e perigei dove s’alzano ed abbassano han mutato sito in posteriora signorum quasi trentasei gradi, poiché quel del sole era a quattro di Gemini ed or si trova in dieci di Cancro; e cosí degli altri. Li punti cardinali degli equinozi e solstizi son mutati per ventotto gradi innanti: perché si faceva il vernal equinozio nella prima stella d’Ariete, ed adesso si fa nel secondo grado di Pesci, et sic de singulis: e però le stelle di Ariete intrâro in Tauro, quelle di Tauro in Gemini etc.: talché tutte le figure mutâro stanza, come confessano tutte le nazioni oggi, cristiani, giudei, maomettani e gentili, con scorno di Aristotele e di politici che eternano il mondo, e con gusto di santi padri; come si vede anche dalla mutazion del calendario fatta con somma ragione da Gregorio XIII, per queste esorbitanze volendo far accordar l’anno civile coll’astronomico, per le feste mobili aggiustare al rito del concilio niceno. Ci è anche la via del sole ristretta per ventiquattro minuti dall’equatore a’ tropici. Dalle quali esorbitanze sono mossi gli astrologi a metter moto in posteriora nell’ottava sfera, il quale si complisse in trentaseimila anni, secondo Tolomeo ed Ipparco: e dopo questo circuito aspetta Albumassar ed altri il fin del mondo, perché invero non convien dire che si finisca il mondo pria che si finisce una circulazion almeno del primo mobile, come non si finisce il giorno se non si finisce una circulazion diaria del sole. Altri poscia per salvar l’apparenze posero novi circelli e librazioni come Thebit babilonico e ’l re Alfonso, e tiran la vita del mondo a quarantanovemila anni; se ben Albategnio, da loro sequitato, non va se non a ventitremila incirca e Nicolò Copernico per salvare questi fenomeni donò il moto alla terra ed al mondo vita di venticinquemila ottocento sedici anni.

Ed io, Santissimo Padre, vedendo tra loro incostanza ed impossibilitá nelli dogmi e secondo la sacra scrittura, feci quattro libri di Astronomia nova, mostrando gli errori di Copernico non che degli altri, scoprendo che questi son li sintomi della morte del mondo — come vogliono con David tutti i santi padri, non quattro o cinque etc., — e che questi scienziati fanno il conto senza l’oste e peccano di petizion di principio e rendono non cause per cause: pensando io in ciò esser utile a santa Chiesa ed alla conversione delle nazioni, perché discopro questi esser li regni «in sole et luna et stellis» dati dal Messia per il secondo avvento e cominciati poco avanti nel primo in parte, quando in Aggeo profeta disse: «adhuc modicum et movebo caelum et terram, et veniet desideratus cunctis gentibus etc.». Perché invero quando nacque il Messia, erano caminati quasi cinque gradi avanti i punti cardinali e si cominciò questa mutazione insensibilmente, consentendo e scommovendosi tutta la machina del mondo alla novitá e preparamento dell’umanazion del Verbo eterno suo autore, per ristorar l’uomo e tutte le creature, ciascuna secondo la capacitá sua, come si cava dall’8 Ad romanos, da santo Crisostomo e da tutti padri migliori: «et omnes creaturae sentiunt creatorem», come dice san Gerolamo, In Matthaeum, 8. E benché Pico mirandolano pensi che queste esorbitanze fossero state avanti, nel tempo di caldei ancora, viene condennato come errante manifestamente dalla nomenclatura della dodecatemoria di segni del zodiaco, poiché da quando Prometo promulgò l’astronomia al tempo di Abramo, sempre si cominciò e seguitò a numerare dal principio d’Ariete, e si dovea pur esser Gemini o Cancro principio dell’equinozio allora, se fosse come lui dice; ed altre ragioni ho contra. Ma si vede che questa mutanza cominciò dal tempo d’Aggeo in qua, come si prova per l’osservazioni di caldei, greci, egizi, latini ed arabi fin al nostro tempo portate, di Abrachis Merone e Timochari ed Ipparco avanti la venuta del Messia, e dopo la venuta da Menelao romano e Tolomeo egizio e Maometto arateo ed Arzachiel moro e Profazio giudeo e dal re Alfonso e Georgio Peurbachio e Giovanni di Monteregio ed alfin da Nicolò Copernico nel 1525. Da cui si mossero li padri del concilio lateranense sotto Giulio II a trattar la riforma del calendario necessaria ut supra; e fu perfezionata poi da Gregorio XIII secondo l’osservazioni del medesimo Copernico nel libro delle Revoluzioni celesti, dedicato a Paolo III Farnese. Il qual Copernico con tutti gli altri fecero ben il conto e mostrâro l’esorbitanze in cielo; ma poi nel rendere la ragione errâro, perché non vollero riconoscere che questi son li segni dati da Cristo, i quali a san Gregorio parvero vicini per argomento fisico e teologico, dicendo che tutti li segni del secondo avvento erano passati. Ma «signa in sole et luna et stellis adhuc aperte minime vidimus, sed quia non longe absint ab aeris immutatione colligimus»; o bene: perché non si mutan le cose inferiori, come prova Aristotele e Platone e tutti fisiologi ed astrologi ed anche i migliori teologi, se pria non si fa mutazion in cielo sua causa universale. E nel suo tempo si videro tanti terremoti ed inundazion di popoli sopra l’imperio, notate anche da sant’Ambrogio e da tutti padri per prodigiose, e tante pestilenze e cadute de nazioni; e nacque la pestilente sètta di Maometto, facendosi la congiunzion magna in Scorpione venenoso, quando la velocitá dell’anomalia della calata del sole scommosse il suolo e svaporò tanta peste e mali affetti negli animi sensuali che da sé si soggettano alle stelle, dice san Tomaso, sottomettendosi alle passioni corporali.

E perché questi scienziati scrivono tante mostrositá per eternar il mondo e mostrar, come profetò san Pietro, che «omnia perseverant sicut ab initio creaturae», con fallaci invenzioni volendo provare che questi sono naturali e senza Dio — e pur l’iride è naturale ed è dal patto divino, — non sapendo che la natura è stromento di Dio a lui serviente, ma gentilizzando quasi di altro fosse natura che arte di Dio, come sgrida san Gregorio nisseno e san Basilio e san Tomaso anche in Physicorum, e’ levano il mondo da questa vigilanza perché «dies Domini sicut fur in nocte nos comprehendat», come profetò l’Apocalisse e san Pietro e san Paolo; perché questi segni non han d’essere noti a tutti se non a chi vigila sopra li giudici divini, come disse san Paolo, Ad Thessalonicenses, 5: «nos autem non sumus filii noctis neque tenebrarum quos dies Domini sicut fur in nocte comprehendat, sed vigilemus». Ed io che discopro questo, devo almen esser inteso per la bona intenzione dell’effetto. Perché tutte nazioni concordando che ci sono queste esorbitanze e nessuna sapendo rendere la ragione se non Cristo dio nostro che le predisse, perché l’avea da fare, son forzati a venire alla nostra fede; massime quelli del regno di Fez e di Persia e del Cataio e chinesi che filosofano ogge sopra queste dissorbitanze e non san trovarne la ragione, se non vengono ad impararla dalla scola di Cristo, come per figura a tempo d’Isaia mandò il re di Babilonia al re Ezechia di Gerusalem che li dicesse ragione del portento del sole retrocesso decem lineis: del che sagacemente s’avvertîro gli astronomi caldei. Però non pensi Vostra Beatitudine ch’io sia con Copernico; giá che si vede che io scrissi quattro libri contra lui e Tolomeo ed altri astronomi gentili, giudei e maomettani; e quando scrissi quello apologetico Pro Galilaeo, giá l’avea avuto tal libro monsignor Gentile, e credo sia in questo Santo Offizio; e nella terza parte della Metafisica e nella Fisiologia io avea pur reprobato questa opinione, e si vede che sono stampate avanti. Ed io fo menzione nel primo numero della terza seczione del Commento dell’oda di Vostra Beatitudine, come Copernico errò in questo; e poi, nel numero 8 del medesimo, dico che ho fatto l’apologetico ad istanza del cardinale Bonifacio Gaetano pro Copernico et Galilaeo, quando si disputava in Santo Offizio la lor opinione s’era eretica o no. E questo solo punto si controvertia — giá che l’esser falsa io lo presupponevo da quel che scrissi in tanti libri: — e però disputai ad utranque partem circa l’eresia o non eresia di quest’opinione solamente, e mi remisi a quel che la Santa Congregazione avea a determinare; ma non però accettai Copernico, da me reprobato, se non che disputai se sia eretica o no la sua opinione ad utranque partem. Onde dissi: «forsan non pugnat cum sanctis»; ed avanti la determinazione: «liceit opinari ad alteram partem», non che ad utranque, come feci io, secondo dechiara san Tomaso e tutti santi teologi in questi casi: e tanto piú che Copernico fu fomentato da Paolo III e dal cardinale Cusano che segue in tutto la sua opinione.

Ma dopo il decreto della Congregazione io scrissi ch’era eresia, come appare dalle mie Questioni fisiologiche, e mi rallegrai che fu determinato in favor mio: il quale ho mostrato nelli detti libri pur allegati nel primo numero dell’oda, sectio 3, che la sua opinione è contraria alla fisiologia non che alla chiesa; ed ho risoluto le sue ragioni solo con metter la calata del sole per fondamento secondo il Vangelio. E poi nel numero 8 non dissi che Vostra Beatitudine favorisse all’opinione di Copernico; ma perché nell’Indice novo sta scritto, se ben mi ricordo, per ordine di Vostra Beatitudine, che si può tener hypothetice il suo libro, quando dice che la terra si muove, mettendo questa condizionale se si movesse, seque etc. et conditionalis non ponit in esse, per regola logicale non ho inferito che Vostra Beatitudine favorisse questa opinione, ma che «sustinendam hypothetice cum philosophorum commodo et reipublicae incolumitate simili mira providentia curavit». Perché in vero era necessario tener Copernico, perché la riforma del calendario ha testimonianze vere e potenti dalle sue osservazioni ma non dall’opinioni, e perché serve assai gli astronomi, e con dir: «hypothetice si può tenere», provide Vostra Beatitudine alla chiesa ed a’ scienziati, e levò l’errore; e questo io lodai, come si può veder nel primo ed ottavo numero. Ma se non m’esplicai bene, si può megliorare, come si degnará commandarlo.

Ma, di piú, io mostrai modo di salvar l’apparenze; e che la riforma del calendario sta bene e che sará spesso bisogno riformarlo, perché il cielo non camina come pensò Copernico né Tolomeo, né come Aristotele, né come Platone e gli altri: ma come vole Dio. Il quale per mantenerci in vigilanza sopra i suoi giudici, sovente muta i movimenti e sito de corpi lucenti, come appar dall’anomalie scritte da tutti gli astronomi e piú da Copernico, ma falsamente asserite che saran sempre le medesime. Onde io provai che ci sono anomalie d’anomalie e con Ticone e seguaci; e però sará bisogno sovente mirar in cielo per questo calendario, posto nella chiesa da Dio per mantenerci in questo esercizio necessario sopra i giudici suoi. «Videbo caelos tuos opera digitorum tuorum, lunam et stellas, quae tu fandasti»; e da questo mio studio si leva lo scrupolo di tanti mila anni di etá del mondo, perché in vero per bon calculo non arriva l’etá del mondo passata a seimila anni; e del futuro gli apostoli dicono che semo giá nell’ora novissima: e cosí Esdra e tanti grandi dottori, e pur li scolastici san Vincenzo e ’l Bellarmino e l’abbate Gioacchino vogliono che siamo nel fin del quinto sigillo dell’Apocalisse e quinta etá della chiesa, e nella sesta vien l’Anticristo e poi la ren vazion del secolo.

E cosí io confondo li macchiavellisti e scienziati che eternano il mondo con Aristotele: e sa Vostra Beatitudine quanti mali son venuti da questa dottrina in settentrione ed Italia — dimandine lo studio di Padua; — o vero lo allungano contro la sacra scrittura a quarantanovemila anni, come sopra mostrai da Copernico e d’Alfonso ed Abbategno e Tolomeo ed Albumassar ed altri, fomentati in errore con tante fallaci invenzioni di contra il Vangelo congiuranti. E quando io parlarò a Vostra Beatitudine, questo ed altro sentirá con gusto — spero dal suo gran senno — e m’ammenderá dove li pare circa la scienza, lodando la buona volontá. «Adiutor meus et liberator meus es tu, Domine, ne tardaveris». Al suo giudizio appello tutti li miei pensieri; e sempre meglio conoscerá che non ci è intelletto piú accordante con la scola di Cristo di questo del suo sventurato servo. «Redime me a calumniis hominum et custodiam mandata tua».

Del che sará glorioso in cielo ed in terra; e fra questo baciando i santi piedi, prego l’Altissimo per la sua salute a benefizio delle virtú cristiane. Amen.

 [Roma,] dal Santo Offizio, la vigilia dello Spirito santo [io giugno] 1628.

Di V. B. cane fidelissimo contra tutte mali bestie

mal conosciuto.
 «Emitte lucem tuam».

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