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(Firenze, 2 giugno 1612)
Ill.mo e Rev.mo Sig.re e P.ron Colen.mo
Tra i molti favori riceuti da V. S. Ill.ma e R.ma, mi resta fisso nella memoria quello che ella mi fece alla tavola del Ser.mo Gran Duca mio Sig.re nel passar ella ultimamente di qua, quando, disputandosi di certa quistion filosofica, lei sostenne la parte mia contro all’Ill.mo e R.mo Sig.re Cardinal Gonzaga e altri di opinione contraria alla mia; e perché mi è convenuto, per comandamento di S.A., mettere più distintamente in carta le mie ragioni, e appresso publicarle con la stampa, che pur ora si è compita, mi è parso di doverne mandare una copia a V. S. R.ma, e appresso supplicarla che con sua comodità resti servita di vedere o sentire quanto io propongo in questo trattato, dove credo che ella non meno scorgerà che prese il patrocinio tanto di un suo servitore quanto della verità stessa.
Credo che averà inteso il romore, che va a torno in proposito delle macchie oscure che continuamente si scorgono e osservano con l’occhiale nel corpo del sole; e perché di costì mi viene scritto che uomini di molta stima di cotesta città se ne burlano come di paradosso e assurdo gravissimo, mi è parso di toccare brevemente a V. S. Ill.ma quanto passa circa a questo negozio
Sono circa a diciotto mesi, che riguardando con l’occhiale nel corpo del sole, quando era vicino al suo tramontare, scorsi in esso alcune macchie assai oscure; e ritornando più volte alla medesima osservazione, mi accorsi come quelle andavano mutando sito, e che non sempre si vedevano le medesime, o nel medesimo ordine disposte, e che tal volta ve n’eron molte, altra volta poche, e tal ora nessune. Feci ad alcuni mia amici vedere tale stravaganza, e pur l’anno passato in Roma le mostrai a molti prelati e altri uomini di lettere; di lì fu sparso il grido per diverse parti d’Europa, e da quattro mesi ha qua mi sono state mandate da varii luoghi varie osservazioni disegnate, e in particolare tre lettere circa a questo argomento scritte al Sig.r Marco Velsero d’Augusta, e date alle stampe con un nome finto di Apelles latens post tabulam; le quali lettere mi furon mandate da l’istesso Velsero, il quale mi ricercò del mio parere intorno alle dette lettere, e più circa a quello che io stimavo di poter sapere dell’essenza di esse macchie. Io gli scrissi una lettera di sei fogli in tal proposito, confutando l’opinione del finto Apelle e di quelli che sin qui ne avevano parlato; e finalmente, dopo molti e varii pensieri che mi sono passati per la fantasia, mi risolvo a concludere e indubitatamente tenere, che le dette macchie siano contigue alla superficie del corpo solare, e che quivi se ne generino e se ne dissolvino continuamente, essendo altre di più lunga e altre di più breve durata: sonvene delle più dense e oscure, e delle meno; per lo più si vanno di giorno in giorno mutando di figura, la quale è il più delle volte irregolarissima; frequentemente alcuna di loro si divide in due, tre o più, e altre, prima divise, si uniscono in una; e finalmente, in virtù di un loro universale e comune movimento, son venuto in certezza indubitabile che il sole si rivolge in sé stesso da occidente verso oriente, cioè secondo tutte le altre revoluzioni de’ pianeti terminando un’intera conversione in un mese lunare in circa. E per quanto ho osservato, la moltitudine massima di tali macchie si genera tra due cerchi del globo solare che rispondono ai tropici, e fuori di tali cerchi non ho quasi mai osservata alcuna di tali macchie; le quali, quanto alla generazione e dissoluzione, rarefazione, condensazione, distrazione e mutamenti di figura e ogn’altro accidente, se io dovesse agguagliare ad alcuna delle materie nostre familiari non se ne troverebbe altra che più l’imitasse che le nostre nugole.
Tutto questo che dico a V. S. Ill.ma e R.ma è talmente vero, e per tanti e tanto necessari riscontri da me confermato, che non mi perito punto a darlo omai fuori per sicuro; e il burlarsene molti, come intendo, non mi spaventa punto, perché siamo in materie che sempre potranno da infiniti e in tutte le parti del mondo esser osservate, e di mano in mano da quelli di miglior senso riconosciute per vere: onde io animosamente ardisco di esser il primo a dar fuora conclusioni che hanno sembianza di sì strani paradossi. Solo mi dispiace che quelli che se ne burlano, giuocano, come si suol dire, al sicuro, certi di non perdere e con rischio di guadagnar assai; perché, se quanto io affermo e loro negano si trovasse esser falso, loro senza fatica nessuna avrebbono il vanto di aver meglio inteso, che altri doppo molte e laboriose osservazioni; e quando si venga in certezza che quanto io dico sia vero, essi restano scusati dal non avere prestato l’assenso a cose tanto inopinate. Se V. S. Ill.ma averà vedute le tre lettere del finto Apelle, io gli potrò mandare copia della lettera che scrivo al Sig. Velsero in tal materia intanto gli mando alcuni disegni delle macchie solari, fatti con somma giustezza tanto circa al numero quanto circa alla grandezza, figura e situazione di esse di giorno in giorno nel disco solare. Se occorrerà a V. S. Ill.ma trattare di questa mia resoluzione con i litterati di cotesta città, averò per grazia il sentire alcuna cosa de i loro pareri e in particolare de i filosofi Peripatetici, poi che questa novità pare il giudizio finale della loro filosofia, poi che iam fuerunt signa in luna, stellis et sole, insieme con la mutabilità, corruzione e generazione anco della più eccellente sustanza del cielo, tal dottrina accenna corruzione e mutazione, ma non senza speranza di rigenerarsi in melius.
Ho tediato a bastanza V. S. Ill.ma e R.ma: scusimi per la sua infinita benignità, e per la medesima mi conservi il luogo che si è degnata donarmi nella grazia sua. E umilmente me l’inchino.
Di Firenze, li 2 di Giugno 1612.
Di V. S. Ill.ma e R.ma
Devot.mo e Oblig.mo Ser.re
Galileo Galilei.