< Lettere (Machiavelli)
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Lettera a Francesco Guicciardini
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XXXV.


AL MEDESIMO.


Io non vi ho scritto poi che partii di costì, perchè ho il capo sì pieno di baluardi, che non vi è potuto entrare altre cose. Si è condotta la legge per l’ordinario in quel modo e con quell’ordine che costì per nostro Signore si divisò. Aspettasi a pubblicare il magistrato, e a gire più innanzi coll’impresa, che di costì venga lo scambio a Chimenti Sciarpelloni, il quale dicono che, per essere indisposto, non può attendere a simili cose. Converrà ancora fare lo scambio di Antonio da Filicaja, al quale avanti jeri cadde la gocciola, e sta male. Maravigliasi il Cardinale non avere avuto risposta di Chimenti, e si comincia a dubitare di qualche ingambatura: pure non si crede, sendo la cosa tanto innanzi.

Io ho inteso i romori di Lombardia, e conoscesi da ogni parte la facilità che sarebbe trarre quelli ribaldi di quel paese. Questa occasione per l’amor di Iddio non si perda, e ricordatevi che la fortuna, i cattivi nostri consigli, e peggiori ministri avevano condotto non il Re, ma il Papa in prigione. Ne lo hanno tratto i cattivi consigli di altri e la medesima fortuna. Provvedete, per l’amor di Iddio ora in modo che Sua Santità ne’ medesimi pericoli non ritorni, di che voi non sarete mai sicuri, sino a tantochè gli Spagnuoli non siano in modo tratti di Lombardia, che non vi possano tornare. Mi pare vedere l’Imperatore, veggendosi mancare sotto il re, fare gran proferte al papa, le quali doveriano trovare gli orecchi vostri turati, quando vi ricordiate de’ mali sopportati, et delle minacce che per lo addietro vi sono state fatte, et ricordatevi che il duca di Sessa andava dicendo, quod pontifex sero Caesarem ceperat timere; ora io so ha ricondotto le cose in termine, che il Papa è a tempo a tenerlo, quando questo tempo non si lasci perdere. Voi sapete quante occasioni si sono perdute: non perdete questa né confidate più nello starvi, rimettendovi alla Fortuna et al tempo, perché con il tempo non vengono sempre quelle medesime cose, né la Fortuna è sempre quella medesima. Io direi più oltre, se io parlassi con huomo che non intendesse i segreti o non conoscesse il mondo. Liberate diuturna cura Italiam, extirpate has immanes belluas, quae hominis, preter faciem et vocem, nichil habent.

Quì si è pensato, andando la fortificazione innanzi, che io facci l’ufizio del Provveditore, e del Cancelliere, e mi faccia aiutare da un mio figliolo, e Daniello de’ Ricci tenga i danari e tutte le scritture.

A dì 17. di Maggio 1526.

Niccolò Machiavelli.



XXXVI.


A NICCOLÒ MACHIAVELLI.


NIccolò carissimo, avrete visto per la pubblicazione del Magistrato, che a quest’ora debbe essere fatta, che il dubbio che voi avevi costì, di che mi scrivete per la vostra de’ 17. era vano perchè nostro Signore è del medesimo pensiero, nè per raffreddarsene a giudizio mio; e lo scambio che gli ha ordinato per

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