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Lettera a Francesco Guicciardini
Lettera XVI a Francesco Guicciardini Lettera XXVI a Francesco Vettori


XLI.

A FRANCESCO GUICCIARDINI.

Sig. Luogotenente di Modana.

Si scrisse a VS. una lettera più atta a trattenere Filciafo, che a fare qualsivoglia altra cosa; per questa si ha a scrivere il seguito dipoi. E cominciandomi da Modana, come io giunsi, Filippo mi si fe’ incontro e mi disse: È egli però possibile che io non abbi fatto mai cosa che bene stia? Io gli risposi così ridendo: Signor Governatore, non ve ne maravigliate, chè non è difetto vostro, ma di questo anno, che non ci è persona che abbia fatto ben veruno, nè cosa per il verso. L’Imperatore non si può essere portato peggio, non avendo mandato in tanto tempo ajuto alcuno a questi suoi, e lo poteva fare facilmente; gli Spagnuoli hanno potuto qualche volta farci di gran natte, e non lo hanno saputo fare; noi abbiamo potuto vincere, e non abbiamo saputo; il papa ha creduto più ad una impennata di inchiostro che a mille fanti che gli bastavano a guardarlo; solo i Sanesi si sono portati bene, e non è maraviglia se in un tempo pazzo i pazzi provano bene; di modo, Signor Governatore mio, che sarebbe più cattivo segno l’aver fatto qualche buona prova, che avendola fatta cattiva. Or poichè così è, disse Filippo, io me ne voglio tòrre di affanno, e ne resto molto contento; e così si finì il primo atto della commedia. Venne poco dipoi il conte Guido, e come mi vidde, disse. È più adirato il Luogotenente? risposi di nò, perchè non aveva più presso chi era cagione che si adirasse; e per non dire tutti i particolari, si ragionò un poco di questa vostra benedetta stizza; e egli disse, che andrebbe prima in esilio in Egitto, che condursi in esercito dove voi fussi. Quì io dissi quello che si conveniva, e particolarmente si disputò de’ mali e de’ beni che aveva fatto la presenza vostra, tale che facilmente ognuno cedette, che l’aveva fatto più bene che male. Stetti in Modena due giorni, e praticai con un profeta che disse con testimonii aver predetto la fuga del papa e la vanità della impresa, e di nuovo dice non essere passati tutti li cattivi tempi, ne’ quali il papa e noi patiremo assai. Venimmo alla fine in Firenze, e de’ maggiori carichi che io vi abbia sentito dare, è lo avere con lettere, scritte quì al Cardinale, mostra la facilità dell’impresa e la vittoria certa, dove io detto ho che questo non è possibile, perchè io credo avere veduto tutte le lettere importanti, che VS. ha scritto dove erano opinioni tutte contrarie ad una certa vittoria.

A dì 5. di Novembre 1526.

Niccolò Machiavelli.


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