< Lettere (Machiavelli)
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Lettera a Ricciardo Bechi
Lettera I a Luigi Gucciardini


II.


A un Amico.


Per darvi intero avviso delle cose di quà circa al Frate1 secondo il desiderio vostro, sappiate che dopo le due prediche fatte, delle quali avete avuta già la copia, predicò la domenica del Carnesciale, e dopo molte cose dette, invitò tutti e suoi a comunicarsi il dì di Carnesciale in S. Marco, e disse che voleva pregare Iddio che se le cose che gli aveva predette non venivano da lui, ne mostrasse evidentissimo segno; e questo fece, come dicono alcuni, per unire la parte sua, e farla più forte a difenderlo, dubitando che la Signoria nuova già creata, ma non pubblicata, non gli fosse avversa. Pubblicata dipoi il lunedì la Signoria, della quale dovete avere avuta piena notizia, giudicandosela lui più che e li due terzi nemica, avendo mandato il Papa un Brieve che lo chiedeva, sotto pene d’interdizione, e dubitando egli ch’ella non volesse ubbidire di facto, deliberò o per suo consiglio, o ammonito da altri, lasciare il predicare in S. Reparata, et andarsene in San Marco. Pertanto il giovedì mattina, che la Signoria entrò, disse in S. Liperata, che per levare scandolo, e per servare l’onore di Dio, voleva tirarsi indreto, e che gli uomini lo venissino ad udire in S. Marco, e le donne andassino in S. Lorenzo a Fra Domenico. Trovatosi adunche il nostro Frate in casa sua, chi avrà udito con quale audacia e’ cominciassi le sua prediche, e con quale egli le seguiti, non sarebbe di poca admiratione; perchè dubitando egli forte di sè, e credendo che la nuova Signoria fusse al nuocergli inconsiderata, e deliberato che assai cittadini rimanessino sotto la sua ruina, cominciò con spaventi grandi con ragione a chi non le discorre efficacissime, mostrando essere optimi e sua seguaci, e gli adversari sceleratissimi, tochando tutti que’ termini che fusseno per indebolire la parte adversa e affortificare la sua; delle quali cose perchè mi trovai presente qualcuna brevemente ritratterò.

L’assunto della sua prima predica in S. Marco, furono queste parole dell’Esodo: Quanto magis premebant eos, tanto magis multiplicabantur & crescebant; e prima che e’ venissi alla dichiarazione di queste parole, mostrò per qual cagione egli s’era ritirato indietro, e disse: prudentia est retta cognitio agibilium. Dipoi disse che tutti gli uomini havevono hauto e hanno un fine, ma diverso: de’ christiani il fine loro è Christo, degli altri uomini, e presenti e passati, è stato e è altro, secondo le sette loro. Intendendo adunche noi, che christiani siamo, a questo fine che è Christo, dobbiamo con somma prudentia e observantia de’ tempi servare lo honore di quello; e quando il tempo richiede esporre la vita per lui, esporla; e quando è tempo che l’uomo s’asconda, ascondersi, come si legge di Christo e di S. Pagolo; e così soggiunse dobbiamo far noi, e abbiamo fatto, perocchè, quando fu tempo di farsi incontra al furore, ci siamo fatti, come fu il dì della Ascensione, perchè così lo honore di Dio e il tempo richiedeva; hora che lo honore di Dio vuole che si ceda all’ira, ceduto abbiamo. Et facto questo breve discorso, fece dua stiere, l’una che militava sotto Iddio, e questa era lui e sua seguaci, e l’altra sotto il diavolo, che erano gli avversarj; e parlatone diffusamente, entrò nell’esposizione delle parole dell’Esodo proposte, e disse che per le tribolazioni gli uomini buoni crescono in due modi, in spirito e in numero; in spirito, perchè l’uomo si unisce più con Dio, soprastandogli l’avversità, e diventa più forte, come più appresso al suo agente, come l’acqua calda accostata al fuoco diventa caldissima, perchè è più presso al suo agente. Crescono ancora in numero, perchè e’ sono di tre generazione uomini, cioè buoni e questi sono quegli che mi seguitano, perversi e ostinati, e quelli sono gli avversari. E’ un’altra specie di huomini di larga vita, dediti a’ piaceri, nè obstinati al mal fare, nè al ben fare rivolti, perchè l’uno da l’altro non discernano; ma chome fra e buoni et perversi nasce alcuna dissentione in fatto, quia opposita iusta se posita magis elucescunt, conoschono la malitia de’ tristi, et la simplicità de’ buoni, et a questi s’achostano et quegli fuggono, perchè naturalemente ogni uno fugge el male et seguita el bene volentieri, et però nelle adversità e tristi mancono et e’ buoni multiplicano; & ideo quanto magis &c. Io vi discorro brevemente, perchè la angustia epistolare non ricercha lunga narratione. Dixe di poi, entrato in varii dischorsi, come è suo costume, per debilitare più gli adversarii, volendosi fare un ponte alla seguente predicha, che le discordie nostre ci potrebbono fare surgere un tiranno che ci ruinerebbe le case et guasterebbe la terra; et questo non era contro a quello ch’egli haveva già detto, che Firenze havea felicitare, et dominare ad Italia, perchè poco tempo ci starebbe che sarebbe cacciato; et in su questo finì la sua predicazione.

L’altra mattina poi esponendo pure l’Esodo, e venendo a quella parte, dove dice che Moisè ammazò uno Egizio, disse che l’Egizio erono gli uomini captivi, e Moisè il predicatore che gli amazava, scoprendo e vitii loro; et dixe: O Egiptio, io ti vo’ dare una coltellata; et qui cominciò a squadernare e libri vostri, o preti, et trattarvi in modo che non n’harebbono mangiato e cani; dipoi soggiunse, et qui dipoi soggiunse, e a questo lui voleva capitare che voleva dare all’Egizio un’altra ferita e grande, e disse che Iddio gli aveva deto, che egli era uno in Firenze, che cercava di farsi tyranno, e teneva pratiche e modi perchè gli riescisse, e che voleva cacciare il frate, scomunicare il frate, perseguitare il frate, non voleva dire altro se non che voler fare un tiranno; e che si osservassino le leggi. E tanto ne disse, che gli uomini poi il dì fecero pubblicamente conietura di uno, che è tanto presso al tiranno, quanto voi al Cielo. Ma avendo dipoi la Signoria scritto in suo favore al papa, e veggiendo non gli bisognava temere più degli adversarii suoi in Firenze, dove prima lui cercava d’unire sola la parte sua col deextare gli adversarii e sbigottirgli col nome del tyranno, hora, poi che vede non gli bisognare più, ha mutato mantello, e quegli all’unione principiata confortando, nè di tyranno, nè di loro scelerateze più mentione faccendo, d’innaglienirgli tucti contro al sommo pontefice cerca, e verso lui e’ suoi morsi rivoltati, quello ne dice che di quale vi vogliate sceleratissimo huomo dire si puote; e cosa, secondo el mio iudicio, viene secondando e tempi, e le sua bugie colorendo. Ora quello che per vulgo si dica, quello che gli huomini ne sperino o temino, ad voi, che prudente see, lo lascierò giudicare, perchè meglio di me giudicare lo potee, con ciò sia cosa che voi gli humori nostri, e la qualità de’ tempi, e, per essere costì, lo animo del pontefice appieno conoschiate. Solo di questo vi prego: che se non vi è paruto faticha leggere queste mie letere, non vi paia anche faticha el rispondermi che iudicio di tale dispositione di tempi e d’animi circa alle cose nostre facciate. Valee.

Dabam Florentiae die 8. Martii 1497.

Vester
Niccolò di Bernardo Machiavelli.


  1. Fra Girolamo Savonarola.

Note

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