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XIX. — A un Rossi o Roux
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XIX. — A un Rossi o Roux.1


Finalmente, dopo tante dilazioni e circuiti, sono capitati i libri. Ho dato a legare quello del signor Rochelle per divorarlo. Veggo ch’è una raccolta così compita, che v’è cibo per ogni complessione. Mi sono messo immediate sopra le arringhe del signor Servino;2 e la prima datami in mano, e sopra la quale sono, è quella del Breviario di Anjou, nella quale veggo cosa che non avrei creduto, cioè l’autorità del papa in Francia essere quanta al re piace; e mi meraviglio perchè non gli piaccia meno. Prego V. S. che si degni di ringraziare ambedue questi signori per mio nome affettuosamente della grazia e favore fattomi in parteciparmi le loro degne fatiche; e quando avrò letto parte di quelle, ed abbia alcun particolare da mettere per materia della lettera, con tal occasione farò loro un altro rendimento di grazie.

Alli signori Gillot e Leschassier, scrivendo per altro, faccio le debite grazie; a questo per il codice Magontino, a quello per la raccolta dei Contratti. Del libro del re d’Inghilterra io faccio il medesimo giudizio che V. S.; e parmi di poter dire, che siccome il letterato non maneggia armi con frutto, così io.3

La canonizzazione del padre Ignazio4 è dovere che sia procurata dal re, atteso che sarà un canonizzare la possessione del regno di Navarra, difeso da quel buon padre a favore della scomunica di Giulio II. Con difficoltà crederò ch’egli intenda la lettera, quale insegna che non può stare amicizia dove un solo sia ingannatore, ma dove due. Che sarà? Non posso dire se non che in alcune lingue due negazioni affermano, in altre negano maggiormente, e però resta a vedere che lingua usino fra loro. Ci vuole un grande Edipo.

Le cose di Giuliers danno qualche materia di ragionamento qui, ma poca per la lontananza. Il palatino di Neumbourg ha mandato un suo gentiluomo a dar conto delle ragioni sue a molti principi d’Italia, ed a questa Repubblica ancora. A questo siamo poco attenti: non occorre dubitarne. Non mi allungherò più per non attediarla.

Di Venezia, il 13 maggio 1608.



  1. Tra le edite in Capolago (1847). Il Bianchi-Giovini, suppone questo nome di Rossi o Roux accattato a fine di precauzione, e forse per coprir quello del calvinista francese Castrino.
  2. Luigi Servin, avvocato generale nel Parlamento di Parigi, fu autore di orazioni forensi e di arringhe, che goderono a’ suoi giorni un’assai grande celebrità.
  3. Sospettiamo essersi qui mal compreso il manoscritto, e che dovrebbe piuttosto leggersi: così ec., e interpretarsi la reticenza: così un re non maneggia con frutto la penna. Sembra, poi, qui alludersi alla risposta che il teologante Giacomo I aveva fatto al cardinale Bellarmino, che contro lui aveva scritto, col falso nome di Mattias Tortus. E lo spiritoso re intitolava la sua replica Tortura Torti; od anche Triplici nodo triplex cuneus (Londra, 1607).
  4. Parlasi del Loyola, che nè anche allora fu sollevato all’onor degli altari, ma solo nel 1622.


Note

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