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XVIII. — Al signor De l’Isle Groslot.1
Delle cose del mondo, se ben forse V. S. le saprà meglio che noi. In Germania, per la causa di Donavvert, si è ristretta grandissima intelligenza tra li principi di quello Stato, e gran parte delle città franche.
L’arciduca Mathias si è impadronito dell’Ungaria; sì che non ci resta altro che il titolo regio. Egli si arma, e l’imperatore ancora; in maniera che, se il moto non s’acqueta, presto è necessario che segua una guerra e civile e famigliare. Adesso noi che aveamo li occhi tutti volti alli Paesi Bassi, gli abbiamo rivoltati in Germania, come a negozio di maggior stima. Le dirò questo particolare. Una persona che V. S. può molto ben giudicare chi sii, essendogli rimostrato che bisogna lasciar le cose leggieri e attendere alle gravi, quali sono le ungariche e germaniche, rispose: — Là ci è poco da perdere. —
Resta che ci conformiamo nell’opinione della empietà e crudeltà. De’ tali narrerò bene a V. S. un esempio non inferiore alli generosi dell’antichità. Giampolat Bassà di Aleppo, che per tre anni ha fatto la guerra alle forze del principe de’ Turchi, ebbe pochi mesi sono una rotta dalle genti del Signore, ma non tale che non avesse potuto con facilità rimettersi, e rinnovare la guerra più che prima. Con tutto ciò, sprovvistamente partito dalla Soria, è andato in diligenza a Constantinopoli, e senza aver trattato nè fatto far parola alcuna, ha messo la sua persona in mano del Signore. Sì che l’esempio di Scevola non sarà unico. Io non farei termine di scrivere, quando non avessi riguardo che troppo le son stato importuno: con che farò fine, pregando Dio Signore, che doni a V. S. il colmo delle sue grazie.
- Di Venezia, il primo d’aprile 1608.
- ↑ Tra le stampate in Ginevra (1673).