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VI. — Al medesimo
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VI. — A Monsignor Luigi Lollin.1


Venendo costà il padre baccelliere Domenico da Udine, a cui V. S. illustrissima ha fatto grazia dell’udienza di Agord, ho voluto accompagnarlo con questa mia, per non tralasciar occasione alcuna che mi si presenti di farle riverenza. Qui siamo più nel verno che mai e sepolti nella nebbia, onde le visite librarie dormono: io mi trattengo a leggere Plutarco di Jaces Amiot, che mi pare più bello di Plutarco stesso, e mi doglio che non sia tradotto talmente da un italiano.2 Siamo in un gran mancamento senza quel libro. L’altro giorno feci un poco di comparazione con l’italiano del Gandino, e col latino che abbiamo, così lontani da questo come la notte dal giorno. Si vede bene che il tradur non è solo di chi sappia ambedue le lingue, ma di chi sii trasformato nell’ingegno dell’autore. Mi viene detto per certo, che alla fiera prossima avremo l’Eusebio di Scaligero, purchè una cosa fattasi tanto desiderare riesca all’espettazione. Io resto pregando Dio Nostro Signore per la prosperità di V. S. illustrissima e reverendissima, alla quale con riverenza bacio le mani.

Di Venezia, il 1 febbraro 1603.



  1. Inedita: come sopra.
  2. Non era per anche comparsa l’elegante traduzione del Pompei. Le versioni delle Vite di Plutarco e degli Amori pastorali di Longo fatte, nel sec. 16, da Giacomo Amiot, sono connumerate tra i capolavori della letteratura francese.


Note

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