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LXIV. — Al signor De l’Isle Groslot.1
Per la morte del granduca di Toscana, quello Stato non ha sentito alcuna mutazione, nè meno vi è materia d’onde possa sorgere. Si credeva da alcuni, che qualche disgusto domestico potesse nascere tra madre e figlio2: con tutto ciò nè anco questo si vede. Ma, succeda quello che vuole in Italia, tenga V.S. per certo, che non seguirà guerra, se li Spagnuoli non consentono. Essi vanno acquistando in più luoghi, come ella fa menzione; e chi vede le cose de’ futuri travagli, teme di anticiparli se tenta farsegli incontro.
Che siano stati imprigionati alcuni per la fuga dell’arcidiacono, è vero: credo anco che al papa non sia piaciuto; non però ne ha fatto motto alcuno. Io di ciò non ho scritto a V.S., come di cosa frequentissima. Qui, dappoi composte le discordie, sono stati imprigionati per diverse cose, tra frati e preti, al numero più di cinquanta. In quei principii a Roma dicevano qualche cosa: adesso è fatto tanto famigliare, che non ne parlano più.
Io ho fuggito una gran cospirazione contro la mia vita, intervenendovi di quelli propri della mia camera. Non ha piaciuto a Dio che sia riuscita, ma a me ben molto dispiace di quelli che sono prigioni per questa cosa. Non mi è grata la vita, che per conservare veggo tante difficoltà.3
Mi pare gran cosa che il re non abbia potuto dare a suo figliuolo un precettore di proprio gusto, che non l’abbino avuto questi che danno legge al mondo. Delle tre qualità che V.S. dà al soggetto, due sono molto cattive, nè la terza (ch’è la poesia) è molto buona.
Intendo che già è destinata persona per succedere al signor de Champignì nell’ambasciata a questa Repubblica. Desidero che V.S. mi dica le qualità del soggetto, usando la sua solita veracità.
Abbiamo qui la composizione quasi intiera delli moti di Austria, con poca speranza che debbino acquietarsi gli altri. S’inaspriscono le querele tra l’imperatore e il fratello: li sudditi dell’imperatore vogliono pattuir con lui, avendo poco risguardo alla maestà del principe. Li Ungari pretendono ricuperar da Ferdinando arciduca alcune piazze sull’Adriatico spettanti a quel regno. Malamente tante turbolenze s’acqueteranno. Della tregua nei Paesi Bassi non so più che dire, avendo nuove contrarie: voglio aspettar l’esito, prima che fermar la mia credulità.
È arrivato l’Assenmullero mandato del signor Bongars, il quale sarà del signor Molino, che ne desiderava uno; poichè già dal signor Castrino io ne ricevei un altro per questo spaccio. Il detto signore m’ha fatto capitare un altro libretto sopra li Gesuiti, che mi riesce grato. Mi sono anco state mandate di Parigi alcune proposizioni di monsignor Vignier, De Antichristo, molto ben digeste. Ringrazio ben molto V.S., che riceva sopra se tutto l’obbligo verso il signor Castrino, perchè merita questo signore doppia ricompensa per li molti favori che continuamente mi presta.
Ognuno sta attento a vedere quello che riuscirà in un negozio ch’è in piedi per la vacanza dell’abbazia della Vangadizza; luogo posto alli confini del Ferrarese, che ha entrata da 12,000 ducati. Il pontefice l’ha data a suo nepote, quale ormai ha 100,000 ducati di beneficii ecclesiastici. La Repubblica prega il papa di darla alla congregazione de’ Monachi: però le cose stanno così. La Repubblica non ha passato innanzi a far azione alcuna, nè il nepote del papa dimanda la possessione. Non è facile giudicar quello che possa riuscire. Se, per accidente (cosa che non credo), si contenterà, la contenzione non passerà le parole, e i confini ai quali sono poste da Spagna le colonne d’Ercole.
Il Padre Fulgenzio sta predicando, come già due anni, quando V.S. lo sentì; chè l’anno passato non predicò. Sono state fatte gran macchinazioni contro lui: sino al presente sono superate: così Dio faccia succedere all’avvenire. Il signor Molino la saluta, e riconosce il libro dell’Assenmullero da Lei; e io le bacio le mani.
- Di Venezia, il 30 di marzo 1609.
- ↑ Edita: come sopra.
- ↑ Moriva nel febbraio di quest’anno Ferdinando I de’ Medici, succedendogli Cosimo II, maritato recentemente a Maria Maddalena, figlia dell’arciduca Carlo d’Austria. La granduchessa vedova era Cristina di Lorena.
- ↑ Dai biografi dell’autore è narrato, che tre Serviti del convento medesimo di Venezia, Fra Bernardo e Fra Gian Francesco da Perugia, e un frate Antonio scrivano e molto dimestico di Fra Paolo, sedotti da Roma, congiurassero per avvelenare il grand’uomo nell’atto del medicarlo, o per introdurre sicari nella sua camera. Scoperta la trama, si vuole che il Sarpi adoperasse le più calde suppliche, fino a mettersi ginocchioni innanzi al Consiglio dei Dieci, per ottenere il perdono del più colpevole fra i tre malfattori. Costui salvò la vita, facendo rivelazioni che misero in chiaro la correità persino di un cardinale.