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LXV. — Al nominato Rossi.1
Io tengo tre lettere di V.S., due venute per questo spaccio, l’altra con l’ordinario passato; ma non so per qual causa pervenutami in mano il giorno dopo la partenza del corriere, che fu la causa perchè allora non le scrissi. Risponderò a tutte passo per passo.
Il signor ambasciatore ha mandato i libri consegnatigli da V.S. a Torino, per via di Lione, di dove verranno a Bergamo, essendo massa troppo grossa per mandare con lettere. In questi saranno anche le arringhe del signor Servino. Scriverò a monsignor Gillot alla ricevuta della sua raccolta, e frattanto pregherò V.S. si degni far i miei ringraziamenti ad ambidue, e ad accertarli della mia gratitudine per i molti favori che mi fanno.
I brevi di papa Clemente VII e dell’imperatore Carlo V sono, per verità, memorie degnissime, e mi meraviglio che non ne sia stato tenuto miglior conto. Qui in Venezia non furono mai stampati. Io n’ho veduto due esemplari; uno di stampa di Magonza; l’altro non mi ricordo dove sia stampato, ma bene fu ne’ tempi stessi, 1572. Farò ogni opera per acquistarne un esemplare, e lo manderò.
Le tre dispute tenute a Sedano sono una molto buona digestione di quella materia. Avevo speranza che fossero bastanti per far conoscere, il che vuol dire distruggere, quella tirannide, quando N.S. non l’avesse riservata al suo avvenimento. Delle cose nostre le posso dire in grosso, che camminano al medesimo modo, e possiam dire il sonetto del Petrarca:
“Pace non trovo, e non ho da far guerra.„
Crescono ordinariamente i disgusti, ma non si può venire ad effetti per le cause molto ben note. Dopo fatta la guerra se si rimetteranno nel fodero le armi germaniche, potremo dire d’aver una pace Ottaviana:2 nondimeno, con poca speranza di continuazione, sentendosi in ciascuna regione disgusti notabili ed inaccomodabili.
Mi piace che in Limoges e Poitiers s’incomincino a conoscere i Gesuiti. Qua non muovono per anco parola di ritornare: credo che ci disegnino, nè posso indovinare se lor verrà fatto in caso di qualche mutazione del mondo. Questo ricerca spirito di profezia; ma per via di negozio, possono ben tenere la cosa per disperata. Stupisco come in Germania non si facciano nominare, e forse che aspettano maggior opportunità di comparire a far la parte loro. Ho ricevuto l’esemplare scritto delle loro Regole, ma non ho ancora potuto vederlo se non che superfizialmente: però, per la prima vista datagli, spero che sarà cosa per me.
Finalmente, siamo pur usciti fuori dell’aspettazione della tregua. Poich’è finita, ci resterà da pregare Dio che riesca bene; perchè per averla tanto ardentemente procurata, non vorrei vedere verificato il proverbio, che l’uomo procaccia il suo male. Tutto è in mano di Dio.
Il padre Fra Fulgenzio ha predicato Cristo e la verità, senza disputare con i pareri di qualsivoglia, e senza offendere alcuna delle persone; alle quali non è bastato l’animo di dire che predicasse il falso, ma sì bene diminuito il vero, per non aver egli aggiunto nè voluto aggiugnere per loro istanze quello che desideravano. Le opposizioni si sono superate. Di sonetto che sia stato fatto, io non so niente: questo dirò bene, che non v’è memoria d’un predicatore al quale sia concorsa audienza tanto numerosa nè così docile.
Ho sentito gran dispiacere della indisposizione del Casaubono, massime per essere stato in pericolo di vita. Faccia Iddio, come lo prego, che possiamo godere l’amico lungamente.
Il poema che mi manda di Alemagna è di bella forma, ma per mancamento di materia è imperfetto. L’autore ha bisogno d’essere consigliato ad operare sopra qualche soggetto degno del suo ingegno: ma i due ultimi epigrammi sopra il Borghese,3 sono molto spiritosi ed hanno le code ben acute. Mi sono piaciuti sommamente.
Delle cose di Levante vanno attorno gran novelle; perchè, chi vuole che il Turco sia per uscire con centocinquanta e chi con ducento galere, e che pensi di acquistare un porto in Italia, ed altre canzoni. La verità è che uscirà l’armata marittima dei Turchi, ed avrà cento galere, computate le guardie ordinarie e due galere grosse: cosa insolita sino al presente a’ Turchi. Non sarà armata per far impresa reale, sebbene nel regno di Napoli stiano con timore. Il parer mio si è che scorreranno le riviere di Sicilia e di Calabria, saccheggiando e bruciando e predando anime: e con questo penseranno di risarcire le ingiurie ricevute l’anno passato da Toscana; le quali, per dire il vero, sono state più temerità, che altro. Senza dubbio, maggior danno riceveranno i Cristiani; ma quel duca, che Dio assolva,4 era pieno di concetti guasti.
Il duca di Parma5 sprovvistamente ha posto nel suo castello di Piacenza mille fanti, fatti nel ducato di Castro, che è antico patrimonio di casa sua. In terra di Roma molti sono attoniti a pensare che sospetti abbia avuti. Io non basto per fare alcun giudizio.
Prego V.S. farmi sapere lo stato di monsignor Leschassier. Ancora lo prego dar parte delle suddette nuove a monsignor dell’Isle, al quale non iscrivo per angustia di tempo. Al signor presidente Thou bacio riverentemente le mani.
- Di Venezia, il 28 aprile 1609.
- ↑ Tra le raccolte dal Bianchi-Giovini, pag. 164.
- ↑ “Cioè, pace generale, come ai tempi di Ottaviano Augusto.„ (Bianchi- Giovini.)
- ↑ Dovrebbe qui parlarsi non del Borghese, nipote del papa, come suppose il Bianchi-Giovini; ma dell’infelice Bartolommeo Borghese, che era stato bruciato in Parigi e di cui si parla in più d’una delle Lettere precedenti.
- ↑ Il granduca Ferdinando I, di cui vedi al principio della Lettera LXIV. Le imprese delle galere toscane contro i Turchi dell’Affrica e l’espugnazione di Bona, avevano avuto luogo, non già nell’anno precedente, ma nel 1607.
- ↑ Ranuccio I Farnese, di tirannica indole e molto da’ suoi sudditi odiato; il quale al ducato di Parma e Piacenza univa pur quello di Castro; ond’ebbero origine, col papa Urbano VIII, le lunghe guerre che nell’istoria di nostre vergogne chiamaronsi: la prima e seconda guerra di Castro.