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LXVI. — Al signor De l’Isle Groslot.1
Il plico del signor Castrino, che portò quella di V.S. delli 17 marzo, non mi fu reso se non un giorno dopo partito il corriere di oggi 15, se bene avevo ricevuto lettere da diversi in tempo; ma non so per qual causa quel solo piego ebbe cattiva fortuna. Questo fu cagione che non Le scrissi con lo spaccio passato, nel soggetto della questione che va attorno in questi tempi.
Io resto con ammirazione perchè quelli i quali tengono per certa l’affermativa, e veggono nelle scritture che l’avvenimento del Signore disperderà quella tirannide, non se ne contentino aspettando quel tempo, ma lo voglino prevenire; non ricevendo per sè l’ammonizione che Cristo nostro Signore fece a san Pietro, quando con le armi pretese impedire il divino decreto della morte sua. Ma nissun documento può fare che l’uomo non voglia fondar suoi rispetti più nelli mezzi umani che nelli divini. Sino il padre Ignazio, capo delli Gesuiti, come raccontano nella sua vita, si fondava tanto sopra li rispetti umani, come se alcun divino non ve ne fosse.
Le cose successe il primo maggio al signor patriarca sono state molto considerabili;2 e dopo ne sono successe di altrettanto gravi, e alla giornata ne vanno succedendo; e questa Repubblica serva la sua dignità costantemente. È stato provveduto contro alcuni confessori che ponevano per scrupolo a chi tiene le scritture favorevoli alla Repubblica nell’occasioni passate con ragionevole severità; e aggiungo quasi per parentesi, che quel frate di N.3 che, già un anno, fu licenziato per questo, e dimandò esser assoluto, e si presentò sottoponendosi al giudizio, si ritrova sequestrato ancora nella sua cella per prigione.
Il padre maestro Fulgenzio ha predicato in quella maniera appunto che V.S. l’udì già due anni. Ha patito grande opposizione da questo nunzio, il quale ha fatto anco di ciò querimonia, dicendo che non si poteva dire che la dottrina fosse cattiva, ma però che non conveniva aspettare che il predicatore si dichiarasse eretico. E il pontefice, querelandosi dell’istesso, ha detto che quel predicare la Scrittura ha del sospetto, e chi vorrà star attaccato alla Scrittura, ruinerà la fede cattolica. L’udienza che ha frequentato quella predica è stata numerosa e fiorita, essendosi trovato fin 600 alla volta, della, nobiltà. Egli ha parlato dicendo sempre la verità, e provandola per le Scritture, senza riprendere mai alcuno; e sopra tutto ha atteso a riprendere quella ignoranza che vuol rimettersi al saper altrui, e non intendere il suo dovere. Non si può offendere li Gesuiti più mortalmente; i quali non hanno altro fondamento che la pubblica ignoranza.
Intorno quel che V.S. mi dimanda della mitra, le posso parlar con certezza. Porta il pontefice romano due mitre: una con le due punte, in tutto simile a quelle de’ vescovi, e di questa sola usa nelle messe e altri uffici divini; l’altra, tonda con le tre corone, come V.S. ne avrà veduto il ritratto. Questa porta nelle processioni fuori della chiesa, ma non mai nelli uffici divini: quella è antica, come a V.S. è noto; questa non eccede trecento anni. Io sono stato in sacrestia del pontefice più e più volte, ed ho avuto in mano tutte le mitre e tutti li regna mundi; chè con questo nome chiamano quelle tonde,4 restando il nome di mitra alle cornute solamente. E avverto V.S., che non vi è lettera di sorte alcuna: certamente chi lo dice non l’ha veduta.
L’ufficio che vien fatto col signor Casaubono mi pare appunto quello che fece la volpe d’Esopo con le altre, dopo aver perduto la coda alla trappola. La tregua delli Stati, finalmente, ci ha liberati della pena che l’aspettazione porta seco. Io non so dove la potenza spagnuola si volterà: non son lontano da credere che quella nazione pensa far meglio il proprio profitto con una pace totale. Vero è che Dio compone spesso le cose contro il disegno degli uomini. Sia fatta la sua santa volontà!
Intorno le macchinazioni contro la mia vita, poichè non vi sono stati se non se trattati e pratiche e non si è venuto ad alcuna esecuzione, non è neanco conveniente passar a pena corporale. Però ancora non è finito il negozio; ma io faccio e ho fatto ogni opera (e mi riuscirà) acciò si metta ogni cosa in silenzio. Volendo star sotto la protezione divina, conviene seguir li comandamenti di quella.
Ho ricevuto dal signor Castrino, insieme con quelle di V.S. delli 30 marzo, alquanti quinterni scritti di ordinazione de’ Gesuiti. Veggo ch’è stato sottratto quanto si è potuto. Non ho ancora ben compreso tutto il contenuto; ma, se ben scorgo, vi sarà qualche cosa dentro che mi servirà. Ne tengo obbligo al detto signore, ma maggiore a V.S., d’onde si spiega principalmente il beneficio.
Mi dice monsieur Assellineau, che V.S. desidera un delli ritratti del Vice-Deo. Farò ogni diligenza per pescarne uno, se sarà possibile. Pochi giorni sono, monsieur Castrino me ne ricercò uno, e feci motto per tutta questa città, nè mai ne trovai, salvo che un solo, quale era carissimo al padrone, e glielo levai per forza. Ho in speranza che uno quale s’è trattenuto in Roma li due anni prossimi, sia per portarne almeno una copia; il che se sarà, glielo leverò onninamente, per desiderio di servir V.S.
L’avviso della tregua seguita non ha alterato punto li pensieri di qui. Siamo certi che se li rispetti delli Spagnuoli ricercheranno che si muovano in Italia, il papa, quando ben molto lo procurasse, non sarebbe bastante a fermarli; ma se li rispetti loro ricercheranno quiete, il papa con tutta la sua potenza non basterà a farli muovere un passo. Siamo chiariti per le cose passate quanto conto tengano in sostanza di quello che in apparenza riveriscono.
Noi siamo in uno stato di cose, che possiamo dire le litanie di monsieur di Bourg: Sancte Turca, libera nos. Dio faccia che li Svizzeri in fine non vengano a qualche dissensione civile! Veggo che li Spagnuoli hanno grande ingresso tra loro, e li Gesuiti gran dominio. Questo è un punto scabroso: perchè se due simili nazioni s’impossesseranno dell’affetto degli Svizzeri,5 non potranno in Europa seguire che continue rivoluzioni; e l’Italia ne potrebbe piangere amaramente. Ma nissuna foglia d’albero si muove senza la volontà del Signor Iddio, a cui bisogna rimettere le nostre volontà. Finirò per non esser più lungamente noioso a V.S., alla quale bacio la mano.
- Di Venezia, li 28 aprile 1609.
- ↑ Edita nella raccolta di Ginevra, pag. 153.
- ↑ Non può non provarsi il desiderio che il Sarpi di queste cose accadute al patriarca, ci avesse parlato un po’ più lungamente’, in ispecie se qui si tratti di Francesco Verdiamino allora sedente, e che fu poi cardinale e mori nel 1619.
- ↑ Così a questo luogo nell’edizione Ginevrina. Ma nella Lettera XXXV, cotesto turbatore delle coscienze per fini meramente politici, è chiamato: “Fra Gregorio veronese, di San Bastiano.„
- ↑ Per segno di gran modestia! Del resto, ognun sa che volgarmente chiamasi il triregno; nè vogliamo qui dire come quel tri venga interpretato dai poco riverenti, ed in ispecie dai protestanti.
- ↑ Profezia avveratasi nei giorni nostri colla lega e la guerra del Sounderbuud.