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LXXXVIII. — A Giacomo Leschassier.1
Le sue lettere del 14 mi liberarono da una gravissima afflizione. Quantunque il signor Castrino mi avvisasse pel corriere antecedente, che la S.V. aveva racquistata la sanità, stavo in pensiero pel timore d’una recidiva. Ora, vedendo da un suo chirografo ch’Ella è tornata in salute, ne ringrazio Dio ottimo massimo.
Graditissime mi riuscirono le chiose d’aggiunta alla formola; ma gravi ingerenze m’impedirono di leggerle. La lite sul monastero di Camaldoli si comporrà per transazione; e in questo è tutto il mio studio. Ciò che V.S. me ne scrive, parmi s’appoggi a poderosissime e salde basi. Ma il ciel volesse che in tali faccende s’accampasse il dritto solo! Vi si mescolano ragioni private, odii, invidie e altrettali pesti della vera giustizia, che traviando gli uomini, impediscono il conoscimento del vero. Ma a questo provvederà Iddio.
Quanto a ciò ch’Ella dice sull’ottenere qualche munificenza dal Principe, ci penserò e m’adoprerò con diligenza. Non è cosa da disperarne. Come prima verrà in campo una lite sul possesso del benefizio, metterò fuori in bel modo il suo nome, e procurerò le si commetta qualche scrittura su di quello od altra materia.2 Se a questo giungo, potrò dirmi in porto. Non risparmierò opera o cura, ne trasanderò occasioni; le quali quando mi s’offrano spontanee, le accoglierò; altrimenti farò lor forza. Più a dilungo risponderò alle sue lettere col venturo corriere. Intanto scioglierò a Dio per la sua guarigione que’ voti a che mi sento obbligato.
Auguro alla S.V. eccellentissima vita prospera e sana.
- Venezia, 18 agosto 1609.
- ↑ Tra le edite in lingua latina, tom. cit., pag. 59.
- ↑ Era uomo ancora quell’arci-eruditissimo Leschassier, e come tale cercava di ricavare dalle sue fatiche alcun utile. Può vedersi, a tale proposito, la precedente Lettera XXVIII, pag. 89; e il principio della XCI, a pag. 295.