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CXXXIV. — A Filippo Duplessis Mornay
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CXXXIV. — A Filippo Duplessis Mornay.1


Nulla suol mai Venezia operare per provvedere al futuro: si governa invece di giorno in giorno. Ond’è per ora inopportuno il trattar di soldati nè d’altri bellicosi apparecchi, mentrechè la guerra nè si prevede nè è creduta generalmente. Nel che fanno forza i papisti, cioè per farla credere impossibile; abborrendo Roma superlativamente la guerra, come quella da cui presagisce che verrebbe aperta la porta al Vangelo.

Ad una lega che mutar possa lo stato d’Italia, Venezia non sarà mai per accostarsi. Essa vuole la pace, e farà ogni sforzo perchè questa si conservi: bensì, una volta incominciata la guerra, potrà essere invitata a qualche alleanza, cui credo dovrebbe acconsentire. Contuttociò, bisogna adoperarsi con circospezione, affinchè non sembri che sottovia ci covi alcuna frode.

Al presente sono sbollite le discordie col papa, sì perchè questi si comporta modestamente nè comanda a bacchetta come una volta; e sì per essere anch’egli intento al medesimo scopo, cioè alla pace d’Italia; e in fine, perchè la fazione papista si accrebbe pel contegno tenuto dal re di Francia. Egli per un intero quadriennio moltiplicò le sue istanze affinchè si facesse l’accordo col papa, e le sue esortazioni non andarono esenti da minacce: a tale che molti dei buoni fecero defezione; e quelli che ancora stanno saldi, non amano gran fatto il re, siccome pervertitore della buona causa, nè di lui più si fidano.2 Sta loro scolpito nell’animo quel ch’egli tentò di ottenere colle sue lettere qua spedite; e tuttavolta temono ch’egli non affetti di gratificarsi il papa a prezzo della nostra servitù. Queste due verità sono fuori di controversia, infra gli esperti delle cose italiane: l’una, che nè il papa nè la curia romana potranno mai separarsi dalla casa d’Austria; l’altra, che i nostri papisti si schiereranno sempre dal lato ed a pro dello spagnuolo. Tutto ciò sia confidato nel seno di lei, come signore ed amico.

Il padre Fulgenzio andò a Roma, dopo aver avuta dal papa la pubblica fede che nulla sarebbesi operato a discapito del suo onore. In questi diciotto mesi fu continuo l’ammonire che fecero per indurlo ad abiurare: non volle cedere, ed è questa la cagion vera della sua prigionía; il pretesto poi, che meditasse di fuggirsi in Inghilterra. Stia sana.

Del 22 d’aprile 1610.



  1. Dalla Corrispondenza citata alla pagina 148 del tom. I, ec. Ha scritto decisamente al principio: De padre Paulo; e ancora senza di ciò, non crediamo che della sua autenticità potrebbe ragionevolmente dubitarsi.
  2. Chi può leggere queste cose e non maravigliarsi del ritornare delle umane vicende e degli stessi periodi della storia? Vedasi anche la pag. 53.


Note

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