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CXXXVII. — A Giacomo Leschassier.1
Ebbi le sue lettere del 19 aprile, nelle quali scorgo tracce di finissimo discernimento. Oh, volesse Dio che con Lei potessi abboccarmi a bell’agio! Non è dubbio quanto all’andare allo stesso scopo per diverse vie; l’una retta, oblique l’altre e di numero infinite. Gl’imperatori greci, quando non grandeggiava ancora la potenza o, dirò meglio, la intolleranza di freno nei cherici, mantennero la maestà del comando, senza alcun discapito o intoppo. A voi altri tocca a difendere la libertà con lotta domestica ed esterna, ma schietta, palese e fiancheggiata dalle leggi; agli Spagnuoli (colpa de’ luoghi) con artificii e dissimulazione. E di questa maniera è quello che affermò Covarruvias sulla fine del cap. 36 delle Pratiche; ove, e innanzi ancora, ragionando a dilungo dell’opposizione da farsi all’attuazione delle bolle della curia romana, soggiunge che non ha mica ciò detto per detrarre al pieno eseguimento delle lettere apostoliche; dacchè il monarca Cattolico abbomina e proibisce con editti un tal modo.
Così costumano essi di rendere onoranza a parole, e nei fatti condursi a proprio talento. Sento dire che hanno stanze gremite di bolle nascoste dagl’imperanti, perchè non si mandassero ad effetto. E quel loro avvertimento che non se ne impedisce già ma prolungasi la esecuzione affinchè sia consultato e istruito il pontefice, è un pretto sofisma; non pensando, poi, nè curando nè volendo adempiere verso di lui una tal parte.
Il giuramento, o professione di fede (come la chiamano), di cui la S.V. mi scrive, in Italia prestasi non solo dagli ammittendi a’ benefizi, ma dai predicatori, dai rettori delle scuole e (ciò che le recherà maggior meraviglia) da tutti i laureandi in legge, medicina, filosofia ed anche letteratura. Ed io credeva che presso voi non fosse in vigore, come quello che ebbe origine dalla Sinodo di Trento. Ma ci ha pur altro giuramento che fassi da vescovi, abati e altrettali aventi giurisdizione; e il tenore somiglia a quello che ha luogo nelle cose feudali. Perocchè giurano di difendere la vita e le appartenenze dei soggetti, guardare il segreto, rapportare ciò che ascoltano in contrario, proteggere i nunzi, sostenere il papa ec.; nè mai le verrà fatto di trovare giuramento più di questo magnifico ed esteso. Io porto avviso che l’istesso giuramento non si pratichi da voi altri, e di esso già feci menzione; giacchè quello che nella professione Tridentina di fede promette reverenza e obbedienza, par che abbia a restringersi alle cose spirituali. Ora, a ben considerare il ricordato, si trova ch’esso rende schiavo chi lo presta al romano pontefice, più che non sia a vecchio padrone qualunque antico vassallo.
Circa a quanto Ella asserisce sull’antichissimo giuramento di fedeltà al principe, che rimane, cioè, illeso, sebbene un altro simile prestisi al papa, io vo pienamente d’accordo; anzi penso che ogni uomo nasce suddito e obbligato d’amor quasi filiale alla repubblica, e che niun vincolo succedaneo può rompere o sminuire l’obbligo già prima contratto. Essendochè questo ha origine dal giure naturale; e però il cherico non isveste la natura di cittadino, e più è legato come cittadino al principe, che come cherico al papa. A rincontro insegnano i romaneschi, che per la susseguente obbligazione cancellisi la prima, e ogni altro si annulli pel giuramento prestato al papa; ripetendo il detto d’Innocenzo, che in qualsivoglia giuramento sottintendesi riservata l’autorità della sede apostolica. Ma di ciò altrove.
Rispetto all’avvertenza di V.S. che non sa veder via a mutamenti in Italia, certo che quella s’appoggia a gravissima autorità; ma i fati si faranno la via da sè stessi. Io, per dir vero, rimango in sospeso per contraddittorie ragioni, nè mi è dato d’indovinare il futuro. Il duca di Savoia col signor Desdiguieres, tennero per due giorni conferenze con chi può loro comandare: erano presenti 24 francesi, condottieri d’esercito.2 Nulla è trapelato delle fatte deliberazioni. Questa Repubblica brama la pace e detesta la guerra, come un malato il medicamento; e certo a ragione, dacchè non si sa se questo assecondi o travalichi le forze del paziente. Il duca di Savoia oggimai conosce che non può ottenere dagli Spagnuoli altro che denari, e di questi si cura poco.3 Ed io riesco sempre qui con le conclusioni: deliberano invero i mortali, ma l’evento è solo in mano di Dio.
Che sia per mulinare il vostro re, non per anco è dato congetturarlo: dà che pensare il mistero, e rende segno del sommo potere di sì alta sovranità. Convennero appresso Cesare i tre elettori di Colonia, Magonza, Sassonia, e il legato di Treveri, con altri duchi e arciduchi e langravi, e cattolici e luterani. All’infuori di banchetti e libazioni, non so che altro si facessero. Il pontefice manda nunzi al re di Spagna; e a voi fuor dell’ordine, nell’interesse della pace, l’arcivescovo di Nazareth: nome fatale alla Francia per le cose fatte da quel Mirto, che, fregiato della stessa dignità sotto Enrico III, ebbe e fu insieme tanta parte della santa alleanza. Ma intanto il pontefice non trascura la propria famiglia; ha comprato a Sulmona nel regno di Napoli un principato di 50,000 ducati, e altri 10,000 ne ha colà inviati per aumentare gli acquisti. La romana curia niente teme più della guerra. Io prego Dio che tutto indiriga al suo onore, e Lei serbi lungamente incolume e verso di me disposta all’usata benevolenza. Stia sana.
- Venezia, 9 maggio 1610.
- ↑ Edita come sopra, pag. 82.
- ↑ Queste parole hanno spiegazione e correzione insieme nella Lettera seguente, al fine della pag. 70, avendo, con errore non unico a questo luogo assai guasto, l’originale: Aderant militum duces Franchi 240 (!).
- ↑ “Non stima tutti li denari del mondo; vuol paese.„ Lettera CXXIX, pag. 37.