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CXXXVIII. — Al signor De l’Isle Groslot
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CXXXVIII. — Al signor De l’Isle Groslot.1


Quello che V.S. mi scrisse innanzi la sua partita di Parigi, non fu troppo, perchè non era superfluo, vedendosi adesso che le cose dette da Lei si vanno verificando. Se li fatti del principe di Condé saranno tanti e tanto ben ordinati, quanto li viaggi, dobbiamo da lui aspettare gran cose. Sono ben certo che è principe di ottima intenzione e grandissima prudenza; ma il tutto è, che abbia il riscontro delle cose conforme al suo valore. Sono ben certo che li Gesuiti averanno fatti tutti li uffici per loro possibili e usate tutte le arti: non credo però che li venghi prestato tanta fede, quanto li altri fautori dimostrano.

Il pontefice ha destinato Legato in Spagna il vescovo di Chieti, e in Francia l’arcivescovo di Nazareth; persona versata nel carico di procuratore di palazzo. Il primo anderà con suo commodo; il secondo è stato fatto partir in diligenza, e all’arrivo di questa credo di già sarà costì. Dio voglia favorir il suo negozio, se è alla gloria della Maestà Divina. Molti credono che ciò sia fatto a richiesta de’ Spagnuoli; li quali anco spargono voce che il re di Francia si sii armato non per altro che per levar l’animo a qualche inquieto che pensasse fare novità nel suo regno; ma che, del resto, non disegni di passar più innanzi.

A Milano facevano provisione di guerra, e già si negoziava la levata di Svizzeri e di Tedeschi del Tirolo. Adesso hanno sospeso ogni cosa, e si sono fermati: il che la maggior parte pensa esser per mancamento di denari.

Il papa ha mandato cento mila ducati a Napoli per comprar Stati.2 Spagna ha richiesta la Repubblica di lasciar passar Tedeschi per il suo Stato, e ella l’ha negato. Desdiguieres fu a trattazione con Torino, e ancora con lui 24 capitani; 19 papisti e 5 riformati. Ha promesso conversare papisticamente, e ne ha dato principio avendo in compagnia l’amorosa: non vuol però messa.

Queste sono le cose del mondo, e qualche altre che li scriverà il signor Castrino, le quali io tralascio per angustia di tempo. Quanto s’aspetta agli occhiali nuovi, toccando le cose celesti, non v’è altra cosa di momento sin’ora osservata, se non che avendone fabbricato uno con tanto artificio, che si vede solamente circa un centesimo della Luna alla volta, ma di tanta grandezza di quanta con quel primo si vedeva tutta essa, le cavità sono tanto conspicue e così esattamente viste, ch’è stupore; e la stella di Giove, che molte volte è stata osservata, appare appunto di quella grandezza che il sole, quando alle volte si vede sotto alla caligine. Ma le maraviglie che si scuoprono con questo artificio, sono nella professione della prospettiva; imperocchè da quello si comprende il modo come si fa la visione, e le ragioni delli occhiali così di vista debole come di corta: cose che vogliono un giusto volume per esser esplicate.3

Io qui farò fine, pregando Dio, che doni a V.S. ogni vero bene. Alla quale bacio la mano, come fanno gli altri amici; aggiungendole che le diligenze de’ libri difesi4 si sono reiterate; onde sarà difficile di trasmetterne con quella solita strada, ma forse si troverà qualche altro mezzo: a che bisognerà pensare ambidue, per fare dispetto a’ nostri nemici che vegliano.

Di Padova, il 10 maggio 1610.5



  1. Dalla raccolta di Ginevra ec., pag. 245.
  2. Di ciò è parlato ancora nelle Lettere LXVII e LXXIII, scritte nell’anno precedente; onde sembra un novello invio di danaro che il papa facesse per “comprare stati„ in aggrandimento de’ suoi nipoti.
  3. I lettori potranno tuttavia confrontare quanto qui dicesi, con quello che n’è discorso nella lettera CXXXVII, da pag. 61 a 64.
  4. Cioè, diligenze per la ricerca e il sequestro dei libri proibiti da Roma.
  5. Questa lettera, nella citata raccolta del 1673, porta la sottoscrizione Pietro Giusto; e può dare indizio di uno dei pseudonimi sotto i quali Fra Paolo nascondevasi, fin dal principio di quest’anno, nelle sue corrispondenze epistolari.


Note

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