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CXLI. — A Giacomo Leschassier
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CXLI. — A Giacomo Leschassier.1


Non ho parole da raccontare con quanto rammarico si udisse qua la notizia della morte del re; giacchè in lui solo pareva riposta la speranza della cristiana libertà. Egli ebbe d’immaturo soltanto l’estremo fato, e non senza gloria morì; ma troppo presto pel regno e per la repubblica cristiana. Ammiro io sì e venero insiememente i divini giudizi: ma mi fa stomaco la novella dottrina che, al dispetto di tutti gli umani e divini diritti, fa lecito per causa di religione l’assassinio de’ principi; la quale se per accordo di tutti non si distrugga, io veggo venuta ormai l’ultim’ora per la social convivenza. Ora sono forzati tutti i re e gl’imperanti non solo a cedere alle arti degli Spagnuoli e de’ Gesuiti, ma a sventare perfino le loro diffidenze: perciocchè quel re non agitava consigli ostili verso di loro nè vi avrebbe pensato mai; e tuttavia, pel solo sospetto, lo fecero ammazzare.2 Non mai abbastanza potremo arrovellarci per siffatte ribalderie. Faccia Dio che il mondo vegga i suoi rischi e sappia ripararvi! Già niuno, per quanto di prudenza e destrezza adoperi nel trattare, sarà sicuro dai loro colpi, quando tale sventura incolse ad un re che ai gesuiti fu prodigo d’immensi favori.3 Non vorrei far da indovino, ma giudico che il regno di Francia non avrà mai sicurezza fino a che tal peste non venga estirpata. Noi vi precedemmo: se avete a cuore la pubblica salute, seguiteci. Ma basti di queste cose; le quali avranno adempimento, se Dio non accecherà coloro che più vedono o dovrebbero vedere.

Non per anche sono giunte le Risposte di Vames4 sui mercati di Francfort; e diedi commissione ad un amico che partiva per l’Olanda, affinchè me le recasse. Io leggo volentieri que’ libri che sono scritti da uomini liberi. Ingegno non manca agl’Italiani; ma non possono adoperarlo. In cima a’ pensieri tengo la materia beneficiaria, perchè niuna è più profittevole allo Stato. Se opportune riforme potranno impiantarsi dirittamente, avremo chiusa ogni entrata a’ nostri nemici: e ben essi lo sanno, e però difendono pertinacemente le riserve con cui ci opprimono. I nostri, nati e cresciuti nel mezzo agli abusi, son tardi a conoscerli e pigri a combatterli. Io trovo che voi altri, sotto re minorenni, aspiraste sempre a maggior libertà, e varie cose riformaste nell’amministrazione ecclesiastica. Volesse il cielo che v’affaticaste anche su questo particolare, come desidero e per vostro vantaggio e luminoso esempio di noi stessi! Godo assaissimo che procedan tranquille le faccende di cotesto regno; nè pensavo fosse per essere altrimenti, giacchè a voi non faceva mestieri di usare cautele. Per ora non correte rischi, ma quando gli Spagnuoli e i Gesuiti avranno disseminato il Diacattolico, allora sì che ne correrete; e non farete fronte, se permetterete che ne abbarbichino anche le più piccole radici, segnatamente se d’oro, come un tempo erano ad essi più care.

Sapevo le notizie che V.S. mi dette del Casaubono: ora sciolto di quel fastidio, potrà dar mano al Polibio e ad altri buoni scritti. Ogni uomo dabbene deve attendere alle cose politiche;5 giacchè i nemici del buon governo e della libertà, sotto il pretesto di religione, ci regalano a forza funesti insegnamenti, i quali fa d’uopo ribattere. Io ho somma venerazione per quell’uomo, e desidero si conservi in prospera salute.

Quanto alle lenti oculari, per dirne alcun che, ci ha qui alcuni eruditi, che disegnano di fare un piccolo commentario sulla visione, ove esporranno la maniera e la cagione del ritrovato Olandese, e tutta la teorica a un tempo del cannocchiale. Se verrà, come credo, in luce, ne manderò alla S.V. un esemplare, sperando che troverà favore presso di Lei e d’altre persone di cotesto regno.

Saranno costà inviati all’uopo ministri. Il primo favore sarà di esortare che si esterminino gli Ugonotti dal regno, acciocchè Dio, maggiormente placato, lo risguardi con occhio più benigno. Se altri nol farà, il papa gli diverrà nemico. Quando a Lei scrivo, non farei mai fine; e spesso mi scordo di quella debita moderazione che non dovrebbe travalicarsi. E qui chiudo la mia col pregare Iddio che la serbi sana per lungo tempo.

Venezia, 8 giugno 1610.



  1. Edita fra le Opere ec., in latino pag. 83.
  2. Accusa terribile quando viene da un uomo come il Sarpi; e ciò anche a malgrado di quanto è detto al principio della Lettera seguente.
  3. Esempio che altri con ispavento dovrebbero rammemorare, se gli esempi della storia bastassero a render gli uomini più risoluti e prudenti.
  4. Vedasi a pag. 58.
  5. Questo è ben altro che la dottrina dei moderni Catoni della viltà: rumores fuge; e l’insegnamento pagano ed egoistico di certi antichi; cioè che il filosofo non deve impacciarsi della repubblica.


Note

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