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CLXVII. — Al signor De l’Isle Groslot
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CLXVII. — Al signor De l’Isle Groslot.1


Scrissi a V.S. per l’ultimo corriere sotto il dì 21 decembre, non essendo ancora giunto l’ordinario di costì; il quale arrivò otto giorno dopo, e mi portò quella di V.S. delli 23 novembre: e ieri giunse l’altro, che mi portò l’ultima sua delli 8 decembre. Questa m’ha significato il buon recapito della mia delli 28 settembre, che pensavamo perduta: di che ho sentito gran piacere, sebbene rammemorando il contenuto di essa, non mi pareva che vi fosse dentro particolare di gran momento.

Non pensavo di doverle scrivere per questo spaccio, credendo che il corriero il quale parte di qui non fosse per trovar in Parigi il signor ambasciator Foscarini; ma, fatto meglior conto, giudico che lo potrebbe anco ritrovare. Anderò nondimeno più sobrio per questo dubbio.

Le dirò prima, delle cose d’Italia, che ogni giorno ci assicuriamo più della pace, e già si dà principio a licenziar le genti. Ci resta pregar Dio, che la pace non ci riesca più dannosa della guerra, come diverse apparenze dimostrano che debba essere. Quando Spagna fosse occupata in Italia, non potrebbe attendere a coltivare le semenze e piante nascenti in Francia. Torino voleva guerra, ma è mancata da parte della regina di Francia, credo bene per ottime ragioni, conoscendo il suo male dal mandar il figlio in Spagna. Fu consiglio di Bouillon, e questo lo dico a V.S. per certo.

Quello ch’è successo per l’arresto contra il libro del cardinale Bellarmino, ha dato estremo orgoglio al papa e a’ Gesuiti, e debolezza qui. Con tutto ciò, io non stimo tanto male, ma ben credo che siamo prossimi ad una gran crisi, restando incerto se terminerà in convalescenza o in morte.

Si conferma la presa o compra della Rôcca fatta dagli Spagnuoli: cosa che non so vedere se sarà loro utile o dannosa, perchè potrebbe loro esser di gran spesa e di molta occupazione il mantenerla.

Ora venendo a risponder a quelle di V.S., primieramente resto con molto dispiacere, vedendo che la sua colica l’affligge così lungo tempo, e vado dubitando che li studi o qualche altra occupazione di poco rilievo la fomentino; e però prego V.S. ad anteponer ad ogni altra cosa la sanità, e a non volere per cose accidentali trascurare l’essenziali.

Mi scrive Castrino d’aver inviatomi per la fiera di Francfort l’Apologia del Richéome e la Lettura di Cuiacio: di che rendo molte grazie a V.S., con un poco di vergogna che a tante obligazioni non possa io dare una minima sodisfazione, corrispondendo almeno in minima parte a tanti favori che mi fa.

Sono fatte nella materia de’ Gesuiti molte belle scritture in Francia, delle quali tutte ne ho avuto copia per grazia di Castrino e d’altri amici. Sono anco tutte state lette qui con gusto e frutto. Il Tocsin mostra compitissima erudizione, tocca di bei passi, e con molta libertà e giudicio, e imita molto Plutarco nel fare paralleli; i quali quando sono tratti dall’istoria, sono di molta instruzione, ma quando da favola, servono a diletto. Ho veduto una Epistola scritta da Duay,2 la quale ha molti particolari: io però ci desidererei più il decoro, e la esplicazione di alcune circostanze necessarie.

Quanto al continuare la nostra comunicazione, a V.S. sarà facile, perchè mi capiteranno sicure tutte le lettere che anderanho in mano di Barbarigo; ma le mie a V.S. sentiranno difficoltà, perchè io non so come egli le potrà far capitare costà per via sicura. Dell’ambasciator nuovo non convien fare assegnamento, per esser papista, non per inganno ma per malizia. Sto pur con speranza di qualche buona apertura che sia portata da tante occasioni che sono in campo; senza che, quantunque le lettere fossero tutte in cifra, non sono sicure, potendo capitare in mano di chi abbia forza di comandar l’interpretazione. Contuttociò, nel primo ozio che mi troverò avere, vado pensando di comporne una, che abbia del facile e abbondante. Non posso esser più lungo, se bene averci un mondo di cose da discorrere con esso lei, non assecurandomi del buon recapito della presente: per il che farò fine baciandoli riverentemente la mano.

Di Venezia, 1 gennaro 1611.



  1. Dalla raccolta di Ginevra, pag. 328.
  2. Non sarebbe bene scritto questo nome ove qui avesse ad intendersi la città di Douay. Di sopra, ove ponemmo, come in più altri simili luoghi, Tocsin la stampa ginevrina fa leggere Tocconi. Più innanzi (alla pag. 189) abbiamo esposta la nostra opinione sui tanti opuscoli che un tempo attrassero l’attenzione e le cure finanche di un Sarpi, e che la posterità ebbe poi pienamente dimenticati.


Note

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