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CCI. — Al signor De l’Isle Groslot.1
Il corriere di questa settimana non m’ha portato lettere di V.S.; il che le dico solo per avviso, non volendo io però ch’Ella prenda mai nessun incomodo per scrivere. Siamo al solito sterili di nuove, e attesi tutti alle cose di Germania: delle quali altri temono e altri sperano, secondo gli affetti; e quelle di Francia ancora somministrano assai materia a discorsi. Qua in Italia non vi è cosa di momento, non permettendo l’ozio se non l’ordinario corso delle cose. Però dalla scrittura che io le mando qui inclusa, Ella vedrà che alcune volte li svegliamo dal letargo. Ne ho mandato anco una copia a monsieur l’Eschassier, parendomi servizio comune che si divulghi. Vedrà dal tenor di essa, che è pubblica.2 Però, siccome in più mani che anderà, tanto sarà meglio, così non avrò caro che si sappia che sia tenuta da me, acciocchè quelle buone persone non concepiscano maggior odio di quello che hanno.
Quello che io accennai a V.S. dover scoprirsi tra la Republica e il papa, non ha ancora fatto il suo lampo:3 lo farà al sicuro, restando però io, siccome le scrissi per l’altra, incerto se terminerà in differenza, ovvero in sospetto, ovvero in niente. Per la seguente, se sarà fatto lo scoppio, glielo scriverò.
Abbiamo qualche altra cosuccia, nella quale li nostri papisti ci esercitano, e si va rimediando; e quantunque non si faccia tutto quello che si dovrebbe, quel tanto che si fa non è sprezzabile. È occorso in Ravenna, che avendo congregati il car- dinale Gaetano, legato, li gentiluomini di quella città ed esortatili a provveder ad una imminente carestia, gli rispose uno di casa Rangone, principale di di quel paese, che essi non sapevano come provvedersi, nè a loro toccava, ma a lui, che con la concessione delle tratte aveva vuotato il paese di grano estratto in Italia. (Si chiamano tratte le concessioni di portar il grano fuori del paese, pagato un tanto per misura.) Il cardinale diede una mentita al gentiluomo, e il gentiluomo sfoderò il pugnale contro il cardinale, nè successe maggior male, perchè fu impedito dalli circostanti. Questa sarà una cosa di dura digestione, e che avrà conseguenza. Vi sono alcune cosucce, le quali le saranno scritte da monsieur Asselineau, che io non replicherò, per non esser di maggior tedio a V.S.
È partito di qua il signor Gussoni, e Barbarigo all’arrivo di quello di Torino sarà di ritorno qua, e io credo al mezzo del mese seguente. Ad esso signor Gussoni io ho dato due lettere, una direttiva a V.S., la quale egli le manderà quando sarà giunto; ed al signor Barbarigo ho scritto che gli dia4 tutti gl’indirizzi di tener corrispondenza con V.S., ed anco la cifra. Se a Lei piacesse di scriverli anco prima di avere lettere da lui, con occasione di inviarne a me, dicendoli quei particolari che li paressero degni, io lo riceverei a favore. E qui facendo fine, le bacio la mano.
- Di Venezia, il 7 marzo 1612.
- ↑ Edita come sopra, pag. 459.
- ↑ Per la ragione appunto dell’esser pubblica, non ci è dato conoscere di quale fra le scritture del nostro Autore vogliasi qui parlare. Certo ch’egli si adoperò continuamente nelle fatiche di tal sorta a servigio della sua Repubblica; ma non vedesi di quale tra quelle fatiche fosse fatta pubblicazione in quell’anno.
- ↑ Gli è il fatto stesso accennato sulla fine della Lettera precedente, cioè le contese risorte per causa di confini coi Ferraresi; contesa sulla quale anche il Sarpi dovè adoperar la sua penna, e che andò a finire in accomodamento.
- ↑ Cioè dia, esso Barbarigo, al Gussoni.