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CC. — Al signor De l’Isle Groslot
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CC. — Al signor De l’Isle Groslot.1


La strettezza del tempo mi costringe usar maggior brevità di quello che vorrei in rispondere a quella di V.S.; la quale m’ha apportato gran piacere con la nuova della sanità ricuperata, la quale io spero che piacerà a Dio render durabile, come lo prego con vivo affetto.

Fu l’ultima mia delli 14 di questo,2 dove esposi tutto quello che passava in queste regioni in discorso, perchè infatti qui non abbiamo altro che una oziosissima pace. Al presente ognuno è volto verso Germania, di dove l’universale aspetta qualche gran cosa; ma li prudenti non sperano niente di buono. Vien creduto da chi intende alquanto li pensieri di quei principi, che il re Matthias debba esser eletto all’imperio con poca difficoltà, e che debba riuscire a profitto dell’Evangelio. Ma io ho veduto così frequentemente i disegni umani aver fine tutt’altro da quello ove sono stati inviati, che non ardisco promettermi niente. Aspetterei bene alcuna cosa buona, quando il re d’Inghilterra avesse maggior senno; ma questo ancora, poichè sarebbe fondamento umano, non lo desidero molto, per timore che non facesse danno in luogo di utilità. Ben si vede quanto grande sia stato il guadagno di chi ha macchinato la morte del re Enrico, poichè nascono al presente tali occasioni, che l’avrebbono portato sopra la testa de’ suoi emuli.3

Per questo corriero io ho ricevuto il Plaidoyer di Martilliers,4 molto eloquente ed anco sensato; restando in maraviglia della libertà francese, che in propria faccia de’ Gesuiti, tanto sensitivi, anzi vendicativi, abbia avuto animo di parlar in quella maniera. Aspetto con desiderio di veder anco quello di Servino, quale mi figuro dover esser ancora più libero. Certamente, che se li Gesuiti hanno delli fautori costì, hanno anco delle mortificazioni, e non possono gloriarsi di vittoria.

Per il corriero passato, monsieur l’Eschassier mi mandò la scrittura De ecclesiastica et politica potestate; e m’avvisa per questo spaccio, che per causa di quella è nata qualche pratica sediziosa, eccitata da’ papisti e repressa dal Parlamento. E certo, per parlar umanamente, le presenti occasioni pare a me ricercano, che tralasciati tutti li altri punti, adesso ognuno attendesse a difendere la libertà de’ principi, e a ridur in ordine la esorbitante potestà romana; perchè questa aprirebbe via ad altre verità e leverebbe assai favori a’ Gesuiti. Conosco molto bene, che se la Sorbona s’impegnerà in queste trattazioni, farà il bene suo e della Chiesa, acquisterà riputazione, passerà a cognizione di maggior cose, e darà credito alle buone opinioni. Ma è gran cosa che li Gesuiti abbiano tanta libertà di predicare, che ardiscano toccare l’autorità del Parlamento, e, quello ch’è peggio, difendere l’equivocazione in Francia, la quale ne’ tempi passati ha fatto professione di parlar di sincerità sopra le altre nazioni.

Mi piace che il Directorium sia considerato costì. Un pezzo è che li Spagnuoli e Italiani sentono la sua forza.

Mi pare che i Riformati in Francia siano a peggior condizione, che quando avevano un principe per capo, con tanti capi; li quali temo non li conducano in controversia e sospetto, e riducano a debolezza. E prego Dio, che provveda a ciò con la sua santa grazia. Non mi posso tacere, che mi pare peggiore stato, che avendo principe.

Quanto al matrimonio del re di Spagna con la figlia d’Inghilterra, non è da reputarlo così lontano dall’effettuarsi, attesa l’arte di Spagna e la semplicità d’Inghilterra. Ma li matrimoni di costì non sono se non per aver ingresso a ben seminare il Diacatholieon;5 del resto non hanno altro fine.

Io desidero di continovare la communicazione con V.S. Ho mostrato la sua lettera al signor Gussoni, e dettogli che alla sua partita scriverò al signor Barbarigo, che le communichi la cifra e le dia tutti li indirizzi per scrivere a V.S. e ricever lettere da Lei. Io credo ch’Ella averà gusto della sua communicazione. Gli potrà scrivere liberamente così le cose occorrenti del mondo, come anco delle esorbitanze papali: delle altre cose di Religione6 potrà astenersi di parlare, non perchè sia papista, ma per non esser egli capace.

Vengo alla dimanda di V.S. sopra la papessa Giovanna; dove le dirò che siccome io non ho trovato mai fermo argomento per provare che quella sia una vera istoria, così non ho trovato sode ragioni per mostrar la falsità. Ma parlando con sincerità, inchino piuttosto ad averla per falsa, ma non per assurda; poichè in quei tempi successero cose non meno inconvenienti, che l’esser caduto quel grado in una donna; poichè le persecuzioni e annullazioni degli atti de’ predecessori fatti dalli successori anco in Concilii, non sono cosa minore. E finalmente, che differenza è dare il governo ad una donna, ovvero ad un putto di undici anni, come Benedetto IX; per lasciar da canto Giovanni XI e Giovanni XII, che passavano di poco quella età? Quelli che vogliono far capitale sopra tale istoria, non potranno servirsene ad altro, se non per mostrare che la successione sia interrotta. Ma per la istoria di Baronio, tanti sono li intrusi, che la interruzione della successione non si può negare: e per dirli in poche parole, questa Giovanna si fa vivere tre anni, e vi sono delle sedi vacanti di tre anni, che rileva il medesimo; onde non vorrei affaticarmi per provar una cosa che, provata, non mi servirebbe niente di più.7

Io farò fine alla presente con dire a V.S. una mia speranza, che in breve debba succedere controversia tra il papa e la Repubblica per causa di navigazione; che succedendo, sarà di conseguenza grande. Faccia Dio la sua santa volontà; il quale prego, che doni a Lei perfetta sanità, e ogni prosperità presente e futura.

Di Venezia, li 28 febbraio 1612.



  1. Edita in Ginevra ec., pag. 448.
  2. Così ha l’antica stampa; ma l’ultima al De l’Isle, ossia la CXCVIII, ha data posteriore di quattro giorni; onde pare da correggersi: delli 18.
  3. A chi si piace delle istoriche meditazioni ci pare da raccomandar questo passo, come lampo quasi improvviso e frutto spontaneo della riflessione di un potentissimo intelletto.
  4. Pietro De la Marteliere (comunque qui ed altrove scrivasi questo nome) fece non una sola ma più arringhe forensi in favore dell’Università di Parigi contro i Gesuiti, che tutte si hanno alla stampa.
  5. Le male semenze che sì bene avea fatte abbarbicar nella Spagna la escogitata e inflessibile tirannia di Filippo II: papismo, gesuitismo, austriacismo, inquisizione.
  6. Dia pure, chi vuole, libero sfogo alla propria fantasia nella interpretazione di queste parole. Più di dugento cinquanta Lettere sono ormai sotto gli occhi del pubblico, più che sufficienti a far conoscere gl’intimi pensieri d’ogni uomo, e a contenere ogni ermeneutica nei termini del retto e del vero.
  7. Confessiamo di non aver mai letto parole che meglio ci persuadessero della vacuità di una tale controversia; e ciò dicesi in quanto alle illazioni che i protestanti avrebbero voluto cavarne. In ciò che spetta alla critica isterica, una questione già discussa da Leibnizio (benchè quell’opera non conoscasi, ma non se ne ignorano le conchiusioni) e maestrevolmente riassunta dal Bianchi-Giovini, non può più essere, secondo noi, messa in campo.


Note

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