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CCVIII. — A Giacomo Leschassier.1
Grandissima consolazione provai nel ricevere le lettere della S.V. in data dei 15 d’aprile, e veder così rinnovellata la nostra epistolare corrispondenza. Anche mi allegrai nell’udire che sia stato autorizzato il sindaco a muovere appello, e rispondere agli avversari e dar le prove delle cose proposte nell’opuscolo. Questo principio mi dà fiducia che molto otterremo per venire all’acquisto della libertà della Chiesa. Ringrazio la S.V. per la promessa fattami d’inviarmi gli atti della causa d’appello, qualora si stampino.
Pare che faccia a’ cozzi la censura dei vescovi, là dove riprovando il libretto, afferma volere per intiero salve le franchigie della chiesa Gallicana, e i diritti del re. E che altro si contiene in queste parole, se non l’abbandono del principio che si vorrebbe salvato? Ma a Roma non fu divulgata nel pubblico; perciocchè più odiano quella riserva, di quel che non amino la censura; e prima che un mezzo giudizio a proprio favore, avrebbero accettato un bel niente.
Ringrazio la S.V. per avermi inviato un esemplare di quella condanna. E mi riuscì anco gratissima la narrativa delle geste e della morte di Carlo Ridocovio,2 sul quale se ha conoscenza di varie altre scritture, io pregherei a inviarmele. Fo conto ch’Ella abbia ricevuto quel che le spedii sullo scorcio di marzo in proposito de’ Gesuiti. Mi dicono che non si diportano più fra noi sediziosamente come una volta, e ne ho piacere; se pure tal moderazione non sappia di affettata, obbedendo essi sempre in ogni cosa a una comune intesa. Dai pubblici pergami d’Italia bandiscon la croce addosso a questo governo, e sebbene esuli e lontani, mettono in opera tutte le arti per nuocere a parole ed in fatti. È loro proibita, come sa, anche la corrispondenza epistolare; e nondimeno, vanno eccitando subbugli e rimescolano ogni cosa.
Infinite grazie all’eccellentissimo signor De La Marteliere,3 avvocato della Università, per la benevolenza che m’ha dimostrato. Credo che qui dovrebbe leggersi con moltissima soddisfazione la sua Arringa latina contro i Gesuiti. Se gli piacerà dedicarla alla Repubblica, dovrà darsi l’intitolazione in questo tenore: Al Serenissimo Duca Leonardo Donato,4 e al Senato della Repubblica di Venezia. Credo che darà in luce una piccola lettera, in cui tratterà proficuamente del signor Fresney e della sua cognazione.5 E sarà di molto decoro, se al Legato regio che stanzia qui, piacerà fare offerta del libretto in nome di lui. Ma checchè sia per fare, io consiglio che s’offra al Principe dopo il primo di luglio, per non avvenirci nel tempo istesso che seguirà la mutazione dei Procuratori del collegio.
Del resto, a me preme moltissimo di esser amato dalla S.V. eccellentissima e dal signor Gillot, come di mostrare ad entrambi coi fatti la mia servitù. Che osservo e venero ambedue secondo il dovere; e mi dura continuo nell’animo carissima e desideratissima la memoria della SS.LL., alle quali fo umile reverenza.
- Venezia, 8 marzo 1612.
- ↑ Stampata, in latino, tra le Opere ec., pag. 102.
- ↑ Fu qui fedelmente tradotto il testo latino: “De gestis et interitu Caroli Ridocovii.„
- ↑ Gli editori veronesi seppero leggere questo nome meglio che, replicamente, non avean fatto i Ginevrini. Vedi la nota a pag. 285.
- ↑ Sedeva il Donato sino dall’anno 1606, ma venne a morte in quell’anno medesimo. Vedi la Lettera CCXIII.
- ↑ Come allora era l’uso di tutte le dedicatorie.