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CCIX. — Al signor De l’Isle Groslot
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CCIX. — Al signor De l’Isle Groslot.1


Con la mia solita riverenza e contentezza, ho ricevuto quella di V.S. del primo maggio; di che le rendo grazie, e specialmente per la risposta di Casaubono al cardinale, che mi pare opera buona e bella. Sento ben con dispiacere che le cose di cotesto regno s’incamminino a qualche confusione, ed in particolare la dichiarazione del perdono, che mi pare appunto un’invenzione gesuitica; e non so in me medesimo vedere come un tal principio non sia per aver conseguenza deplorabile, se dalla bontà divina non vi è posto qualche rimedio singolare e straordinario. Monsieur l’Eschassier mi ha mandato gli atti dell’appellazione di Richer, e son restato assai maravigliato, parendomi la libertà di Francia incatenata con vincoli di Spagna.

Qui in Italia non abbiamo cosa nuova. Il papa cede alla Repubblica in tutto quello dove conosce le ragioni sue, e questo fa li nostri negligenti, anzi rilassati; ch’è pernicioso per la Repubblica. Si aspetta in Torino il cavaliere Wotton, ambasciatore della maestà d’Inghilterra a quell’Altezza, e si preparano onori grandissimi da farli. Il duca è andato sino a Rivoli per trattenersi liberamente con lui un giorno, e intendere il sodo di quello che porta. Il suo ingresso in Torino sarà con incontro del cardinale2 e principe, punto molto importante, quanto s’aspetta al cardinale. Tengono che l’ambasceria sia per la trattazione del matrimonio. Io però riputando che sia concluso col Palatino, vado credendo che il duca di Savoia, vedendo levato l’equilibrio di Francia e di Spagna e ambidue poste in una sola bilancia, pensi di assicurare le cose sue accostandosi a chi lo può difendere. Se il re d’Inghilterra non fosse dottore, si potrebbe sperare qualche bene; e sarebbe un gran principio, perchè Spagna non si può vincere, se non levato il pretesto di religione; nè questo si leverà, se non introducendo Riformati in Italia;3 e se il re sapesse fare, sarebbe facile e in Torino e qui.

La Repubblica negozia lega con Grisoni. Per questa strada si potrebbe fare qualche cosa, se dimandassero esercizi di religione in Venezia. Io sono avvisato per cosa certa, che monsieur Pascal in Grisoni ha fatto solennissimo giuramento in pubblico, che non ci è nessuna conclusione di matrimonio tra Francia e Spagna. Questo non so come si salverà, nè se li Gesuiti avranno equivocazione per trovarvi ripiego.

Non sarò più lungo in questo giorno per difetto e di materia e di tempo. Le dirò solamente, che il signor Barbarigo è ritornato, e si risolve di non voler Spagna; onde li toccherà Francia, ma sarà l’anno venturo. Abbiamo fatto più volte discorsi di lei, ed ultimamente gli ho letto la sua e fatto le salutazioni; di che egli ne rende grazie e la risaluta con gli amici.

Di Venezia, li 22 maggio 1612.



  1. Stampata nella raccolta di Ginevra, pag. 474.
  2. Maurizio di Savoia, creato cardinale nel 1605.
  3. Lasciam ad altri la cura di assegnare il lor giusto valore a queste, pur troppo, esplicite parole. Le quali, tuttavolta non suonano, al senso nostro, che il Sarpi volesse in realtà protestantizzare nè Venezia nè l’Italia.


Note

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