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CCXXIX. — A Giacomo Leschassier
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CCXXIX. — A Giacomo Leschassier.1


Grandissima allegrezza mi ha cagionato la lettera della S.V. de’ 19 decembre, provandomi che il buon nome del Richer non era punto diminuito, e che nella causa della prebenda il rettore della Università e gran numero d’insegnanti presero parte. Lessi il rimanente della Collezione ch’Ella mi ha inviato; e la protesta del Richer mi è parsa ferma e modesta insieme, e la lodo senza fine. Ho unito la parte della Collezione ultimamente avuta alle altre anteriori, e di ogni cosa le rendo grazie.

Avevo sentito dire del bruciamento del libro dello Scioppio; e non cesso di maravigliarmi che alla baldanza di un tanto imbroglione, il re e cotesto regno non provvedano meglio, che con un fuoco di carta. Un vermiciattolo, adunque, avrà coraggio di sbottonare una tanto infame sentenza contro il padre d’un re vivente e pregiato? Ma non più. Non c’è per anche venuto il libro di Becano; ma l’avremo senza dubbio. Non spero contuttociò di vederci altro che le adulazioni del Bellarmino e degli altri piaggiatori; ma le promesse dai Gesuiti fatte agli autori che s’indirizzano per iscritto al papa, non vanno esenti dai soliti equivoci. Che bisogno v’ha di scrivere al papa? Ha più potenza il generale dei Gesuiti sul Becano e gli altri soci, che cento papi. Nè si dia a credere che il libro venisse fuora senza il consiglio e comandamento del generale; niente si fa o fu fatto da alcuno di loro, che non ottenga il suffragio di tutti.

A questo proposito, la voglio intrattenere con una storiella, che forse le riuscirà nuova. Sa che oggimai hanno messo una famiglia di religiosi a Costantinopoli. A forza di lusinghe e ricompense (come usano), si guadagnarono il patriarca dei Greci, affinchè per suo mezzo fossero ad essi affidate tutte le ingerenze. Per il che tanto sdegno s’accese, non solo nel clero ma anche nel popolo, che non potendo rimediare altrimenti, ricorsero al Pascià, e per via di donativi ottennero che il patriarca fosse deposto. Mediante un decreto, il patriarca fu privato della dignità, e datogli a successore il patriarca di Alessandria, d’origine Candiotto; uomo istruito anche nella letteratura latina, e che da giovine aveva applicato nel ginnasio di Padova alla filosofia e alle sane discipline. Questi prosegue con grandissimo zelo le sacre costumanze dei maggiori; ma io non oso affermare che cosa alcuna possa riuscir difficile ai Gesuiti. La storiella però qui non finisce. Ora son tutti intenti ad estorcere ai Turchi la concessione del luogo del santo Sepolcro di Gerusalemme, che da 200 anni e più viene amministrato dai Cordiglieri; e profferiscono di gran regali e promessa di annua prestazione: il che neanco a’ Turchi parrà dispregevole. Se l’otterranno, lascio pensare alla S.V. quanto denaro si caverà d’Europa per inviarsi colà; quanti Ravaillac, inoltre, sorgeranno per la opportunità di spelonche, caverne, divozioncelle e rivelazioni! A Lei lascio immaginare il resto dei fervori a cui può sentirsi tentato chi passa i mari per zelo di religione. Ma che poi dir dovremo, se più alte fossero le loro mire? come, a cagion d’esempio, se qualche re mandisi là ad accender guerre, e intanto resti in preda all’altrui ambizione il vuoto trono? Avendoci re di nome, età, origine e altre qualità simile a Lodovico IX, e alla pari educato, chi potrà crederlo esposto a simili attentati, farà congetture pur troppo verisimili di trame insidiose, e del genere ch’io le diceva.

Desidero sapere qual partito si piglierà rispetto al libro del Becano, del quale torno a parlarle. Vorrei che la deliberazione fosse presa piuttosto dal Senato che dalla Sorbona; poichè da questo collegio niente spero di buono pel suo spirito fazioso. Accoglie, certamente, in seno egregi e distintissimi personaggi, fra i quali risplende il Richer; ma le faccende umane non procedono sì bene, che i migliori formino il maggior numero. Non voglia Dio che si aggrandisca la fazione dei Gesuiti; la qual cosa se io detesto, ancora la temo. La prego de’ miei più ossequiosi convenevoli al signor Gillot, il quale gradisco sia messo a parte di queste ritortole gesuitiche. All’uno ed all’altro, co’ rimanenti amici, auguro buona salute; a’ quali mi sarà sempre assai grato il potere dar segni d’omaggio e di servitù. E bacio alla S.V. le mani.

15 gennaio, 1613.

Del resto, eccellentissimo signor mio, conosco assai bene la fermezza gallicana, nè dubito che per la vostra gagliardia non siate per uscir vincitori d’ogni prova; quantunque, per eccesso di zelo, mi fossi nell’altre mie condotto ad inculcarvi una maggiore costanza. Del che, come effetto di buona volontà, prego la S.V. a scusarmi.

Questo è già il terzo esemplare del decreto de’ Dieci contro i Gesuiti, che le rimetto. Il primo spedii nel mese di giugno, quando uscì fuori; e certo è che andasse perduto insieme con le lettere. Mandai il secondo, ma nell’incertezza che costì pervenisse, innanzi al 19 di decembre; il quale, se prima del ricevimento delle presenti non le sarà recapitato, vorrà dire che avrà avuto la stessa fine dell’altro, insieme colle lettere. Prego Dio che a questo conceda più felice viaggio. Novamente la riverisco.



  1. Edita, in latino, fra le Opere ec., pag. 108. Porta, in detta stampa, la data del 1612; ma nell’ordine è posta fra quelle del 1613, ed è chiaro per più ragioni come debba riferirsi a quest’anno. Basterebbe, tra le altre, a dimostrarlo la menzione che vi si fa dei nuovi libri pubblicati dallo Scioppio e dal Becano; intorno ai quali noi pure diciamo altrove (pag. 379) ciò che potrà forse rendere un po’ più soddisfatta la curiosità dei lettori.


Note

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