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CCXXVIII. — Al medesimo
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CCXXVIII. — Al signor De l’Isle Groslot.1


L’ultima di V.S., ricevuta da me 15 giorni addietro, fu delli 11 decembre; e l’ultima scritta a lei fu del 1 del presente. Per questo corriere non ho lettere, se non una di monsieur l’Eschassier, la quale è delli 19 decembre; dopo il qual tempo vado credendo che possa esser occorso qualche novità, almeno di mala soddisfazione data dalla regina a’ Riformati, che riceverei con sommo dispiacere per le conseguenze che porterebbe seco. Ben sappiamo che qualunque cosa procede secondo il divino beneplacito, e il nostro meglio: però non si può restar da desiderare secondo gli affetti umani.

Si ritrova in Roma il vescovo di Bamberg, ambasciatore per l’imperatore; il quale nel venire disseminò ch’era per trattare il pontefice con molta dignità dell’imperio. Con tutto ciò, non solo non è stato tra i termini usati da Massimiliano, ma ha eccesso anco quelli di Rodolfo.2 Il suo negoziato pare che sia per ristringere in fatti la lega ecclesiastica, e in apparenza mostrare che fosse dissoluta, a fine di trattar poi nella dieta imperiale, che si dissolva quella di Hall. Del rimanente, l’Italia non ha altra cosa nuova, perchè la differenza tra Savoia e Mantova si risolverà in trattazione.

Le dirò ben di nuovo dei padri Gesuiti, che il loro valore s’è mostrato così grande in Costantinopoli, che hanno acquistato il patriarca greco in tal maniera, che non operava se non agli interessi loro. Onde la nazione greca, per non veder la confusione del loro rito, è stata forzata procurare appresso li Turchi che il patriarca fosse deposto; e così dal bascià è stato privato della dignità, e messo in luogo suo il patriarca d’Alessandria, il quale è di nazione Candiotto, persona erudita anco in lettere latine; onde il tentativo per loro fatto resta interrotto. Adesso trattano con esquisita sollecitudine di aver dai Turchi il luogo del Santo Sepolcro in Gerusalemme, quale da molto tempo è in mano de’ Cordelieri: per ottenerlo fanno grossissimi presenti, e promettono annui pagamenti. Se otterranno il disegno, ogni mediocre giudicio può congetturare la quantità dei danari che caveranno in tutti i regni, sotto pretesto di mandar quivi; e la comodità che averanno di formar Ravaillachi, di quelli che capiteranno là per devozione, con la occasione di memorie, antri, spelonche e altre tali cose, potendo imprimere in persone stanche dal viaggio e resignate tutto quello che vorranno, in luoghi dove saranno persuasi di veder miracoli. E chi sa che non vi sia anco disegno d’imbarcar qualche principe a lasciar il suo regno abbandonato? perchè da Ludovico IX3 al XIII, vi è molta similitudine per la nascenza, per l’educazione e per le altre cose che si possono considerare. Non mi pare che le congetture siano tanto lontane dal vero: almeno stanno bene fra i termini del fattibile. Se non che, Dio è di sopra.

Sto con molto desiderio che le cose di costì piglino buona piega, e che passino questi tre mesi per poterle scrivere più liberamente per Barbarigo. V.S. è salutata da lui e dagli altri due amici; e io, per fine di questa, le bacio la mano.

Di Venezia, il dì 15 di gennaio 1613.



  1. Stampata come sopra, pag. 533.
  2. Vedi sopra, alla fine della pag. 364.
  3. Il santo, che non una sola ma due diverse crociate condur volle contro i Maomettani; la prima delle quali ebbe a costargli la prigionia, e l’altra la vita; ambedue calamità e danni senza fine alla Francia e all’Europa. Il che sia detto senza disconoscere la generosità del sentimento che aveva mosso i Cristiani a quell’impresa; la quale noi vorremmo imitata, con altro scopo e modi affatto diversi, ancora nei giorni nostri.


Note

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