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CCXXXVIII. — Al medesimo
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CCXXXVIII. — Al signor De l’Isle Groslot.1


Ho ricevuto, con aumento d’obligo, la Risposta sinodale Parisiense, insieme con la lettera di V.S. delli 8 marzo. Il libro mi è venuto in mano a punto in questi giorni vacui da negozi, onde ho avuto tempo di trascorrerlo immediate. Mi pare che, oltre li concetti Sorbonici, vi sia anco dentro la mano di un buon giurisconsulto, ed alcuni tratti mi rappresentano monsieur l’Eschassier. Io stimo l’opera, e veggo bene che l’autore o li autori direbbono più, ma sono costretti a star dentro i termini. Quella mistura nel governo ecclesiastico di monarchia e aristocrazia, mi pare una composizione di olio e acqua, che non possono mai mischiarsi insieme. Però in questo tempo non è poco che alcuni papisti non siano affatto gesuiti.

Sento grandissimo piacere che le cose del regno passino in quiete. Trattanto giungerà la maggiorità del re, e se qualche mancamento sarà occorso, potrà esser resarcito.

Per l’ultima mia, che fu delli 26 marzo, scrissi a V.S. il dubbio che io aveva di veder escluso Barbarigo di ambasciatore costì. È fatto Pietro Contarini, nipote del vescovo di Padova, e cugino di quel ch’è costì. Dalle circostanze V.S. giudicherà il rimanente: solo io le dirò ch’è da poco. Fra un mese Barbarigo sarà eletto per Inghilterra. Io sto con molta perplessità divisando quello che si potrà fare per continuare la nostra comunicazione, e mi veggo con poca speranza di trovare buon mezzo quando Gussoni sarà in fine. Ma forse piacerà a Dio di provvederci qualche modo.

Non abbiamo in Italia di nuovo, se non che le cose di Mantova sono accomodate. La duchessa di Mantova vedova si è dichiarata non gravida e si è partita, e il cardinale s’ha dato titolo di duca. Adesso s’attende a trattare il matrimonio tra esso nuovo duca e essa vedova.2 Il papa lo dispenserà con l’esempio, che già è dispensato il re di Polonia. In Roma è successo che quel Marcantonio Tani, cameriere del papa, con chi desinò il già arcidiacono di Venezia quel giorno che la notte seguente morì di uscita di sangue, è stato pigliato in disgrazia dal pontefice e scacciato di Roma; e pare che vi sia anco qualche disgusto del papa col cardinale Borghese.

Tutti li pensieri di qui sono volti alle cose dei Turchi, i quali ingrossano maravigliosamente: e, quello che non è di poca stima, quel principe s’esercita quotidianamente in arti militari, e mette in esercizio sino li vecchi Bassà in maniera, che accende nella milizia cuore incredibile alla guerra. Disegnano di far mossa al taglio delle prime erbe di maggio. Non si vede che provvisione possa fare l’imperatore.

Gli Ungari protestanti ricusano di voler difendere la Transilvania, come non pertinente a quel regno: li cattolici si contentano d’intervenire alla guerra, ma domandano aiuto in danari, ricusando che in Ungaria entrino forze tedesche; anzi richiedendo che alcune guarnigioni germaniche poste già per le loro terre dalli passati imperadori, siano levate.

La lega cattolica ha fatto la sua dieta in Francoforte, e tutta si è consumata in contenzione di Magonza, Treveri e altri vescovi contro il duca di Baviera, perchè esso, come capo della lega, riceve le contribuzioni, e con tutto ciò allogia li soldati sopra li vescovati, e non nel suo. L’ambasciatore spagnuolo fa gente per la dieta imperiale di Ratisbona; argomento che pochi principi vi anderanno. Le cose paiono molto difficili da sviluppare: piaccia alla Maestà divina che il tutto termini in sua gloria. Il papa invita con minacce la Repubblica a lega con l’imperatore, e il fine è acciocchè, offesi li Turchi, venga necessità di dipendere da Spagna. Li buoni vanno mancando, e altri si mostrano ormai sazi delle controversie. La saluto ec.

Di Venezia, il dì 9 aprile 1613.



  1. Stampata come sopra, pag. 560.
  2. A questo secondo matrimonio della figliuola era tuttavia avverso lo stesso duca di Savoia, che mirava con quella occasione ad impadronirsi del Monferrato. Vedi Capriata, Istorie de’ suoi tempi ec., edizione 1639, tomo I, pag. 32-33.


Note

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