< Lettere al padre < 1623
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Lettera 11
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In Villa

San Matteo, 29 ottobre [1623 ?]

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.

S’io volessi con parole ringraziar V. S. del presente fattoci, oltre che non saprei a pieno sodisfare al nostro debito, credo che a lei non sarebbe molto grato, come quella che, per sua benignità, ricerca più presto da noi gratitudine d’animo che dimostrazioni di parole e cerimonie. Sarà dunque meglio che nel miglior modo che possiamo, ch’è con l’orazione, cerchiamo di riconoscere e ricompensar questo e altri infiniti, e di gran lunga maggiori, benefizi che da lei ricevuti abbiamo.

Gl’avevo domandato dieci braccia di roba, con intenzione che pigliassi rovescio stretto e non questo panno di tanta spesa e così largo e bello, quale sarà più che a bastanza per farne le camiciuole.

Lascio pensar a lei quale sia il contento che sento in legger le sue lettere che continuamente mi manda; che solo il vedere con quale affetto V. S. si compiace di farmi partecipe e consapevole di tutti i favori, che riceve da questi signori, è bastante a riempirmi d’allegrezza. Se bene il sentire che così presto deve partirsi mi pare un poco aspro, per aver a restar priva di lei, e mi vado immaginando che sarà per lungo tempo, né credo d’ingannarmi.

E V. S. può credermi, poiché gli dico il vero, che dopo lei, io non ho altri che possa darmi consolazione alcuna; non per questo mi voglio dolere della sua partita, parendomi che più presto mi dorrei de’ suoi contenti; anzi me ne rallegro, e prego e pregherò sempre Nostro Signore che gli conceda perfetta sanità e grazia di poter far questo viaggio prosperamente, acciò con maggior contento possa poi tornarsene in qua, e viver felice molti anni: che così spero che sia per seguire con l’aiuto di Dio.

Gli raccomando bene il nostro povero fratello, se ben so che seco non occorre, e la prego ormai a perdonargli il suo errore, scusando la sua poca età ch’è quella che l’ha indotto a commetter questo fallo, che, per esser stato il primo, merita perdono: sì che torno a pregarla che di grazia lo meni in sua compagnia a Roma, e là, dove non gli mancheranno l’occasioni, gli dia quegli aiuti che l’obbligo paterno e la sua natural benignità e amorevolezza ricercano.

Ma perché temo di non venirgli a fastidio, finisco di scrivere, senza finir mai di raccomandarmeli in grazia. E gli ricordo che ci è debitore d’una visita che ci ha promesso, è molto tempo. Suor Arcangela e l’altre di camera la salutano infinite volte.

figliuola Affezionatissima

S. M. Celeste G.

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