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A Bellosguardo
San Matteo, 18 febbraio 1630 [1631]
Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
Il disgusto che ha sentito V. S. della mia indisposizione dovrà restar annullato, mentre di presente li dico ch’io sto ragionevolmente bene circa il male sopraggiuntomi in questi giorni passati; ché, quanto alla mia antica oppilazione, credo che farà bisogno d’un’efficace cura a migliore stagione. Intanto mi andrò trattenendo con buon governo, sì com’Ella m’esorta. È ben vero ch’io desidererei che del consiglio che porge a me si valessi anche per sé stessa, non immergendosi tanto ne’ suoi studi che pregiudicassi troppo notabilmente alla sua sanità; che se il povero corpo serve come istrumento proporzionato allo spirito nell’intender e investigare novità con sua gran fatica, è ben dovere che se li conceda necessaria quiete, altrimenti egli si sconcerterà di maniera che renderà anco l’intelletto inabile a gustar quel cibo che prese con troppa avidità.
Non ringrazierò V. S. de’ due scudi e altre amorevolezze mandatemi, ma sì bene della prontezza e liberalità con la quale ella si dimostra tanto e più desiderosa di sovvenirmi, quanto io bisognosa d’esser sovvenuta.
Godo di sentire il buon essere del nostro Galileino, e in questa quaresima, quando sarà miglior tempo, avrò caro di rivederlo. Ho anche caro d’intender la credenza che ha che Vincenzio stia bene, ma non mi gusta già il mezzo con il quale viene in questa cognizione, cioè con il non saperne nulla; ma questi sono frutti dell’ingrato mondo. Resto confusa sentendo ch’ella conservi le mie lettere, e dubito che il grande affetto che mi porta gliele dimostri più compite di quello che sono. Ma sia pur come si voglia, a me basta ch’Ella se ne sodisfaccia. Con che gli dico a Dio, il quale sia sempire con lei, e li fo le solite raccomandazioni.
figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.