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A Roma
San Matteo, 21 maggio 1633
Amatissimo Signor Padre.
Io non ho mai lasciato passar ordinario nessuno senza scriverli, e mandato le lettere al signor Geri, il quale m’avvisa che a quest’ora V. S. dovrà averle ricevute. Quanto al tornarsene Ella in qua con quest’ordinario, non posso darle risoluzione né sicurtà alcuna per conto del mal contagioso, atteso che tutta la speranza della città di Firenze è riposta nella Madonna Santissima, e a quest’effetto questa mattina con gran solennità si è portata la sua miracolosa Immagine dell’Impruneta a Firenze ove si sente che dimorerà 3 giorni, e nel ritornarsene abbiamo speranza d’aver grazia di vederla ancor noi. Sentiremo pertanto quello che seguirà, e quest’altro sabbato gliene darò ragguaglio. Intanto, sentendo che la dilazione giova ai suoi interessi, andiamo più facilmente tolerando la mortificazione che proviamo per la sua assenza.
In questi contorni sono stati due casi di contadini infetti di mal cattivo, ma di presente non si sente altro, e già che tutti i gentiluomini che ci hanno le ville, ci si sono ritirati, è segno che non vi sono sospetti.
Mi sarà molto grato, per amor di Suor Luisa, che V. S. vegga se può favorir il nostro vecchino nel suo negozio; ma sarà di necessità che V. S. vegga di parlarne con il signor Giovanni Mancini, al quale si mandorno le scritture un pezzo fa, né mai da lui né da altri, ai quali si è raccomandata questa causa, si è potuto aver risposta nessuna.
Mi son fatta portar un poco di saggio del vino delle due botti piene, e mi par che sia molto buono. La Piera mi dice averle ripiene più volte, ma che da un pezzo in qua non ne hanno più bisogno. Giuseppe m’aspetta per portar le lettere, sì che non posso dir altro, se non che La prego a non disordinar col bere, come sento che va facendo. La saluto in nome di tutti, e dal Signore Iddio gli prego vera felicità.
sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.