< Lettere al padre < 1633
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Lettera 92
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A Roma

San Matteo, 4 giugno 1633

Amatissimo Signor Padre.

Nell’ultima mia detti buone nuove a V. S. circa il male, e adesso (Dio lodato e la Madonna Santissima, dalla quale si riconosce la grazia) gliene do migliori, già che intendo ieri non esseme morti nessuno e due soli andati al Lazzaretto, ammalati d’altro male che di contagio, mandati là perché gli ospedali non ne pigliano, o pochi. Si sente bene ancora non so che, là inverso Rovezzano; ma poca cosa, e con il buon governo e con il caldo, che adesso si fa sentire assai gagliardo, si spera in breve la intera liberazione.

In questi contorni non è sospetto alcuno; le case, che nel principio del male hanno patito detrimento, sono quelle dei Grazzini lavoratori del Lanfredini, e quella dei Farcigli, che stavano a mezzo monte: era una gran famiglia divisa in due o tre case, non so già di chi fossero lavoratori, so bene che son finiti tutti. Queste sono le nuove che con ogni diligenza ho procurato d’aver certe per potergliene partecipare, e con questo inanimirla al ritorno, caso che sia spedita costà del tutto. Ché pur troppo è stato lungo questo tempo della sua assenza fino a qui, ne vorrei in alcuna maniera ch’Ella indugiasse fino all’autunno, come temo, s’Ella tarda troppo a partirsi; tanto più che sento ch’Ella adesso si ritrova libera e con tante recreazioni, del che godo e mi rallegro grandemente, siccome all’incontro mi dispiace che le sue doglie non la lascino, se bene par quasi necessario che il gusto ch’Ella sente nel bere cotesti vini così eccellenti, sia contrapesato da qualche dolore, acciò, astenendosi dal berne maggior quantità, venga ad ovviare a qualche altro maggior nocumento che potrebbe riceverne.

Ultimamente non ebbi tempo a dirgli come nel ritorno che fece da Firenze l’immagine della Santissima Madonna dell’Impruneta, venne nella nostra Chiesa; grazia veramente segnalata, perché passava dal Piano, sì che venne qui a posta, avendo a ritornar indietro tutta quella strada che V. S. sa, ed essendo il peso più di 700 libre quello del tabernacolo e adornamenti; mediante i quali non potendo entrare nelle nostre porte bisognò rompere il muro della corte, e alzare la porta della Chiesa, il che da noi s’è fatto con molta prontezza per tale occasione.

Suor Arcangela di San Giorgio, dopo avermi più volte mandato a domandar due scudi con molta istanzia, mi scrive adesso facendomi un lungo cordoglio per la morte della sua Suor Sibilla, e mi prega ch’io preghi V. S. come fo, che gli faccia carità di far dir una messa per quell’anima all’altare di San Gregorio, del che vorrebbe la certezza per poter star quieta, promettendo di non lasciar di pregar per V. S.

Adesso ch’ho ricordato San Gregorio, mi è sovvenuto che V. S. non m’ha mai detto niente d’aver ricevuta una ricetta che gli mandai per la peste. Mi è paruto strano, perché mi pareva di avergli mandata una bella cosa, e dubito che non sia andata a male. E qui, facendo fine con salutarla caramente per parte delle solite, prego Nostro Signore che gli conceda la sua santa grazia.

figliuola Affezionatissima

S. M. Celeste.

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