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Lettera 96
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A Roma

San Matteo, 2 luglio 1633

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.

Tanto quanto m’è arrivato improvviso e inaspettato il nuovo travaglio di V. S., tanto maggiormente mi ha trafitta l’anima d’estremo dolore il sentire la risoluzione che finalmente s’è presa, tanto sopra il libro, quanto nella persona di V. S. Il che dal signor Geri m’è stato significato per la mia importunità, perché, non tenendo sue lettere questa settimana, non potevo quietarmi, quasi presaga di quanto era accaduto.

Carissimo signor padre, adesso è il tempo di prevalersi più che mai di quella prudenza che gli ha concesso il Signor Iddio, sostenendo questi colpi con quella fortezza d’animo, che la religione, professione ed età sua ricercano. E giacché ella per molta esperienza può aver piena conoscenza della fallacia e instabilità di tutte le cose di questo mondaccio, non dovrà far molto caso di queste burrasche, anzi sperar che presto sieno per quetarsi e cangiarsi in altrettanta sua sodisfazione.

Dico quel tanto che mi somministra il desiderio, e che mi pare che prometta la clemenza che Sua Santità ha dimostrato inverso di V. S. in aver destinato per la sua carcere luogo sì delizioso, onde mi pare che si possa sperare anco commutazione più conforme al suo e nostro desiderio; il che piaccia a Dio che sortisca, se è per il meglio. Intanto la prego a non lasciar di consolarmi con sue lettere, dandomi ragguaglio dell’esser suo quanto al corpo e molto più quanto all’animo: io finisco di scrivere, ma non già mai d’accompagnarla con il pensiero e con le orazioni, pregando sua divina Maestà che gli conceda vera quiete e consolazione.

figliuola Affezionatissima

S. M. Celeste.

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