< Lettere di Winckelmann
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A r t i c o l o   X


Notizie sopra altre antichità di Pompeja, di Stabbia,
di Pesto, e di Caserta.


Quest’oggi vi voglio parlare di altri luoghi antichi, che non sono l’Ercolano; ma che pur sono ora apportatori di bei monumenti al pari di quello. Veniamo prima a Pompeja, che fu coperta non da lava, ma da lapillo, e cenere nel noto infortunio vesuviano. Pompeja è distante da Portici sette miglia, e da Napoli tredici, ed è lungo la strada salernitana. Nel giro, che ho fatto per tutte le scavazioni d’Ercolano, di Resina, di Stabbia, ec., ho finito in quelle di Pompeja. Questa città era più grande di tutte le altre. Otto uomini soli lavorano a disotterrare una città intera subissata; e cinquanta in tutto fra cavatori, e schiavi barbareschi sono spartiti in quei quattro siti diversi accennati. Vi vorranno in quella maniera secoli per iscoprire tutti i tesori sotterranei. Si scoprì a Pompeja in presenza mia un orologio solare, o sia un gnomone di marmo con linee tinte di minio1; e si lavorava a sgombrare la cenere impietrita, e la terra in una stanza dipinta a riquadri, e quelli tramezzati da canne dipinte. Al muro stava appoggiato un credenzone all’antica, su cui s’inalzavano due gradini di un palmo d’altezza, per collocarvi sopra piatti, ec. La base era d’una specie di peperino impellicciato di breccia con un regolo di verde antico attorno: i gradini erano parimenti impellicciati. Vi stetti tutta la giornata per veder comparire tutto il credenzone. Il direttore del museo di Portici, ed io pranzammo con quello, che era stato preparato a Portici; ma la cenere era troppo ostinata per vederne il fine. Imboccammo nella strada maestra della città, lastricata di lava, non conosciuta dagli antichi, i quali congetturavano da qualche pezzo di pomice trovato intorno al vesuvio, che quello monte avesse arso anticamente, quando la pomice si vede già adoperata nelle fabbriche di Pompeja2. L’arte d’osservare non era troppo coltivata presso gli antichi; e si sono perciò lasciate scappare di mano le più belle scoperte. Anche le strade dell’antico Ercolano sono lastricate di lava. Il credenzone è stato levato intiero dopo la mia partenza, e trasportato a Portici. Pochi passi di lì proseguendo il lavoro, i cavatori sono arrivati al portone di un giardinetto3, alla di cui entrata stavano due statue di donne in terra cotta, alte cinque palmi, e tre once e mezza di passetto romano, le quali hanno il volto coperto con maschera. L’una era mancante di una mano già anticamente, perchè si sarebbe trovata, essendo sano il resto. Queste sono le prime statue di creta conservate, e stimabili per quello, che rappresentano4. A Stabbia vidi una bella stufa col suo tepidario accanto: ma vi vorrebbe altro, che una lettera per descrivere tutto. Dopo tanti {tenti, rigiri, preghiere, e spese fatte indarno quattro anni fa, mi è riuscito finalmente di vedere le piante delle scavazioni sotterranee fatte con esattezza incredibile dall’ingegnere regio, e sovrastante ai lavori; e ne ho cavati gran lumi, quali piacendo a Dio metterò un giorno alla luce5. Mi sono anche allungato sino a Pesto, della di cui architettura voglio ora parlarvi. I tre tempj, o sieno portici, sono fatti sullo fletto stile, e fabbricati prima dello stabilimento delle leggi di proporzione. La colonna dorica deve essere di sei diametri, e quelle di Pesto non arrivano a cinque6. Da ciò si può inferire, che l’architettura sia stata ridotta in regole d’arte dopo della scultura. L’architettura del Parthenion d’Atene è poco elegante a paragone del rilievo nel fregio dell’intavolato, di cui ho veduto un disegno esattissimo fatto da Stuart inglese architetto di Greenwich, che vi lavora intorno adesso a Londra7. Parerà un paradosso l’asserire, che l’architettura sia più ideale, che la scultura. Ma io ragiono così. L’architettura non s’è formata sull’imitazione di qualche cosa, che nella natura rassomigliasse ad una casa; ma lo scultore aveva il suo archetipo nella natura perfetto, e determinato. Le regole della proporzione bisogna convenire, che sieno prese dal corpo umano: dunque stabilite dagli fruitori. Questi fecero le statue lunghe sei piedi umani, secondo Vitruvio8; e le misure esatte prese da me vi corrispondono. Huet nell’Huetiana pretende, che il testo di Vitruvio sia scorretto, o sta in qualche dubbio su questo9. Ma altro è lo studio dell’arte, altro è lo studio della critica. Dunque le fabbriche di Pesto sono fatte o prima, che gli scultori si accordassero sulla misura di sei piedi, lo che pare poco probabile; o prima, che gli architetti adottassero le proporzioni degli scultori10. Gli architetti antichissimi di Pesto s’accorsero bensì della incongruità delle loro colonne; ma non avendo la misura stabilita, per non farle troppo tozze, secondo che loro dettava il sentimento, e la ragione, le fecero coniche11; e quella forma conica le rende stabili, e se non saranno distrutte con viva forza, resteranno in piedi sino alla fine del mondo. L’abaco, che posa sopra il collarino delle colonne, spunta fuori dall’architrave a sei palmi; e quello concorre a rendere l’aspetto augurio, e sorprendente. I triglifi sono nel fregio, e sul cantone dell’intavolato nella maniera che c’insegna Vitruvio, e che non può spiegarsi, che con un disegno di queste fabbriche12. Dopo di Pesto, lasciate che vi tocchi qualche cosa del grande acquedotto di Caserta. Quello acquedotto gira ventisei miglia. La prima sorgente, chiamata Fizzo, si prende sotto il monte Taburno, dai paesani chiamato Taurino. In quella valle sono le Furcæ Caudinæ, dove furono ristretti i Romani dai Sanniti. Il sito proprio, dove furono ristretti, è presentemente nominato Arpaja. Ivi vicino sono alcuni colli erti, che si chiamano il Campo romano. Appresso vi è una terra, che si chiama Furci: più a basso verso Napoli vi è un luogo chiamato Gaudiello13. Scavando i condotti nel monte si sono trovati avanzi dell’acqua Giulia, che portava l’acqua a Capua. Il primo, che ne fa menzione, è Vellejo Patercolo14, e si può anche riscontrare Dione15. L’acquedotto nuovo cammina sopra il taglio antico dell’acqua Giulia, ma va più profondo per raccogliere più acqua. Uno de’ tagli della montagna è un miglio e mezzo. Oltre alle sorgenti, che debbono fornire le acque all’acquedotto, vi sono trentaquattro altre sorgenti:, che possono servire di supplemento, ec.

  1. Quello è il celebre orologio illustrato dal ch. P. Paciaudi ne’ Monumenti Peloponnesiaci [ Tom. I. pag. 50.], e che produsse tanto risentimento degli Accademici Ercolanesi nella prefazione al Tomo iiI. delle Pitture. [ Si ha pure presso Seigneux de Correvon Lettr. sur la decouv. ec. Tom. iI. lect. 9. pag. 204., e ne parla l’Enciclopedia, art. Gnomonique.
  2. Diodoro lib. 4. §. 21. pag. 267., Strabone lib. 5. pag. 378. arguivano che avesse arso dai vestigi di abbrustolimento, che si vedevano nelle pietre della montagna; e Vitruvio lib. 2. cap. 6. lo arguiva dalla pomice, e dalla pozzolana, di cui vedasi qui avanti pag. 25. seg.
  3. Le scoperte fatte in Pompeja, e le fabbriche disotterratevi sono state descritte, e date incise in rame dal sig cav. Hamilton, di cui tante volte è stato parlato innanzi, in un tometto in 4. pubblicato in Londra nel 1777. in lingua inglese. Possono vedersi anche varj rami grandi di vedute, pubblicati da Piranesi.
  4. Una statua di terra cotta di tutto tondo, alta due piedi, e di eccellente lavoro, rappresentante un Lare domestico, sedente, e vestito dì pelle cagnina, fu scoperta nella campagna di Perugia l’anno 1773., e fu illustrata per le stampe di quella città dal ch. abate Gio. Battista Passeri. Il notabile di quello simulacro argillaceo è, che abbia il nome dell’artefice segnato nella base cosi: C. FVFIVS. FINXIT. Le due statue Pompejane non saranno più sole. [ Si veda Tomo I. pag. 21.
  5. Il detto sin qui è scritto alli 19. marzo 1761. Quel che siegue era unito al detto nell’articolo iiI., e in altri.
  6. Si veda la descrizione datane dal nostro Autore qui avanti pag. 2. segg., e p. 50., e ciò che noi aggiugneremo qui appresso nella spiegazione delle Tavole in rame al numero iI. e segg. di questo Tomo iiI. Che queste colonne abbiano meno delli sei diametri fissati da Vitruvio all’ordine dorico più antico, non vuol dire, che fossero fatte prima dello stabilimento delle leggi di proporzione; ma che erano d’una proporzione più bassa; essendo le fabbriche in tutte le loro parti ben proporzionate, benché non siano in sè del miglior gusto. Ne’ più antichi tempi dell’arte si cercava prima la sodezza, poi il bello; e quella fu adottata nelle fabbriche, e nelle statue, siccome nella corporatura dell’uomo si stimava la più soda, e forte, come dirò quì appresso.
  7. Vedi qui avanti pag. 11., e il Giornale de’ Letterati stampato in Roma nel 1753. art. 26. pag. 366.
  8. lib. 3. cap. 1.
  9. Anche nel Tom. I. pag. 351. il nostro Autore critica Huet per questo passo di Vitruvio, sebbene un poco diversamente, facendogli dire quel che non ha mai pensato. Volendo esso nel cap. 12. pag. 33. sostenere, che l’uomo nel fisico, e nell’intellettuale sia andato col tempo degradando, porta in esempio l’autorità di Vitruvio intorno alla proporzione del piede umano a tutto il corpo, che era riputata anticamente la sesta parte di esso, ed ora è appena la settima: les proportions méme sont différentes de ce qu’elles étoient. La longueur du pied de l’homme n’est plus la sixième partie de sa hauteur, comme elle étoit du tems de Vitruve; à peine en est elle présentement la septiéme partie. Peut-on aouter que la nature des esprits n’ait suivi celle des corps? argomento, che non proverebbe al più se non che, o il piede si sia impiccolito, o che l’altezza del corpo sia cresciuta. Ma noi diremo, che Huet non ha badato, che gli antichi fissarono la proporzione del piede umano alla sesta parte del corpo, perchè stimarono essere la miglior corporatura la quadrata, e piuttosto larga, anziché la lunga, e smilza, come dicemmo nel Tom. iI. pag.107. n. a. Del resto gli uomini a un di presso sono sempre stati gli stessi almeno da qualche secolo dopo l’universale diluvio.
  10. Vedi qui appretto al detto numero II.
  11. Quelle della terza fabbrica hanno l’entasi, come notai qui avanti pag. 13. not. c.
  12. Si vedano in fine di quello Tomo, Tav. iiI. segg. Per li triglifi notai qui avanti p. 45. n. c., che al presente uno solo se ne vede nel piccolo tempio; ma doveano essere in tutte tre le fabbriche secondo la loro forma dorica, e nella forma del supposto tempio della Concordia in Girgenti, di cui vedasi la figura qui appresso Tav. XIX.
  13. Le Forche Caudine furono illustrate l’anno 1778. dal sig. Don Francesco Danieli per mezzo d’una magnifica stampa eseguita in Caserta mercè il munifico genio del signor conte di Wilzek, ambasciatore delle LL. MM. II. in Napoli a quel tempo, ora Maggiorduomo di S. A. R. l’Arciduchessa di Milano. Quivi le Forche Caudine sono precisamente fissate nella valle situata fra Arienzo, ed Arpaja, mentre alle falde del monte, che sovrasta Arpaja, fu già l’antico Caudio.
  14. lib. 2. cap. 11.
  15. lib. 49. §. 14. Tom. I. pag. 579.

Note

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