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E ddoppo, chi ss'è vvisto s'è vvisto Er gioco de piseppisello
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti dal 1828 al 1847

LI BBAFFUTELLI1

     No, ppe' ccristaccio, nun volémo un c....
Sti bbaffetti pe’ Rroma in priscissione;
Che vviengheno a ddà er zacco su a Ppalazzo,2
E a bbuggiarà la Santa Riliggione.

     Ma er Papa nostro, si nun è un c......,
Ce l’ha dda fà vvedé cquarche rrampazzo!3
Bast’abbino l’idea de frammasone
Pe mmannalli a impiccà tutt’in un mazzo.

     E ppe’ nnun fà a chi fijjo e a chi ffijjastro,4
A le mojje bbollateje la s....,
E a li fijji appricateje l’incastro.5

     Si a ddà un essempio a sta canajja porca
Poi manca er boja, so’ cquà io pe’ mmastro,6
Che sso' ccome se sta ssott’a la forca.

Terni, 9 ottobre 1831

  1. Giovanetti vaghi d’andare in mustacchi. [Dai tempi napoleonici fino alla rivoluzione del 1830, in Francia portavano baffi i soli militari, tra i quali poi gli zappatori avevano l’esclusivo privilegio della barba intera. Tra i cittadini, stando al Gautier (Histoire du Romantisme; Paris, 1883; pag. 21), non c’erano in tutta la Francia che due sole barbe: quella di Eugenio Devéria e quella di Pietro Borel, due artisti bizzarri. Ma dopo la rivoluzione del 1830, specialmente perchè si ricostitui la guardia nazionale, i Francesi cominciarono a riportare baffi e mosca, che perciò diventarono segno di liberalismo anche tra noi, scimmiottatori allora più che adesso' delle usanze francesi. Sappiamo poi dal D'Azeglio (I Miei Ricordi, cap. XXII) che nel 1822 non c’era anima che portasse baffi;, e dal Farini (Lo Stato Romano ecc.; seconda edizione; Firenze, 1850; vol. I, pag. 73), che dopo i moti politici del 1831, gli agenti di polizia del Papa, “consociati ai centurioni„ (V. su costoro la nota 10 del sonetto: Le lemosine ecc., 6 giugno 34), “strappavano ai cittadini i peli dal mento e dal labbro superiore.„ Anche nel Giusti il Frate Professore e la Taide ammoniscono Gingillino, che quanto più serberà il muso di castrato, tanto più entrerà in grazia al Principale. E il 13 marzo 1850, Pierfrancesco Leopardi, fratello di Giacomo, scriveva nel suo Diario: “Oggi, dopo quindici anni che li ho portati, mi son tolto i mustacchi per condiscendere al Governo, che ha mostrato desiderio di veder tolto questo disgustoso segno di rivolta dal viso de’ suoi impiegati governativi e comunali. Io però sento fastidio di questa privazione per la lunga abitudine contratta, e siccome non portava i mustacchi per nessun fine politico di ostilità, tornerò facilmente a rimetterli, tanto più che la mia fisonomia, non certamente bella, ora mi sembra alquanto ridicola, ed io, potendolo, voglio risparmiare al mio prossimo l’incomodo di ridere alle mie spalle.„ Antona-Traversi, Studi su G. Leopardi; Napoli, 1887; pag. 136.Fonte/commento: Sonetti romaneschi/Correzioni e Aggiunte]
  2. [Quello del Papa, s'intende. E qui il popolano non fa altro che ripetere ciò che aveva osato dire nella Notificazione del 14 febbraio 1831 il cardinale Bernetti, Prosegretario di Stato: "Il progetto già conosciuto di questi ribaldi,„ cioè i rivoltosi, tra i quali erano anche i fratelli Luigi e Napoleone Bonaparte, "è il saccheggio non meno delle pubbliche che delle private proprietà, é colla lusinga di queste prede hanno cercato di acquistar seguaci, e quindi di tentar la rivolta.„]
  3. "Impiccato:„ translato di racemo, detto in Roma rampazzo. [V. in questo volume la nota 3 del sonetto: Er vino ecc., 6 ott. 31.]
  4. Parzialità.
  5. Castratura.
  6. [Titolo del boia, che era allora il famosissimo mastro Titta. Cfr. la nota 8 del sonetto: Una bbella mancia, 24 genn. 33.]

Note

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