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Questo testo fa parte della raccolta Poesie inedite (Pellico)


LODOVICO DE BREME.





Non obliviscaris amici tui in animo tuo.

(Eccli. 37. 6).



Dacchè miei ceppi hai franto, e il subalpino
     Aere di novo, o sommo Iddio, respiro,
     Piena d’incanti è al guardo mio Taurino;
     4Ma un caro ch’io v’avea cerco e sospiro.

Qui Lodovico nacque, e parte visse
     De’ diletti suoi giorni, e qui patìo,
     E presso a morte qui le ciglia affisse
     8L’ultima volta sul sembiante mio.

E m’indicò le vie dov’ei solea
     Trar verso sera i solitarii passi,
     E il loco della chiesa ov’ei porgea
     12Preci, me lunge, perchè a lui tornassi.

Sì ch’ogni giorno or qua or là lo veggio
     Smorto ed infermo, e pien di lena sempre,
     Ed in ispirto al fianco suo passeggio,
     16E parmi che sua voce il cor mi tempre.

Negli estremi suoi dì quanto, o Signore,
     Altamente parlommi ei del Vangelo!
     Come esclamò che il rimordeano l’ore
     20A gioie, a larve, e non sacrate al cielo!

Ah, que’ detti m’affidano, e m’affida
     La tua clemenza, e lui beato io spero!
     Ma se ancor dolorasse, odi mie grida,
     24Aprigli i gaudii del tuo santo impero.

Debitor fui di molto a Lodovico:
     Sprone agli studii miei si fea novello;
     Ai dolci amici suoi mi volle amico,
     28E più al suo prediletto Emmanuello1.

Ma in ver di Lodovico io l’amicizia
     Ingratamente troppo rimertai,
     Fera in quegli anni m’opprimea mestizia,
     32Nè a lui la vita abbellir seppi io mai.

Con indulgenza infaticata il pondo
     Ei reggea di mia trista alma inquïeta,
     E spesse volte da dolor profondo
     36A sorriso traeami e ad alta meta.

Per forte impulso de’ suoi cari accenti
     Energìa forse conseguii più bella:
     Quell’energia perch’uomo infra i tormenti
     40Soffoca i lagni, e indomito s’appella.

La facondia, l’amor, la pöesia
     Perscrutante e gentil de’ suoi pensieri
     Luce nova sovente all’alma mia
     44Davan cercando i sempiterni veri.

Quante fïate a’ gravi dubbii miei
     Mosse amichevol, generosa guerra,
     E me dai libri tracotanti e rei
     48Svelse di lor, cui senza Dio è la terra!

Se arditi di sua mente erano i voli
     Quando la mente ei di Platon seguiva,
     Pur temev’anco di ragione i dòli,
     52Ed a’ piè dell’altar si rifuggiva.

Te sorpreso di morte sì precoce,
     Deh! amico, non avesse il fero artiglio!
     Più fido mi vedresti ora alla Croce,
     56Più concorde or sarìa nostro consiglio.

E tu stesso maestri avendo gli anni,
     Con più sicura man rigetteresti
     Del secol nostro gli abbaglianti inganni,
     60E tutti i lumi tuoi foran celesti.

Ma fu per te misericordia certo,
     Che tu morissi pria dell’ora, in cui
     Trassi prigione in bolgie, ove deserto
     64In grandi strazi per due lustri io fui.

Le ambasce mie, le ambasce d’altri amici
     Troppo avrian tua pietosa alma squarciata:
     Chi vive sulla terra a’ dì infelici,
     68Troppo ne’ danni i soli danni guata.

Invece, assunto, come spero, al loco
     Ove in tutte sue parti il ver risplende,
     Veduto avrai che di sventura il foco
     72Talor sana gli spirti a cui s’apprende.

Veduto avrai siccome io, debol tanto
     Quando i miei dì fulgean più dilettosi,
     Nel supremo dolor contenni il pianto,
     76E mia fiducia nell’Eterno posi.

Veduto avrai siccome, fatto io preda
     Di lunghe dubitanze sciagurate,
     Solo in carcer la diva afferrai teda,
     80Che mie maggiori tenebre ha sgombrate.

Veduto avrai, dentr’anime più pure,
     Che non era la mia, nel duol costrette,
     Stimol gagliardo farsi le sciagure
     84A volontà più fervide e più elette.

Commiserato avrai noi doloranti,
     E reso grazie a Dio, tutti scernendo
     Dell’oprar suo sublime i fini santi,
     88Pur quando sovra l’uom tuona tremendo.

Tu mel dicevi un giorno, ed io superbo
     Crederlo non potea! Tu mel dicevi:
     « Dio non si mostra a sua fattura acerbo,
     92Se non perchè l’amata a lui s’elèvi ».

Non tutte sue fatture hann’uopo eguale
     Di venir da procella aspra battute,
     Ma tai ve n’ha che senza orrendo strale
     96In fiacca letargìa sarian cadute.

Nondimen di mia forza ancor non posso,
     No, glorïarmi, e spesse volte ancora
     Son da tristezza e da pietà commosso,
     100E con suoi lumi Iddio non mi ristora.

In quell’ore fantastiche di pena
     Godo passar dinanzi alle tue porte,
     E il core allor secreto pianto sfrena,
     104Inconsolabil di tua infausta morte.

Ma poi le tue sentenze generose
     Mi tornan nella mente, e il tuo sorriso;
     E m’inondano il sen dolcezze ascose,
     108Ed anelo abbracciarti in Paradiso.

Prego che tu vi sia! prego che appresso
     Al nostro Volta, ad ambiduo sì caro,
     Con lui mi guardi, e m’impetriate accesso
     112Laddove col desìo già mi riparo!

Dio, salvator di molti amici miei,
     Ch’a te in vita e più in morte alzaro il core,
     Di te indegno e di loro io mi rendei;
     116A farmi degno, ti domando amore!


  1. Il Principe Emmanuele della Cisterna.

Note

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