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QUINTO CANTARE.
ARGOMENTO.
Vuol con gl'incanti dar la Maga aita
In Malmantile al popolo assediato;
Ma dagli spirti è così mal servita,
Che tra' nimici è il suo saper beffato.
Vien Calagrillo, e a duellar la 'nvita:
E lo 'nvito è da lei tosto accettato.
Il Fendesi, e altri due, com'è usanza,
Sparir di Piaccianteo fan la pietanza.
1.
E' si trova talun che è sì capone,
Che ad una cosa che si tocca e vede,
E che di più l'afferman le persone,
Vuol essere ostinato e non la crede;
Un altro è poi sì tondo e sì minchione,
Che se le beve tutte e a ognun dà fede;
E ci son uomin tanto babbuassi,
Che crederebbon ch'un asin volassi.
2.
Gli estremi non fur mai degni di lode:
Ci vuol la via di mezzo; e chi ha cervello,
Se vere o false novitadi egli ode,
A crederle al compagno va bel bello:
Le crede, s'elle son fondate e sode;
Ma s'elle star non possono a martello,
Non le gabella1 mica di leggieri,
Come fa il Duca2 a certi messaggieri.
3.
Ma perchè chi m'ascolta intenda bene,
Tornare a Martinazza mi bisogna:
La qual dianzi lasciai, se vi sovviene,
Che in sul Caprinfernal, pigra carogna,
Quel popolaccio ha aggiunto e lo ritiene
Dal fuggir via con tanta sua vergogna;
Perchè, quando per lei la raffigura,
Rallenta il corso e piscia la paura.
4.
E quivi, coll'affanno in sulla pena3,
Tutto lamenti, condoglienze e strida,
Tremando forte come una vermena,
La prega, perchè in lei molto confida
E perchè addosso giunta gli è la piena
E lì tra lor non è capo nè guida,
A far in mo', se si può far di manco,
Ch'ei non s'abbia4 a cacciar la spada al fianco.
5.
Ella risponde allor, ch'è di parere
Che il pigliar l'arme faccia di mestiero;
Che per la patria par che sia dovere
Il farsi bravo, e diventar guerriero;
Sebben fra tanto vuole un po' vedere,
S'ella con Gambastorta e Baconero5
Trovar potesse il modo che costoro
Vadano a far il bravo a casa loro.
6.
Ciò detto, balza in casa, e colà drento
Per ugnersi dispogliasi6 in capelli;
E cacciatasi addosso quant'unguento
Aveva ne' suoi fetidi alberelli,
Un gran circolo fa nel pavimento,
E con un vaso in man, scritti e cartelli,
Borbottando parole tuttavia,
Che nè men si direbbono in Turchia,
7.
Fa un salto a piè pari in mezzo al segno;
E quivi avendo all'ordine ogni cosa
Per mandare ad effetto il suo disegno,
Grida così con voce strepitosa:
O colaggiù dal sotterraneo regno
Cornuti mostri e gente spaventosa,
Filigginosi abitator di Dite,
Badate a me, le mie parole udite.
8.
Vi prego, vi scongiuro e vi comando
Per la forza e virtù di questi incanti;
Per quest’acqua che a gocce in terra spando
Dagli occhi distillata degli amanti;
Per questa carta, ov’è stampato il bando7
Di quella porcheria de’ guardinfanti
Che di portar le donne han per costume,
Ricettacol di pulci e sudiciume;
9.
Per gl’imbrogli vi chiamo e l’invenzioni,
Che ritrova il legista ed il notaio,
Quando per pelar meglio i buon pippioni,
Gli aggira, che nè anche un arcolaio:
Orsù, pezzi di sacchi di carboni,
Per quei ladri del sarto e del mugnaio
Che ti voglion rubare a tuo dispetto,
Uscite fuor, venite al mio cospetto.
10.
Tutto l’Inferno a così gran parole
Vien sibilando e intorno le saltella,
Come dall’alba al tramontar del sole
Fa quel ch’è morso dalla tarantella8.
Domandale Pluton quel ch’ella vuole,
Chè stridendo ogni dì lo dicervella;
E lui, ch’or mai ha dato nelle vecchie,
Fa ire in giù e in su come le secchie;
11.
Ed a far ch’ei si pigli quella stracca
Senza cagion, gli par ch’ell’abbia il torto;
Perchè dalla profonda sua baracca
A Malmantil non è la via dell’orto.
Corpo!... (dic’ella, ed al celon9 l’attacca)
A venire insin qui tu sarai morto!
Ma senti, il mio Pluton, non t’adirare,
Chè venir non t’ho fatto sine quare;
12.
Ma perchè tu mi voglia far piacere
Di darmi Baconero e Gambastorta,
Perch’io mi vo’ dell’opra lor valere
In cosa che mi preme e che m’importa.
Plutone allor quei due fa rimanere,
E la strada si piglia della porta
Seguìto da’ suoi sudditi, che tutti
Posson fondar la Compagnia de’ Brutti10.
13.
Lascian Plutone e corron dalla druda
I due spirti, aspettando il suo decreto:
Ed ella allor, che fa da Cecco Suda11
Per far sì che Baldon dia volta a dreto,
Ed anche, se si può, ch’ei vada a Buda12,
Gli prega che le dian qualche segreto,
Di far, senz’altre guerre ovver contese,
Che quelle genti sfrattino il paese.
14.
Io ho, dice un di lor, bell’e trovato
Un’invenzion, che ci verrà ben fatto;
Perchè il duca Baldone è innamorato
Della Geva di corte, e ne va matto:
Ma la furba lo tiene ammartellato,
E due tavole13 dar vorrebbe a un tratto,
Tenendo il piè in due staffe, amando lui,
E parimente il duca di Montui14.
15.
Però, se noi finghiam ch’ella gli scriva
Che ’l suo rivale (adesso ch’egli ha inteso
Ch’ei s’è partito) colla gente arriva
Per volergliela su levar di peso;
E che se proprio è ver che per lei viva,
Com’ei spesso giurò, d’amore acceso;
E se gli è cara; lo dimostri, e prenda
Ed armi e bravi, e corra e la difenda.
16.
Vedrai che ’l duca torna allotta allotta,
Correndo a casa come un saettone
Con quanta ciurma ch’egli ha qua condotta,
Per voler ammazzar bestie e persone.
Or dunque tu, che sei saputa e dotta
Che non la cedi manco a Cicerone,
Scrivi la carta; chè tu sai che noi
Siam tutti un monte d’asini e di buoi.
17.
Non ti do contro, rispond’ella, a questo,
Ed ho gusto che voi vi conoschiate15.
Orsù, dice il demonio, scrivi presto
Due parole in tal genere aggiustate.
Sì, dic’ella; ma vedi, io mi protesto,
Ch’io non portai mai lettere16 o imbasciate.
Scrivi soggiunge quei; chè, quanto al porta,
Eccomi lesto qui con Gambastorta.
18.
E per dare al negozio più colore,
In forma voglio ir io d’una comare
Della sua Geva, detta Mona Fiore,
Confidente del duca in ogni affare.
Gambastorta verrà da servitore,
Che mostri di venirmi a accompagnare;
E già per questo ho fatte far di cera
Due palle, una ch’è bianca, e l’altra nera.
19.
Quand’un tien questa nera in una branca,
Di subito d’un uom prende figura;
E s’ei vi chiude quell’altra ch’è bianca,
In femmina si muta e trasfigura.
Sicchè riguarda ben s’altro ci manca,
E distendi mai più17 questa scrittura;
Chè ’l mio compagno ed io qua per viaggio
Ci muterem l’effigie e il personaggio.
20.
La nera a lui darò, ch’altrui lo faccia
Parere un uom di venerando aspetto;
La bianca terrò io, che membra e braccia
Della donna mi dia che già t’ho detto.
La strega qui gli dice ch’ei si taccia,
Perch’ella scrive, e guasto le ha un concetto;
Ma lo scancella, e mettelo in postilla:
Così piega la carta e la sigilla.
21.
Le fa la soprascritta e poi finisce,
A piè d’un ghirigoro, in propria mano;
E con essa quel diavolo spedisce
Alla volta del principe d’Ugnano:
Là dove l’un e l’altro comparisce
Con una delle dette palle in mano,
Credendo l’un rappresentar la Fiore,
E l’altro il servo; ma sono in errore.
22.
Chè Baconero, il quale è un avventato,
Nel dar la palla all’altro di nascosto,
Senza guardarla prima, avea scambiato
E preso un granchio e fatto un grand’arrosto.
Perciò quand’a Baldone egli è arrivato,
Dice cose dal ver troppo discosto;
Mentr’egli afferma d’esser donna, e sembra
Uomo alla barba, all’abito e alle membra.
23.
E Gambastorta, anch’ei balordo e stolto,
Mentr’apparir si crede un uom dabbene,
Alla favella, alla presenza e al volto
Per una fasservizi ognun la tiene.
Il foglio intanto il Duca avea lor tolto;
E veduto lo scritto e quel contiene18,
Resta certo di quanto era indovino,
Che i furbi vorrian farlo Calandrino19.
24.
E poichè gli hanno detto che la Geva
A lui gli manda con quel foglio apposta,
Ma prima che da loro ei lo riceva,
Hann’ordine d’averne la risposta20;
E soggiunto, che mentr’ella scriveva,
Gettava gocciolon di questa posta21
Per il trambusto grande ch’ella ha avuto,
Come potrà sentir dal contenuto;
25.
Egli è, dic’egli, un gran parabolano,
Chi dice ch’ella ha scritto la presente;
Quand’ella non pigliò mai penna in mano,
E so di certo ch’ella n’è innocente.
Che poi tu sia la Fiore22, che in Ugnano
A me fu molto nota e confidente,
E tu sia uom, a dirla in coscïenza,
A me non pare, e nego conseguenza.
26.
I buon compagni a una risposta tale
Guardansi in viso; e in quel sendosi accorti
Ch’egli hanno equivocato e fatto male,
Restan quivi allibbiti e mezzi morti;
Ed alle gambe avendo messo l’ale,
Fuggon, ch’e’ par che ’l diavol se gli porti,
Con una solennissima fischiata
Di Baldone e di tutta la brigata.
27.
Adesso a Calagrillo me ne torno
Che va marciando al suon del suo strumento,
Colla dolente Psiche ognor d’attorno,
Ch’ad ogni quattro passi fa un lamento.
Ha camminato tutto quanto il giorno,
E domandato cento volte e cento
La via di Malmantile, e similmente
Di Martinazza, e se v’è di presente.
28.
Dà in un, ch’al fin la mette per la via,
Con dirle che quest’orrida befana,
Che già d’un tozzo aveva carestia
E stava come l’erba porcellana23,
In oggi ha di gran soldi in sua balía
Ed ha una casa come una dogana;
E nella corte è in grado, e giunta a segno,
Ch’ell’è il totum continens del regno.
29.
Che la padrona il tutto le comparte,
Come se in Malmantil sien due regine;
Anzi il bando24 si manda da sua parte,
Perch’ella soffia25 il naso alle galline.
Così, poich’ebbe dato libro e carte26,
Entra nell’un vie un27, che non ha fine
Costui, che quivi s’è posto a bottega28
A legger29 sopra il libro della strega.
30.
Quest’altro, che non cerca da costui
Di questi cinque soldi30, avendo fretta,
Poich’egli ha inteso quel che fa per lui,
Sprona il cavallo tutto a un tempo e sbietta.
La donna, che trovare il suo colui31
Di giorno in giorno per tal mezzo aspetta,
Per non lo perder d’occhio32 e ch’ei le manchi,
Segue la starna e le va sempre ai fianchi.
31.
Quando al castello al fin sono arrivati,
Là dove altrui assordano l’orecchie
Gli strepiti dell’armi e de’ soldati,
Che d’ogn’intorno son più delle pecchie,
Domandan soldo; ed a Baldon guidati,
Che avendo del guerrier notizie vecchie,
Gli va incontro, l’accoglie e riverisce,
Ed egli a lui coll’armi s’offerisce.
32.
Ma piacciati, soggiunse, ch’io ti preghi
Per questa donna rimaner servito33,
Che questo ferro pria per lei s’impieghi,
Per conto qua d’un certo suo marito.
A tanto cavalier nulla si nieghi,
Risponde a ciò Baldon tutto compìto.
Tu se’ padrone, fa’ ciò che tu vuoi,
Non ci van cirimonie fra di noi.
33.
Ti servirò di scriverti34 alla banca;
E in tanto per adesso ti consegno
Il gonfalon di questa ciarpa bianca,
Chè tra le schiere è il nostro contrassegno;
Talchè libero il passo e scala franca35
Avrai, per dar effetto al tuo disegno,
Che non so qual si sia nè lo domando;
Però va’ pur, ch’io resto al tuo comando.
34.
Ei lo ringrazia; e gito più da presso,
Ove sta chiuso di Psiche il bel Sole36,
Ad essa dice: in quanto al tuo interesso,
Fin qui non ti ho servito, e me ne duole;
Chè tu non pensi, avendoti promesso,
Ch’io faccia fango37 delle mie parole;
E che il mio indugio e il non risolver nulla
Sia stato un voler darti erba trastulla.
35.
Ovver ch’io me la metta in sul liuto38,
O ti voglia tener l’oche in pastura,
Come quel che ci vada ritenuto
Per mancanza di cuore o per paura;
Perchè, siccome avrai da te veduto,
Non ho sin qui trovata congiuntura
Di chi m’indirizzasse qua al castello,
Per poterne cavar cappa39 o mantello.
36.
Risponde Psiche a questa diceria:
Io non entro, signore, in questi meriti.
Non ho parlato mai, nè che tu sia
Tardo, o spedito, ovver che tu ti periti.
Quel che tu fai, tutt’è tua cortesia;
Per tal l’accetto, e ’l Ciel te lo rimeriti,
Con darti in vita onor, fama e ricchezza,
Sanità dopo morte ed allegrezza.
37.
Sta’ quieta, le dic’egli, e ti conforta,
Ch’io voglio adesso dar fuoco al vespaio.
Così, col corno, il quale al collo porta,
Chiama la guardia, ovvero il portinaio.
Non è sì presto il gatto in sulla porta
Quand’ei sente la voce del beccaio,
Quanto veloce a questo suon la ronda40
Sopr’alle mura accostasi alla sponda41.
38.
Un par d’occhiacci, orlati di savore42,
Così addosso ad un tratto gli squaderna,
Che par quando il Faina43 alle sei ore
In faccia mi spalanca la lanterna;
E medïante44 un certo pizzicore
Ch’ei sente al collo, i pizzicotti alterna,
Ond’alle dita egli ha fatti i ditali45
D’intorno a innumerabili mortali.
39.
Non tanto s’abburatta46 per la rogna
E pe’ bruscol che vanno alla goletta47,
Quanto che dir non può quel che bisogna,
Ch’ei tartaglia e scilingua anche a bacchetta48.
Qual il quartuccio49 le bruciate fogna,
Nè senza quattro scosse altrui le getta,
Tal si dibatte, e a vite fa50 la gola
Ogni volta ch’ei manda fuor parola.
40.
Bu bu bu bu, comincia, chè ’l buon giorno
Vorrebbe dar al cavalier, ch’ei tiene
Il corrier, medïante il suon del corno,
Del popol d’Israel ch’or va or viene.
Van le parole a balzi e per istorno51,
Prima ch’al segno voglian colpir bene:
Pur pinse tanto, che gli venne detto:
Buon dì, corrier: che nuova c’è di Ghetto?
41.
Rispose l’altro, tal parola udita:
D’esser corriere già negar non posso,
Perch’io l’ho corsa a far questa salita;
Ma quanto al Ghetto io non la voglio addosso.
Non ho che far con gente Israelita:
Ben ti farà il mio brando il cappel rosso52,
E col darti sul viso un soprammano
D’Ebreo farà mutarti in Siciliano53.
42.
Ma che vo il tempo qui buttando via,
In disputar con matti e con buffoni?
Il trattar teco, credomi che sia
Come a’ birri contar le sue ragioni;
Nè dissi mal, perch’hai fisionomia
D’un di color che ciuffan pe’ calzoni:
E l’esser tu costì, par ch’ella quadri,
Chè i birri sempre van dove son ladri54.
43.
Ben che voi siate come cani e gatti,
Ch’essi non han con voi gran simpatia,
Perchè peggio de’ diavol sete fatti,
Usando nel pigliar più tirannia.
Dell’alma sola quei55 son soddisfatti;
Ma voi col corpo la portate via.
Or basta, se tra voi tant’odio corre,
Meglio a’ lor danni ti potrò disporre.
44.
Or dunque tu, che sei così pietoso,
Che pigli i ladri, acciò Mastro Bastiano
Sul letto a tre colonne56 almo riposo
Dia lor del tanto lavorar di mano;
Perch’a qualunque ladro il più famoso
Martinazza in rubar non cede un grano,
Che non uccella57 a pispole, ma toglie
Cupído a questa donna, ch’è sua moglie;
45.
Lo stesso devi oprar che a lei sia fatto
Mentr’a58 costei non renda il suo consorte,
A cui (perch’ei consente in tal baratto)
Questa59 potrebbe far le fusa torte;
Ed ei si cerca60 esser mandato un tratto
Sull’asin con due rócche dalla Corte.
Sicchè, se tu nol sai, ti rappresento
Che un disordine qui ne può far cento.
46.
Però se voi adesso, a cui s’aspetta,
Costà non impiccate questa troia,
Io stesso vo’ pigliarmi questa detta61,
E farle il birro, e in sulle forche il boia,
Mentre però Cupído non rimetta;
Ma se lo rende, non vi do più noia.
Va’ dunque, e narra a lei quanto t’ho detto,
Ch’io qui t’attendo e la risposta aspetto.
47.
La ronda, che far lite non si cura,
E vuol riguardar l’armi dalle tacche,
Quantunque ad alto sia sopr’alle mura
Molto lontana e già in salvummeffacche62,
Non vuol tenersi mai tanto sicura,
Che rilevar non possa delle pacche.
Però, veduto avendo il ciel turbato,
Tace, ch’ei pare un porcellin grattato63.
48.
Lascia la sentinella, e caracolla
Giù pel castello, dando questa nuova;
E benchè il maggioringo64 della bolla
Gli abbia promesso, mentre ch’ei si mova,
Di fargli porre a’ piedi la cipolla65,
Cercando della morte in bella prova,
Vuol avvisar di ciò Mona Cosoffiola66,
Ch’è per basire a questa battisoffiola.
49.
Ella insieme le schiere ha già ridotte
Di genti, che non vagliono un pistacchio;
Cioè di quelle a cui fece la notte
Col suo carro sì grande spauracchio.
Ed or quivi parare, e dar le botte
Insegna lor, che non ne san biracchio67;
Ma quand’innanzi a lei costui si ferma
Così tremante, la cavò di scherma68.
50.
Mentre del fatto poi le dà contezza,
Con quella ambascia e lingua di frullone
Fa (perchè nulla mai si raccapezza)
Chi lo sente morir di passïone;
Ma quella, ch’a sentirlo è forse avvezza,
Lo ’ntende un po’ così per discrezione;
E qui finiscon le lezion di guerra,
Perch’ella non dà più nè in ciel nè in terra.
51.
Tutto in un tempo vedesi cambiare
L’amante ingelosita Martinazza;
Or ora è bianca, come il mio collare,
Or bigia, or gialla, or rossa, or paonazza;
Or più rossa del c... d’uno scolare
Dopoch’egli ha toccata una spogliazza69.
In somma ella ha sul viso più colori,
Che in bottega non han cento pittori.
52.
Rabbiosa il capo verso il ciel tentenna,
Quasi col piede il pavimento sfonda;
Or si gratta le chiappe, or la cotenna,
Or dice al messaggero che risponda,
Or lo richiama, mentr’egli è in Chiarenna70:
Grida, e minaccia, e par che si confonda;
Mille disegni entro al pensier racchiude,
I enne inne71, e nulla mai conchiude.
53.
Il guardo al fine in terra avendo fiso,
’N un vasto mare ondeggia di pensieri,
E lagrime diluvia sopra il viso,
Grosse come sonagli72 da sparvieri,
Che lavandole il collo lordo e intriso,
Laghi formano in sen di pozzi neri73;
Al fin tornata in sè, colla gonnella
S’asciuga, e al messaggier così favella:
54.
Torna, e rispondi a questo scalzagatto,
Che si crede ingoiar colle parole,
Ch’io non so quel ch’ei dice; e s’egli è matto,
Non ci posso far altro, e me ne duole.
Poi, circa alla domanda ch’egli ha fatto:
Che gli darò Cupído, e ciò ch’e’ vuole,
Se colla spada in mano ovver coll’asta
Prima di guadagnarlo il cor gli basta.
55.
Però, se in questo mentre umor non varia,
Domani al far del dì facciami motto;
E s’io gli farò dar le gambe all’aria,
Quella sua landra74 ha da pagar lo scotto75;
Ma se la sorte, forse a me contraria,
Vuol ch’a me tocchi andar col capo rotto,
Prenda Cupído allor, ch’io gli prometto
Lasciarglielo segnato76 e benedetto.
56.
Ciò detto, parte: e quei, ch’era uomo esperto
(Essendo stato cavallaro, e messo),
Al cavaliere ad unguem fa il referto
Di quel che Martinazza gli ha commesso.
Ed in viso vedendolo scoperto,
Quest’ha bisogno, dice, d’un buon lesso77;
Perch’egli è duro, e non punto pupillo78:
Lo conosco bensì, gli è Calagrillo.
57.
Ma qui la dama e Calagrillo resti;
Quest’altro giorno rivedremgli poi.
Il passo meco ora ciascuno appresti
Per giungere il Fendesi e gli altri duoi,
Che seguitaron, come voi intendesti,
Perlon che se n’andò pe’ fatti suoi;
Chè troveremgli, se venir volete,
Più presto assai di quel che vi credete.
58.
Chè giò giò79 se ne vanno giù nel piano
Sbattuti, com’io dissi, dalla fame:
Ma non son iti ancora un trar di mano,
Che senton razzolar tra certo strame;
Perciò coll’armi subito alla mano
Corron dicendo: qui c’è del bestiame;
Sicchè quando crediamo di trar minze80,
Il corpo forse caverem di grinze.
59.
Curiosi quel che fosse di vedere
Dentr’a una stalla inabitata entraro.
E vedder, ch’era un uom posto a giacere
Sopr’alla paglia a guisa di somaro;
Accanto aveva da mangiare e bere,
E gli occhi distillava in pianto amaro;
E tra i disgusti e il vin, ch’era squisito,
Pareva in viso un gambero arrostito.
60.
Questo è quel Piaccianteo già sublimato
Al grado onoratissimo di spia:
Quel che, per soddisfar tanto al palato,
Ha fatto in quattro dì Fillide mia81;
E lì colla sua spada s’è impiattato,
Dell’onor della quale ha gelosia;
Chè avendola fanciulla82 mantenuta,
Non gli par ben che ignuda sia tenuta.
61.
Ma perchè un uom più vil mai fe natura,
Si pente esser entrato in tal capanna;
Perocchè a starvi solo egli ha paura,
Che non lo porti via la Trentancanna83:
E perchè tutto il giorno quant’e’ dura,
Egli ha il mal della lupa che lo scanna,
Non va mai fuor, s’a cintola non porta
L’asciolver84 col suo fiasco nella sporta.
62.
Ovunque egli è, d’untumi fa un bagordo,
Ch’ognor la gola gli fa lappe lappe;
Strega85 le botti, di lor sangue ingordo,
E le sustanze86 usurpa delle pappe;
Aggira il beccafico, e pela il tordo,
E a’ poveri cappon ruba le cappe87;
E prega il ciel che faccia che gli agnelli
Quanti le melagrane abbian granelli.
63.
Vedendo quivi comparir repente
L’insolite armi, sbigottisce il ghiotto;
E dal timor ch’egli ha di tanta gente,
Trema da capo a piè, si piscia sotto.
Con tutto ciò digruma allegramente,
E spesso spesso bacia il suo barlotto;
E acciò stremata non gli sia la vita88,
Non dice pur: degnate, o a ber gl’invita.
64.
Ma i cavalier famosi a quel plebeo,
Che non profferì lor della rovella89,
Furon per insegnare il galateo,
Con battergli giù in terra una mascella.
Chi sei? diss’un di loro: e Piaccianteo,
Ch’è un pover uom risponde; e in quella cella
Molt’anni in astinenza ha consumati
Per penitenza de’ suoi gran peccati.
65.
E quei soggiunge: mi rallegro, e godo
Che voi facciate bene, e vi son schiavo:
Ma se ’l patire è fatto a questo modo,
Penitente di voi non è più bravo;
Tal ch’io per me vi mando a corpo sodo,
Non nel settimo ciel, ma nell’ottavo;
Donde a’ mondani90, e a me, che sono il capo
Pisciar potrete a vostra posta in capo.
66.
Ma perch’al certo Vostra Reverenza,
Ch’è stenuata come un carnovale,
Avrà fatta fin or tant’astinenza
Che basti a soddisfare a ogni gran male;
Or può lasciar a noi tal penitenza,
Acciò baciam la terra del boccale91,
Per più mondi accostarci a questi avanzi
Delle reliquie ch’ell’ha qui dinanzi.
67.
Qual madre che ripara il suo figliuolo
Ch’è sopraggiunto da mordaci cani,
Ei cuopre tutto col suo ferraiuolo;
Ed eglino gli danno in sulle mani,
E col lazzo del Piccaro Spagnuolo92,
Che dalla mensa vuol tutti lontani,
Acciò poi a tal cosa non arrivi,
Con due calci lo fan levar di quivi.
68.
Così fan carità93 di più rigaglie,
Oltr'ad un'oca grossa arciraggiunta94;
Ma vedendo più in là fra quelle paglie
D'un pezzo d'arme luccicar la punta,
E del giaco scappare alcune maglie
Da quella sua casacca unta e bisunta,
Insospettiron, com'un'altra volta
Potrà sentir chi volentier m'ascolta.
Note
- ↑ St. 2. Gabellare. Ammettere una cosa; dalla gabella delle porte.
- ↑ - Il duca. Baldone.
- ↑ St. 4. In su la pena. L'affanno del correre aggiunto alla paura.
- ↑ - Ch'ei non s'abbia a trar dal fodero la spada che è al fianco.
- ↑ St. 5. Gambastorta ecc. Nomi immaginari di due diavoli.
- ↑ St. 6 Dispogliasi ecc. Dice il Minucci che spogliarsi in capelli oltre a significare Spogliarsi ignuda e sciogliersi le trecce, vale anche, Adoperare ogni suo sapere per fare una tal cosa.
- ↑ St. 8. Il bando ecc. In tutti i tempi si è fatta guerra al cerchio, ma il cerchio trionfa, a dispetto anche dei bandi imperiali e delle congiure mazziniane.
- ↑ St. 10. Tarantella o tarantola è un ragno il cui morso produce una pericolosa enfiagione. Ma l’effetto che qui si descrive non so so sia vero. Forse da questo fatto, o da questa opinione, è venuto il nome ad un certo ballo napoletano.
- ↑ St. 11. Celone (cielo), È una specie di panno e coperta da letto.
- ↑ St. 12. De' Brutti. Fu in Firenze una compagnia o accademia così chiamata.
- ↑ St. 13. Cecco Suda.(sudare) Che s’affanna, s’affatica.
- ↑ - A Buda. Vada per non più tornare, muoia; dal fatto dei molti Cristiani che morirono nella guerra fra i Turchi e Lodovico re d’Ungheria, circa il 1626.
- ↑ St. 14. A due tavole.ecc. Fare un viaggio e due servizi, tener duo a bada; tratto da uno dei giuochi che si fanno sul tavoliere.
- ↑ - Montui, Montughi, villaggio vicino a Firenze.
- ↑ St. 17. Vi conoschiate per quegli asini e e buoi che siete.
- ↑ - Non porto lettere ecc. Dire a una donna che porta lettere e ambasciate, è quanto dirle ruffiana.
- ↑ St. 19. Mai più. Una volta, finalmente.
- ↑ St. 23. E quel che contiene.
- ↑ - Calandrino ci è dipinto dal Boccaccio pel più credulo uomo di questo mondo.
- ↑ St. 24. Hanno ordine di ricever la risposta prima di consegnar la proposta. È detto per mostrare la castronaggine di costoro.
- ↑ - Di questa posta. Di questa fatta. Accompagna la parola col gesto.
- ↑ - E tu sia. ecc. Che tu sia la Fiore e che in pari tempo tu sia uomo.
- ↑ St. 28. Pocellana. Quest’erba sta terra terra.
- ↑ St. 29. Il bando. Qualsiasi comando.
- ↑ - Soffia ecc. Ella fa tutte le faccende. è il Fac totum.
- ↑ - Libro e carte. Piena contezza.
- ↑ - Nell'un vie un. In un discorso intricato e inetto da non uscirne mai.
- ↑ - A bottega. Proprio di proposito, come fosse suo mestiero.
- ↑ - A legger ecc. A narrar vita, morte e miracoli.
- ↑ St. 30. Di questi cinque soldi. Pagate cinque soldi, si dice a chi fa una lunga ed inopportuna digressione. Non cercar di guadagnar la multa di cinque soldi vale dunque Non curare la digressione.
- ↑ - Il suo colui. Il suo amante.
- ↑ - Non lo perdere. Non perder d’occhio Calagrillo.
- ↑ St. 32. Rimaner servito. ecc. Ti preghi che di buon grado io compia un’impresa per questa dama.
- ↑ St. 33. Scriverti. ecc. Arrolarti.
- ↑ - Scala franca. Passo libero.
- ↑ St. 34. Il suo bel sole. L’amato Cupido.
- ↑ Faccia fango ecc. Disprezzi e non mantenga le mie promesse.
- ↑ St. 35. Metta sul liuto ecc. Questo modo e il precedente e il seguente valgono tutti Trattenere con chiacchiere.
- ↑ Cavar cappa ecc. Mettermi all’opera, come chi per esser più agile in qualsiasi operazione si cava cappa e mantello.
- ↑ St. 37. Ronda è la guardia che gira per le mura e visita le sentinelle.
- ↑ Sponda della muraglia.
- ↑ St. 38. Savore è un intingolo fatto di pane e noci peste sciolte nell’agresto. Qui intende cispa.
- ↑ - Faina fu un certo caporal di birri.
- ↑ - Mediante. Qui, stante, a cagione di.
- ↑ - I ditali. Qui, le punte delle dita.
- ↑ St. 39. S’abburatta. Si dimena, si dibatte.
- ↑ - Goletta, Estremità dell’abito da uomo intorno alla gola, ove s'affollano questi bruscoli, che sono gli stessi innumerabili mortali nominati di sopra.
- ↑ -Scilinguare a Bacchetta è avere il comando e 'l dominìo dello scilinguare: e per conseguenza essere il capitano e l'antesignano degli scilinguatori. (Biscioni.)
- ↑ - Il quartuccio, piccola misura di legno, dicesi che fogna le castagne, quando il venditore ad arte vi lascia degli spazi vuoti: ma poi, sia per far credere che le vi fossero invece pigiate, sia perchè la bocca del detto vaso non è molto grande, il venditore, nel votar la misura, dà quattro scosse.
- ↑ Fa a vite. Storce la gola.
- ↑ St. 40. Per istorno. Per rimbalzo, di rimando.
- ↑ St. 41 Il cappel rosso portavano gli Ebrei in Firenze.
- ↑ Siciliano. Ben s'intende che qui vuol dire: Ti coprirò di ferite o ti ucciderò; ma l'allusione è ignota o almeno assai incerta.
- ↑ St. 42 Dove i ladri, cioè in Malmantile, dove ladra è la regina e ladra Martinazza.
- ↑ St. 43. Quei. I diavoli.
- ↑ St. 44. Letto a tre colonne. Le forche.
- ↑ -Non uccella ecc. Non si contenta di poco.
- ↑ St. 45. Mentre. Se.
- ↑ Essa. Psiche.
- ↑ ED EI SI CERCA ecc. Questo usavasi fare in Firenze a chi prendeva una seconda o terza moglie.
- ↑ DETTA, dal pl. latino Debita, Assunto, Incarico.
- ↑ SALVUMMEFFACCHE. Salvum me fac. Luogo di salvamento.
- ↑ UN PORCELLINO che strida, grattandolo, si cheta.
- ↑ MAGGIORINGO ecc. In furbesco valeva Il principe.
- ↑ LA CIPOLLA. La testa.
- ↑ COSOFFIOLA. Affannona.
- ↑ BIRACCHIO. Straccio, punto.
- ↑ CAVAR DI SCHERMA. Far perdere il filo del discorso. Ma qui ci cade più a proposito, perchè Martinazza stava insegnando la scherma.
- ↑ SPOGLIAZZA. Cavallo a calzoni calati. Uno scolare prendeva a cavalluccio il paziente spogliato dei calzoni, e il maestro gli dava sferzate nel sedere. Oggi spero che ad intendere questo passo ogni scolare abbia bisogno di questa nota.
- ↑ IN CHIARENNA. Assai lontano. Modo di cui non si rende ragione; e ne ha il Boccaccio de' più strani.
- ↑ I ENNE INNE. Così dice il bambino che cómpita. Serve ad esprimere il darsi gran moto irresolutamente e senza concluder nulla.
- ↑ SONAGLI che si appiccavano a' piedi degli sparvieri allevati per la caccia.
- ↑ POZZI NERI o bottini chiamansi in Firenze i ricettacoli di tutte le schiferie.
- ↑ LANDRA. Sgualdrina.
- ↑ SCOTTO. Qui, pena.
- ↑ SEGNATO ecc. Liberamente e senza alcuna eccezione.
- ↑ D'UN, BUON LESSO. D'una buona lessatura, di bollir molto. È quel che dicesi, un osso duro.
- ↑ NON È PUPILLO. Non ha bisogno di tutori, chè sa far bene i fatti suoi da sè.
- ↑ GIÒ GIÒ. Adagio adagio.
- ↑ TRAR MINZE. Stentare, morire.
- ↑ FAR FILLIDE. Finire la vita o la roba.
- ↑ FANCIULLA. Vergine, non mai adoperata.
- ↑ TRENTACANNA. Animale favoloso che ingoia e tracanna.
- ↑ ASCIOLVERE. Colazione.
- ↑ STREGA. Dicono che le streghe succiano il sangue a' bambini.
- ↑ SUSTANZE delle pappe son la carne.
- ↑ LE CAPPE. Per molti la pelle del cappone è un boccon ghiotto.
- ↑ LA VITA. Il vitto, il cibo.
- ↑ DELLA ROVELLA. Un canchero,nulla.
- ↑ MONDANI. Peccatori.
- ↑ LA TERRA cotta del boccale.
- ↑ LAZZO ecc. Astuzia, arte del furbo pitocco, zingano spagnuolo.
- ↑ FAR CARITÀ, nel linguaggio di persone pio, vale Mangiare insieme. E dal cibo che davasi per elemosina, per pietà, è venuto il nome pietanza.
- ↑ ARCIRAGGIUNTA. Grassissima.