< Mastro-don Gesualdo < Parte seconda
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Parte seconda - Capitolo Quarto
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IV.




"Se agglomerate cerimonie tema non forman delle mie verghe non ne traligna l’ossequio. Sì che sorgenti men fallaci e più stabili le sole preci ne reputo. Il favor di un vostro sguardo è quel che anelo, e lo ambisco mercè delle melenzose mie riga.

"L’ore 7 del 17.

"Barone Antonino Rubiera."



— Sicuro! — aggiunse mastro Titta che stava sull’uscio del palchetto, mentre donna Fifì compitava la letterina. — Me l’ha data lui stesso, il baronello, per consegnarla di nascosto alla prima donna. Ma, per carità! Son padre di famiglia!... Non mi fate perdere il pane.

Donna Fifì, gialla dalla bile, non rispose neppure. Di nascosto, dietro il parapetto, spiegazzava la lettera con mano febbrile. Indi la passò alla mamma che balbettava.

— Ma sentiamo... Cosa dice?...

— Me ne vo, — riprese il barbiere umilmente. — Torno sul palcoscenico perchè adesso lei ammazza il primo amoroso, e devo pettinarla coi capelli giù per le spalle... Mi raccomando, donna Fifì!... Non mi tradite!...

— Ma che dice? — ripetè la mamma.

Nicolino cacciò il capo fra di loro, e si buscò una pedata. Agli strilli accorse don Filippo, che stava passeggiando nel corridoio, perchè il palco era pieno zeppo.

— Che c’è?... Al solito! Facciamo ribellare tutto il teatro... soltanto noi!...

Canali cacciò anche lui il capo dentro il palchetto.

— State attenti! Ora c’è la scena in cui s’ammazzano!...

— Magari! — borbottò fra i denti Fifì.

— Eh? Che cosa?

— Nulla. Fifì ha mal di capo, — rispose don Filippo. Quindi piano alla moglie: — Si può sapere che cosa c’è?

— Si soffoca! — aggiunse Canali. — Mi fate un po’ di posto?... Guardate lassù!... quanta gente! Quasi quasi mi metto in maniche di camicia.

C’era una siepe di teste. Dei contadini ritti in piedi sulle panche della piccionaia, che si tenevano alle travi del soffitto per guardar giù in platea; dei ragazzi che si spenzolavano quasi fuori della ringhiera, come stessero a rimondar degli ulivi; una folla tale che la signora Capitana, nel palco dirimpetto, minacciava di svenirsi ogni momento, colla boccetta d’acqua d’odore sotto il naso.

— Perchè non si fa slacciare dal Capitan d’Arme? — disse Canali che aveva di tali uscite.

Il barone Mèndola, il quale stava facendo visita a donna Giuseppina Alòsi nel palco accanto, si voltò colla sua risata sciocca che si udiva per tutta la sala. Donna Giovannina si fece rossa. Mita sgranò tanto d’occhi, e la mamma spinse Canali fuori dell’uscio. Poi disse a Fifì:

— Bada! La Capitana ti guarda col cannocchiale!...

— No! Non guarda me! — rispose lei facendo una spallata.

— Ne volete sentire una nuova? — seguitò il barone ostinandosi a cacciare il capo nel vano dell’uscio. — C’è un casa del diavolo, dalla Capitana!... Fa sorvegliare la locanda dov’è alloggiata la prima donna!... Suo marito stesso, poveretto!... Pare che ne abbia scoperto delle belle!... — Il Capitan d’Arme, seccato, fu costretto a rimbeccargli: — Perchè non badate a quel che succede in casa vostra, caro collega?

— Ehm! ehm! — tossì don Filippo gravemente. Dalla platea intimarono pure silenzio, giacchè s’ alzava il sipario. Donna Bellonia allora cavò fuori gli occhiali per leggere il biglietto, dietro le spalle di Fifì.

— Ma che dice? Io non ci capisco niente!...

— Ah, non capite?... Non me ne ha scritta mai una così bella!... l’infame! il traditore!...

Il fatto è che Ciolla, il quale si piccava di letteratura, ci s’era stillata la quintessenza del cervello, chiusi tutti e due a quattr’occhi col baronello nella retrobottega di Giacinto. Don Filippo tornò a domandare:

— Ma che c’è? Si può sapere?

— Ssst!!! — zittirono dalla platea.

Si sarebbe udita volare una mosca. La prima donna, tutta bianca fuorchè i capelli, sciolti giù per le spalle, come l’aveva pettinata mastro Titta, faceva accapponar la pelle a quanti stavano a sentirla. Alcuni, dall’ansia, s’erano anche alzati in piedi, malgrado le proteste di quelli ch’erano seduti dietro e non vedevano niente. Lo stesso Canali, commosso, si soffiava il naso come una tromba.

— Guardate! guardate!... adesso!...

"Io!... io stessa!... con questa destra che tu impalmasti, giurandomi eterna fè!..."

L’amoroso, un mingherlino che lei si sarebbe messo in tasca, indietreggiava a passi misurati, con una mano sul giustacuore di velluto, e l’altra, in atto di orrore, fra i capelli arricciati.

— Non ci reggo, no! — borbottò Canali. E scappò via, giusto nel momento che risuonavano gli applausi.

— Che comica, eh? Che talento? — esclamò don Filippo smanacciando lui pure. — Peste!... maleducato!...

Nicolino impaurito sgambettava e cacciavasi verso l’uscio a testa in giù, strillando che voleva andarsene. Un terremoto giù in platea. Tutti in piedi, vociando e strepitando. La prima donna ringraziava di qua e di là, dimenando i fianchi, saettando il collo a destra e a sinistra al pari di una testuggine, mandando baci e sorrisi a tutti quanti sulla punta delle dita, colle labbra cucite dal rossetto, il seno che le scappava fuori tremolante ad ogni inchino.

— Sangue di!... corpo di!... — esclamò Canali che era tornato ad applaudire. — Son maritato!... son padre di famiglia!... Ma farei uno sproposito!...

— Papà mio! papà mio! — proruppe allora donna Fifì, scoppiando a piangere addosso al genitore. — Se mi volete bene, papà mio, fatemi bastonare a dovere quella sgualdrina!...

— Eh?... — balbettò don Filippo rimasto a bocca aperta e con le mani in aria. — Che ti piglia adesso?

Donna Bellonia, Mita, Giovannina, tutte insieme si alzarono per calmare Fifì, circondandola, spingendola in fondo, verso l’uscio, per nasconderla. Nei palchi dirimpetto, giù in platea, vi fu un ondeggiare di teste, delle risate, dei curiosi che appuntavano il cannocchiale verso il palchetto dei Margarone. Don Filippo, onde far cessare lo scandalo, si mise in prima fila, insieme a Nicolino, appoggiandosi al parapetto, salutando le signore col sorriso a fior di labbra, mentre borbottava sottovoce:

— Stupida!... Tuo fratello, così piccolo, ha più giudizio di te, guarda!...

Anche nel palco accanto si udiva un tramenìo. La signora Alòsi tutta affaccendata, con la boccettina d’acqua d’odore in mano, e il barone Mèndola voltando la schiena al teatro, scuotendo per le braccia un ragazzetto bianco al par della camicia, abbandonato sulla seggiola.

— Gli è venuto male al piccolo La Gurna... — disse il barone Mèndola dal palco di donna Giuseppina. — Capisce come uno grande!... Una seccatura!

— Come la mia Fifì... or ora!... Benedetti ragazzi! Pigliano tutto sul serio!...

Il fanciullo, pallido, con grandi occhi intelligenti e timidi, guardava ancora la scena a sipario calato. Donna Giuseppina, dopo che il nipotino si fu riavuto alquanto, offrì per cortesia la sua boccetta d’odore ai Margarone. Don Filippo seguitò a brontolare sottovoce:

— Tale e quale come il ragazzo La Gurna che ha sett’anni!... Vergogna!... Non mi ci pescate più, parola d’onore!

Ma tacque vedendo entrare Mèndola che veniva a far visita, vestito in gala, colla giamberga verde bottiglia, i calzoni fior di pomo, soltanto il corvattone nero pel lutto del cugino Trao. Andava così facendo visite da un palco all’altro, per non pagare il posto.

— Non vi scomodate... un posticino... in un cantuccio... Voi, Canali, potete andare da donna Giuseppina, qui accanto, che non c’è nessuno!... No, no, in verità, nessuno!... Sarino, il suo figliuoletto, quello alto quanto il ventaglio, sapete la canzone?... e Corradino La Gurna, il ragazzo della zia Trao... Donna Giuseppina lo conduce dove va per servirle di paravento... quando aspetta certe visite... capite? L’hanno mandato apposta da Siracusa per romperci le tasche!... — Poscia, appena Canali se ne fu andato: — Ora arriva anche Peperito!... Non mi piace giuocare a tressetti!... — E ammiccò chiudendo un occhio. Nessuno gli rispose. Allora vedendo quei musi lunghi, ripigliò, cambiando tono:

— Che produzione, eh? La donna specialmente!... M’ha fatto piangere come un bambino!

— Anche qui! anche qui! — rispose don Filippo, fingendo di volgerla in burletta.

— Ah, donna Fifì?... Allegramente, chè adesso, al terz’atto, fanno pace fra di loro. Lui è ferito soltanto.

Lo salva una ragazza che l’ama di nascosto, e viceversa poi si scopre esser sua sorella di latte... Una produzione che fu replicata due sere di seguito a Caltagirone... Ohi! ohi!... cos’è adesso?

Il Capitan d’Arme, dal palco dirimpetto, credendo di non esser visto, dietro le spalle della Capitana, faceva segno verso di loro col fazzoletto bianco, fingendo di soffiarsi il naso. Mèndola nel voltarsi sorprese pure donna Giovannina col fazzoletto al viso. Ella abbassò subito gli occhi e si fece rossa come un peperone.

— Ah! ah!... Sicuro! Una bella compagnia! Fortuna che sia capitata da queste parti! La prima donna specialmente!... Sta lì, di faccia a casa mia, nella locanda di Nanni Ninnarò. Bisogna vedere ogni sera, dopo la recita!... — E terminò la frase all’orecchio di don Filippo, il quale rispose: — Ehm!... ehm!...

— Ti dò uno sgrugno, — minacciò intanto la mamma sottovoce, mangiandosi cogli occhi Giovannina. — Ti fo venire adesso il raffreddore!...

— Sicuro! — riprese il barone ad alta voce perchè non capissero le ragazze. — Padrone del campo veramente è il padre nobile, quello che avete visto col barbone bianco. Finta che litigano ogni sera sul palcoscenico... Ma poi, a casa, bisogna vedere!... Non vi dico altro! Ho fatto un buco apposta nell’impannata del granaio che guarda appunto in camera sua. Però ci sono gli avventizî, i devoti spiccioli, capite? quelli che vanno a portare la loro offerta... Il figlio del notaro Neri ha saccheggiato la dispensa, nel tempo che suo padre era fuggiasco... salsicciotti, reste di fichi secchi, pezze intere di cacio... Portava ogni giorno qualcosa in tasca... Ohi! ohi!...

La signora Capitana si disponeva ad andarsene prima del tempo. In piedi, sul davanti del palchetto, aveva tolto con mal garbo il guardaspalle al Capitan d’Arme, e l’aveva dato al tenente, il quale glielo accomodava sugli omeri nudi in barba al suo superiore, adagio adagio, facendo il comodo suo, senza curarsi di tutti quegli occhi che avevano addosso. Don Bastiano Stangafame dall’altro lato, col ventaglio in mano, e il marito, pacifico, che guardava e taceva. Mèndola diede una gomitata a Margarone, e tutti e due si misero a guardare in aria, grattandosi il mento. Canali osservò dal palco accanto:

— Un po’ per uno, non fa male a nessuno!...

— Badate a voi piuttosto!... badate!...

— Sì, sì, l’ho visto venire... Adesso scappo, prima che giunga il cavaliere...

S’imbattè col Peperito giusto sull’uscio del corridoio.

— Oh, cavaliere!... Beato chi vi vede! S’era inquieti da queste parti... parola d’onore!...

— Perchè? — balbettò Peperito facendosi rosso.

— Così... Una produzione come questa che fa correre tutto il paese... Si diceva... come va che il cavaliere?...

Peperito esitò alquanto, cercando la risposta, non sapendo se dovesse mettersi in collera, e poi gli sbattè l’uscio sul muso.

— Ora fanno il quadro degli innocenti! — soggiunse Canali ridendo. — Vado in platea per vederlo di laggiù.

— Allegramente, donna Fifì! — disse poi Mèndola. — Non vi sono nè morti nè feriti!... Se non arriviamo a farvi ridere in nessun modo, vuol dire...

In quella si udì nel corridoio un fruscìo di seta, e un rumore di sciabole e di speroni. Donna Giovannina si fece di brace in volto, sentendosi addosso gli occhi della mamma. La signora Capitana spinse l’uscio del palchetto, e mise dentro la sua testolina riccioluta e sorridente.

— No, no, non vi scomodate. Son passata un momento a salutarvi. Un’indecenza questa produzione... Io me ne vo per non sentir altro... E il vestito della donna!... avete visto, nel chinarsi?...

— Eh! eh!... — rispose don Filippo accennando alle sue ragazze.

— Precisamente! Una mamma non potrà condurre in teatro le figliuole.

— È giusto! — osservò allora don Filippo. — Dovrebbe interessarsene l’autorità...

Il tenente, che le cortesie della signora Capitana avevano messo in vena, aggiunse:

— Io sono l’autorità. Ora corro sul palcoscenico per vedere s’è quel che dico io... Voglio toccare con mano come san Tommaso!

Ma nessuno rise. Solo la Capitana, dandogli un colpetto sul braccio, si chinò sorridendo all’orecchio di donna Bellonia per confidarle ciò che affermava il tenente: — Io dico di no, invece. Guardate donna Giovannina... È grassa quasi quanto la prima donna, eppure non si vede... Un po’... sì... da vicino... forse pel busto che stringe troppo...

— Graziosissimo!... — borbottò il Capitan d’Arme dal corridoio. — Elegantissimo!...

Zacco, che giungeva allora, al vedere gli uniformi stava per tornare indietro, tanta la paura che gli era rimasta da quell’affare della Carboneria. Ma poi si fece animo, per non destar sospetti, e andò a stringere la mano a tutti quanti, sorridendo, giallo come un morto.

— Vengo dalla cugina Trao. È ancora in casa del fratello, poverina! Non si può muovere!... Ha voluto partorire proprio a casa sua!... Io non ne sapevo nulla, giacchè sono stato in campagna per badare ai miei interessi.

— Ma che aspettano a battezzare cotesta bambina! — chiese Margarone. — L’arciprete Bugno fa un casa del diavolo per quell’anima innocente che corre rischio d’andare al limbo.

Allora prese la parola il Capitano Giustiziere.

— Aspettano il rescritto di Sua Maestà, Dio guardi... Un’idea del marchese Limòli, per far passare il nome dei Trao ai collaterali, ora che sta per estinguersi la linea mascolina... Le carte furono nelle mie mani...

— Sì, una gran famiglia... una gran casa, — aggiunse la signora Capitana. — Ci andai per far visita a donna Bianca. Ho visto anche la bambina... un bel visetto.

— Benissimo! — conchiuse Zacco. — Così mastro-don Gesualdo ci ha guadagnato che neppur la sua figliuola è roba sua.

La barzelletta fece ridere. Canali che tornava colle tasche piene di bruciate, volle che gliela ripetessero.

— Buona sera! buona sera! Non voglio stare a sentire altro! — esclamò la Capitana tutta sorridente, tappandosi le orecchie con le manine inguantate. — No... me ne vo... davvero!...

Erano tutti nel corridoio: donna Fifì masticando un sorriso fra i denti gialli; Nicolino dietro a Canali il quaæle distribuiva delle bruciate; anche donna Giuseppina Alòsi aveva aperto l’uscio del suo palco, per non dar campo alle male lingue. Solo donna Giovannina era rimasta al suo posto inchiodata dal viso arcigno della mamma. Don Ninì che veniva di nascosto per non destar i sospetti della fidanzata vestito di nero, con un mazzolino di rose in mano, rimase un po’ interdetto trovando tanta gente nel corridoio. Donna Fifì gli rivolse un’occhiataccia, e tirò sgarbatamente per un braccio il fratellino che gli si arrampicava addosso onde frugargli nelle tasche. Il Capitano d’Arme accarezzò il ragazzo, e disse guardando nel palco dei Margarone con certi occhi arditi:

— Che bel fanciullo!... tanto simpatico!... Una bella famiglia!...

Donna Fifì gli rispose con un sorriso civettuolo, proprio sotto gli occhi del fidanzato. La Capitana rise agro anche lei; guardò donna Giovannina che aveva gli occhi lucenti, e siccome Peperito stava accarezzando Corradino La Gurna per far la corte a donna Giuseppina, dicendo che aveva un’aria distinta, tutta l’aria dei Trao, la Capitana aggiunse, colla vocina melata:

— È sorprendente l’aria di famiglia che c’è fra di loro. Avete visto come somiglia a don Ninì la bambina di donna Bianca?

— Che diavolo! — le borbottò all’orecchio Canali. — Che storie andate pescando!...

Successero alcuni istanti di silenzio imbarazzante.

Zacco se ne andò canterellando. Canali annunziò che stava per cominciare l’ultimo atto. Ci fu uno scambio di baci e di sorrisi pungenti fra le signore; e donna Fifì si lasciò andare anche a stringere la mano che il Capitano le stendeva alla moda forestiera, con un molle abbandono.

— Via, entrate un momento, — disse donna Bellonia al baronello. — Vi metterete in fondo al palco, insieme a Fifì, giacchè siete in lutto. Nessuno vi vedrà. Levati di lì, Giovannina.

— Sempre così! — borbottò costei ch’era furiosa contro la sorella. — Mi tocca sempre cedere il posto, a me!...

— Mamma... lascialo andare... s’è in lutto!... La commedia potrà vederla dal palcoscenico!... — sogghignò Fifì.

— Io?...

Ma essa gli volse le spalle. Mèndola s’era ficcato nel palco prima di tutti gli altri, per veder la scena che aveva detto lui, e faceva la spiegazione a ogni parola. — State attenti!... Ora si scopre che la sorella di latte è figlia di un altro...

— Son cose che succedono! — osservò Canali dall’uscio.

— Zitto! zitto! cattiva lingua!

Tutti gli occhi, anche quelli delle ragazze, si rivolsero al baronello, il quale finse di non capire. —

Se vi seccate!... — borbottò donna Fifì, — giacchè state lì come un grullo... volete andarvene?...

— Io?...

— Ecco!... — Interruppe Mèndola trionfante. — Ecco!... capite?

— Son maritato!... — tornò a dire Canali. — Son padre di famiglia... Ma farei volentieri uno sproposito per la prima donna!... Anche il nome ha bello!... Aglae...

— Agli... porri!... che nome!... — sogghignò il barone Mèndola. — Io non saprei come fare... a tu per tu!...

Don Filippo tagliò corto.

— È un’artistona... una prima donna di cartello... Allora si capisce...

— Sicuro, — si lasciò scappare incautamente don Ninì per dire qualche cosa.

— Ah!... Piace anche a voi?...

— Certamente... cioè... voglio dire...

— Dite, dite pure!... Già lo sappiamo!...

Mèndola fiutò la burrasca e si alzò per svignarsela: — Il resto lo so. Buona sera. Con permesso, don Filippo. Sentite, Canali...

Per disgrazia la prima donna che doveva tenere gli occhi rivolti al cielo nel declamare: “S’è scritto lassù... dal Fato...„ si trovò a guardare nel palco dei Margarone. Donna Fifì allora non seppe più frenarsi:

— Già, lo sappiamo! Le agglomerate cerimonie!... le melenzose riga!...

— Io?... le melenzose?...

Ma lei scattò inferocita, quasi volesse piantargli i denti in volto:

— Ci vuole una faccia tosta!... Sissignore! la lettera con le melenzose!... eccola qua!... — e gliela fregò sotto il naso, scoppiando a piangere di rabbia. Don Ninì da prima rimase sbalordito. Indi scattò su come una furia, cercando il cappello. Sull’uscio s’imbattè in don Filippo, che accorreva al rumore.

— Siete uno stupido!... un imbecille!... La bella educazione che avete saputo dare a vostra figlia!... Grazie a Dio, non ci metterò più i piedi a casa vostra!

E partì infuriato sbatacchiando l’uscio. Don Filippo che era rimasto a bocca aperta, appena il baronello se ne fu andato, si cacciò nel palchetto, sbraitando contro la moglie alla sua volta:

— Siete una stupida!... Non avete saputo educare le figliuole!... Vedete cosa mi tocca sentirmi dire!... Non dovevate portarmelo in casa quel facchino!...

La rottura fece chiasso. Dopo cinque minuti non si parlava d’altro in tutto il teatro. Poco mancò che la produzione non terminasse a fischi. Il capocomico se la prese colla prima donna, che lo guastava con le prime famiglie del paese. Ma lei giurava e spergiurava di non conoscerlo neanche di vista, quel barone e gliene importava assai di lui. L’udirono mastro Cosimo il falegname e quanti erano sul palcoscenico. Don Ninì furibondo andò subito il giorno dopo a cercare Ciolla, il quale se ne stava pei fatti suoi, dopo quelle ventiquattr’ore passate in Castello sottochiave.

— Bella figura m’avete fatto fare colle vostre melenzose!... La sa a memoria tutto il paese la vostra lettera!...

— Ebbene? cosa vuol dire? Segno ch’è piaciuta, se la sanno tutti a memoria!

— È piaciuta un corno! Lei dice che gliene importa assai di me!

— Oh! oh!... È impossibile!... La lettera avrebbe sfondato un muro! Vuol dire che la colpa è vostra, don Ninì... Non parlo del vostro fisico... Bisognava accompagnarla con qualche regaluccio, caro barone! La polvere spinge la palla! Credevate di far colpo per la vostra bella faccia?... con due baiocchi di carta rasata?... Giacchè a me non mi avete dato nulla, veh!...

Invano gli amici e i parenti tentarono d’intromettersi onde rappattumare i fidanzati. La mamma ripeteva: — Che vuoi farci?... Gli uomini!... Anche tuo padre!... — Don Filippo la pigliava su un altro tono: — Sciocchezze... scappatelle di gioventù!... Fu l’occasione... la novità... Le prime donne non vengono mica ogni anno... Sei una Margarone alla fin fine! Lui non cambia certo una Margarone con una comica!... Poi, se perdono io che sono offeso maggiormente!...

Ma donna Fifì non si placava. Diceva che non voleva saperne più di colui, uno sciocco, un avaraccio, il barone Melenzose!... Se mai, non le sarebbe mancato un pretendente cento volte meglio di lui... Andava scorbacchiandolo con tutti, amiche e parenti. Don Ninì dalla rabbia avrebbe fatto non so che cosa. Giurava che voleva spuntarla ad ogni costo, ed avere la prima donna, non fosse altro per dispetto.

— Ah! gliela farò vedere a quella strega! La polvere spinge la palla!...

E mandò a regalare salsicciotti, caciocavallo, un bottiglione di vino. Empirono la tavola della locanda. Non si parlava d’altro in tutto il paese. Il barone Mèndola narrava che ogni sera si vedevano le Nozze di Cana dal suo buco. Regali sopra regali, tanto che la baronessa dovette nascondere la chiave della dispensa. Mastro Titta venne a dire infine a don Ninì:

— Non resiste più, vossignoria! Ha perso la testa, la prima donna. Ogni sera, mentre sto a pettinarla, non mi parla d’altro.

— Se mi fa avere la soddisfazione che dico io!... Sotto gli occhi medesimi di donna Fifì voglio avere la soddisfazione! Voglio farla morir tisica!

Fu una delusione il primo incontro. La signora Aglae faceva una parte di povera cieca, e aveva il viso dipinto al pari di una maschera. Nondimeno lo accolse come una regina nel bugigattolo dove c’era un gran puzzo di moccolaia e lo presentò a un omaccione, il quale stava frugando dentro il cassone, in maniche di camicia, e non si voltò neppure.

— Il barone Rubiera, distinto cultore... Il signor Pallante celebre artista.

Poi volse un’occhiata alla schiena del celebre artista che continuava a rovistare brontolando, un’altra più lunga a don Ninì, e soggiunse a mezza voce:

— Lo conoscevo di già!... Lo vedo ogni sera... in platea!

Egli invece stava per scusarsi che in teatro non era venuto a causa del lutto; ma in quella si voltò il signor Pallante colle mani sporche di polvere, il viso impiastricciato anche lui, e una vescica in testa dalla quale pendevano dei capelli sudici.

— Non c’è, — disse con un vocione che sembrava venire di sotterra. — Te l’avevo detto!... accidenti! — E se ne andò brontolando.

Ella guardò intorno in aria di mistero, colle pupille stralunate in mezzo alle occhiaie nere; andò a chiudere l’uscio in punta di piedi, e poscia si voltò verso il giovane, con una mano sul petto, un sorriso pallido all’angolo della bocca.

— È strano come mi batte il cuore!... No... non è nulla... sedete.

Don Ninì cercò una sedia, colla testa in fiamme, il cuore che gli batteva davvero. Infine si appollaiò sul baule, cercando qualche frase appropriata, che facesse effetto, mentre lei bruciava un pezzettino di sughero alla fiamma del lume a olio che fumava.

Sopraggiunse un’altra visita, Mommino Neri, il quale trovando lì Rubiera diventò subito di cattivo umore, e non aprì bocca, appoggiato allo stipite, succhiando il pomo del bastoncino. La signora Aglae teneva sola la conversazione: un bel paese... un pubblico colto e intelligente... bella gioventù anche...

— Buona sera, — disse Mommino.

— Ve ne andate, di già?...

— Sì... Non potrete muovervi qui dentro... Siamo in troppi...

Don Ninì lo accompagnò con un sogghigno, continuando a suonare la gran cassa sul baule colle calcagna. Ella se ne avvide e alzò le spalle, con un sorriso affascinante, sospirando quasi si fosse levato un peso dallo stomaco.

Il baronello gongolante incominciò. — Se sono d’incomodo anch’io... — E cercò il cappello che aveva in mano.

— Oh no!... voi, no! — rispose lei con premura, chinando il capo.

— Si può? — chiese la vocetta fessa del tirascene dietro l’uscio.

— No! no! — ripetè la signora Aglae con tal vivacità quasi fosse stata sorpresa in fallo.

— Si va in scena! — aggiunse il vocione del signor Pallante. — Spicciati!

Allora essa, levando verso don Ninì il viso rassegnato, con un sorriso triste:

— Lo vedete!... Non ho un minuto di libertà!... Sono schiava dell’arte!...

Don Ninì colse la palla al balzo: L’arte... una bella cosa!... Era il suo regno... il suo altare!... Tutti l’ammiravano!... dei cuori che faceva battere!...

— Ah! sì!... Le ho data tutta me stessa... Me le son data tutta!...

E aprì le braccia, voltandosi verso di lui, con tale abbandono, come offrendosi all’arte, lì su due piedi, che don Ninì balzò giù dal cassone.

— Badate! — esclamò lei a bassa voce, rapidamente. — Badate!...

Aveva le mani tremanti, che stese istintivamente verso di lui, quasi a farsene schermo. Poi si fregò gli occhi, reprimendo un sospiro, e balbettò come svegliandosi:

— Scusate... Un momento... Devo vestirmi...

E un sorriso malizioso le balenò negli occhi.

Quel seccatore di Mommino Neri era ancor lì, appoggiato a una quinta, che discorreva col signor Pallante, già vestito da re, colla zimarra di pelliccia e la corona di carta in testa. Stavolta toccò a don Ninì di farsi scuro in viso. Ella, come lo sapesse, socchiuse di nuovo l’uscio, sporgendo il braccio e l’omero nudi:

— Barone, se aspettate alla fine dell’atto... quei versi che desiderate leggere li ho lì, in fondo al baule.

No! nessuna donna gli aveva data una gioia simile, una vampata così calda al cuore e alla testa: nè la prima volta che Bianca gli s’era abbandonata fra le braccia, trepidante; nè quando una Margarone aveva chinato il capo superbo, mostrandosi insieme a lui, in mezzo al mormorìo che suscitavano nella folla. Fu un vero accesso di pazzia. Buccinavasi persino che onde farle dei regali si fosse fatto prestare dei denari da questo e da quello. La baronessa, disperata, fece avvertire gli inquilini di non anticipare un baiocco al suo figliuolo se no l’avevano a far con lei. — Ah!... ah!... vedranno! Mio figlio non ha nulla. Io non pago di certo!...

C’erano state scene violente fra madre e figlio. Lui ostinato peggio d’un mulo, tanto più che la signora Aglae non gli aveva lasciato neppur salire la scala della locanda. Infine gli aveva detto il perchè, una sera, al buio, lì sulla soglia, mentre Pallante era salito avanti ad accendere il lume:

— È geloso!... Son sua!... sono stata sua!...

Ed aveva confessato tutto, a capo chino, con la bella voce sonora soffocata dall’emozione. Egli, un gran signore diseredato dal genitore a causa di quella passione sventurata, l'aveva amata a lungo, pazzamente, disperatamente: uno di quegli amori che si leggono nei romanzi; si era dato all’arte per seguirla; aveva sofferto in silenzio; aveva implorato, aveva pianto... Infine una sera... come allora... ancora tutta fremente e palpitante delle emozioni che dà l’arte... la pietà... il sacrificio... non sapeva ella stessa come... mentre il cuore volava lontano... sognando altri orizzonti... altro ideale... Ma dopo, mai più!... mai più!... S’era ripresa!... vergognosa... pentita... implacabile... Egli che l’amava sempre, come prima... più di prima... alla follia... era geloso: geloso di tutto e di tutti, dell’aria, del sogno, del pensiero... di lui pure, don Ninì!...

— Ohè! — si udì il vocione di su la scala. — Li vuoi fritti o al pomodoro?

Sul viso di lei, dolcemente velato dalla semi— oscurità, errò un sorriso angelico.

— Vedete?... Sempre così!... Sempre la stessa devozione!...

Ciolla che era il confidente di don Ninì gli disse poi:

— Come siete sciocco! Quello lì è un... pentolaccia! Si pappano insieme la roba che mandate voi e il figlio di Neri.

Infatti aveva incontrato spesso Mommino sul palcoscenico, ed anche dinanzi all’uscio della locanda, su e giù come una sentinella. Mommino adesso era tutto gentilezze e sorrisi per lui. Quando gli parve proprio di farci una figura sciocca, montò in collera.

— Ah!... tu lo vuoi? — gli diss’ella infine con accento febbrile. — Ebbene... ebbene... Se non c’è altro mezzo di provarti quanto io t’amo... Giacchè bisogna perdermi ad ogni costo... stasera... dopo la mezzanotte!...


Un odore di stalla, in quella scaletta buia, cogli scalini unti e rotti da tutti gli scarponi ferrati del contado. Lassù in cima, un fil di luce, e una figura bianca, che gli si offrì intera, bruscamente, con le chiome sparse.

— Tu mi vuoi... baiadera... odalisca?...

C’erano dei piatti sudici sulla tavola, un manto di damasco rabescato sul letto, dei garofani e un lume da notte acceso sul canterano, dinanzi a un quadrettino della Vergine, e un profumo d’incenso che svolgevasi da un vasetto di pomata il quale fumava per terra. All’uscio che metteva nell’altra stanza era inchiodato un bellissimo sciallo turco, macchiato d’olio; e dietro lo sciallo turco udivasi il signor Pallante che russava sulla sua gelosia.

Essa, spalancando quegli occhi neri che illuminavano la stanza, mise un dito sulle labbra, e fece segno a Rubiera d’accostarsi.


“Insomma l’ha stregato!„ scriveva il canonico Lupi a mastro-don Gesualdo proponendogli di fare un grosso mutuo al baronello Rubiera. “Don Ninì è pieno di debiti sino al collo, e non sa più dove battere il capo... La baronessa giura che sinchè campa lei non paga un baiocco. Ma non ha altri eredi, e un giorno o l’altro deve lasciargli tutto il suo. Come vedete, un buon affare, se avete coraggio...„

“Quanto?„ rispose mastro-don Gesualdo. "Quanto gli occorre al baronello Rubiera? S’è una cosa che si può fare, son qua io.„

Più tardi, come si seppe in paese della grossa somma che don Gesualdo aveva anticipata al barone Rubiera, tutti gli davano del matto, e dicevano che ci avrebbe persi i denari. Egli rispondeva con quel sorriso tutto suo:

— State tranquilli. Non li perdo i denari. Il barone è un galantuomo... e il tempo è più galantuomo di lui.


Dice bene il proverbio che la donna è causa di tutti i mali! Commediante poi!

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