Questo testo è completo, ma ancora da rileggere.
Questo testo fa parte della rivista Rivista italiana di numismatica 1890
Questo testo fa parte della serie Appunti di numismatica romana

APPUNTI


di


NUMISMATICA ROMANA




XIV.



MEDAGLIONE?


Osservazioni a proposito di un Bronzo

colle effigie di Marc’Aurelio e Lucio Vero

appartenente al R. Gabinetto di Brera.


D/ — IMP M ANTONINVS AVG COS III IMP L VERVS AVG COS III.

Busti affrontati di Marc Aurelio e Lucio Vero ambedue a testa nuda e col paludamento. Marc’Aurelio è fregiato dell’egida da cui escono due serpenti. Tra i due busti al basso la marca del Museo estense.

R/ — VICT GERM (all’esergo) IMP VI COS III (in giro).
Vittoria alata che guida una quadriga lenta a sinistra, volgendosi indietro. Il davanti del carro termina in una testa d’aquila.

(Vedi Tav. XII).


Il tutto è racchiuso in un cerchio di bronzo concavo al dritto, convesso al rovescio e lavorato esteriormente.

Diam. mm. 88 col cerchio, mm. 59 senza cerchio. — Peso gr. 191,200.

Questo bellissimo bronzo, il cui dritto, in proporzione ridotta, quale si vede in testa a queste osservazioni, fu adottato come ornamento al frontispizio della nostra Rivista fino dalla sua origine, e le cui due faccie sono riprodotte al vero nell’annessa tavola N. XII, venne finora considerato quale medaglione; ma, per le ragioni che andrò esponendo, io sono venuto nella convinzione che non si tratti affatto d’un medaglione, bensì di un bronzo destinato a tutt’altro uso e che del medaglione non ha se non la superficiale apparenza. Avvenne di esso come di molte altre cose, cui un primo falso batte* simo conferisce un carattere, che viene dai seguenti accettato senza sufficiente esame, cosicché la fama usurpata va di mano in mano acquistando consistenza, finché poi passa nel numero dei fatti giudicati.

E, caso tutt’altro che strano, anzi comune, questo supposto medaglione ebbe l’onore di tante illustrazioni, citazioni e riproduzioni, quante probabilmente non ebbe mai alcuno dei veri!

Appartenente già al famoso medagliere Estense, di cui porta la marca, entrò con molti altri splendidi pezzi di quel medagliere nel Gabinetto di Brera.

Quella provenienza e quella marca attestano un primo battesimo dì medaglione, o per dire più precisamente, di pezzo numismatico. Quale vero medaglione lo giudicò Bartolomeo Borghesi, che pel primo lo pubblicò1 dandone una eccellente incisione, e tale è chiaro che venne ritenuto dai diversi direttori del Gabinetto Braidense fino al compianto Biondelli, il quale nei suoi “Cenni storici sull’origine, sviluppo e stato attuale del R. Gabinetto Numismatico di Milano2 ne orna di un accuratissimo disegno litografico il fascicolo, evidentemente per indicare uno dei pezzi più importanti, anzi il più importante di tutti. E difatti, enumerando i diversi titoli per cui va celebre il detto Gabinetto, scrive: “Per una collezione di alcune centinaia di Medaglioni greci e romani, alcuni dei quali rarissimi e taluno anche unico, siccome appare da quello di M. Aurelio e L. Vero, che abbiamo apposto in fronte a questi rapidi cenni.”

Omesso da Cohen nella sua descrizione delle monete imperiali, venne poi dallo stesso aggiunto nel volume di supplemento con un semplice accenno alla sconcordanza delle date3; e nella seconda edizione del Cohen è inserito fra i medaglioni di M. Aurelio e Lucio Vero, colla ripetizione della medesima nota.

Ciò significa dunque che il pezzo venne finora considerato come vero medaglione e certo io mi trovo alquanto imbarazzato e quasi a disagio, dovendo esporre un’idea contraria non solo alla mia che ho avuto sino a poco tempo fa, — il che poco importerebbe, — ma a quella di tante altre autorità, fra cui metto in prima linea il Borghesi, al quale va l’opinione invalsa specialmente attribuita, egli essendo stato il primo che ne parlò diffusamente ed ex professo. Ma potrebbe darsi, anzi io ritengo positivamente, che, se Borghesi avesse trattato oggi l’argomento invece che mezzo secolo fa, avrebbe scritto ben diversamente. In questo mezzo secolo qualche cosa ha progredito la scienza, e molto la pratica materiale delle monete; e, appoggiandomi a questo fatto, credo poter esprimere la mia opinione, senza menomamente mancare di rispetto all’autorità d’un tanto Numismatico.

“Il primo dei medaglioni che pubblichiamo” dice il Borghesi al principio della sua citata dissertazione “inedito, per quanto è a nostra notizia, forma uno splendido monumento in Milano dell’I. R. Gabinetto numismatico di Brera. Ma quanto è insigne per la sua conservazione, per la sua bontà del lavoro e per lo straordinario suo modulo, altrettanto fastidio egli reca ai cronologi.”

E quindi entra a descrivere e illustrare il medaglione, rilevandone con grandissima erudizione storica l’errore di data. Mi asterrò dal ripetere qui tutte le sue dotte disquisizioni; ma, venendo direttamente alle conclusioni, accennerò come dalle date iscritte risulti che il diritto non può essere posteriore all’anno 919 di Roma (166 d. C), mentre il rovescio non può essere anteriore al 924 (171 d. C.); emergendo così una differenza di almeno cinque anni fra l’una e l’altra data.

Ora, fermandoci a questo primo punto, è egli possibile ammettere un così grossolano errore in un medaglione di tanta importanza? Gli errori di data sono assai rari in quest’epoca; e se alcuno se ne trova nelle monete di bronzo, e anche per rarissima eccezione in quelle d’argento (a meno che si tratti di falsificazioni), non ricordo d’averne mai trovato in quelle d’oro; il che dà a divedere come la cura che si poneva nella coniazione delle monete fosse sempre maggiore, a grado che aumentava la loro importanza. Ora qual pezzo più importante di un medaglione di così straordinarie dimensioni?

L’errore accennato poi è assai più grave e più complesso di quanto può parere a prima vista, e da esso nasce un altro inconveniente di assai difficile spiegazione. Lascio la parola a Borghesi: “Se questo nummo fu improntato (come riuscirebbe chiaro dalla data del rovescio) due anni dopo l’apoteosi di Lucio Vero, come sta che non ce n’offre alcun indizio ed anzi ce lo rappresenta siccome vivo tuttora? Per troncare questo nodo gordiano non vi ha che una via e lo stesso medaglione ce la addita. Si badi che il COS III è ripetuto in ambedue i lati. Ora tali inutili ripetizioni sono affatto contrarie alle leggi di ogni antico monumento di un’età non decaduta, e segnatamente a quelli della numismatica, se ciò non è per un errore. Questo solo basterebbe a mostrarci che le due faccie della presente medaglia non furono incise per essere congiunte insieme.”

Il Borghesi, dopo d’avere egli pure riconosciuto che gli errori di data a quest’epoca, se si tolgono le monete false, sono rarissimi su quelle di bronzo, mentre nessuno se ne trova sui medaglioni, volendo pur dare una spiegazione del fatto, aggiunge:

«È più supponibile che (il medaglione) fosse stato diputato a qualche donativo, come suol farsi delle odierne medaglie, e ch’essendone stata commessa alla zecca una determinata quantità per una data occasione, a mezzo dell’opera si spezzasse il conio del diritto, onde si fosse costretti di richiamare questo più antico di un modulo corrispondente per essere in grado di somministrarne l’intero numero per la giornata richiesta».

Sostituirebbe così l’ibridismo all’errore materiale, ma non mi pare più accettabile l’una cosa che l’altra; prima di tutto perchè l’importanza del monumento — dato e non concesso che veramente si fosse inteso― di fare un medaglione — non avrebbe comportata tale sostituzione; poi anche perchè la sostituzione non sarebbe stata materialmente possibile per le dimensioni straordinarie del medaglione affatto fuori dell’uso nell’epoca in cui ci troviamo. E da ciò sono condotto a discorrere delle ragioni tecniche che stanno a prova della mia asserzione.

Il bronzo misura, senza il contorno, un diametro di Mill. 59, superando così di ben 5 millimetri la dimensione massima dei medaglioni al tempo di Commodo4, mentre i più grandi medaglioni di Marco Aurelio raggiungono appena il diametro di 40 millimetri.

La dimensione straordinaria potrebbe non essere una ragione sufficiente per negare la possibilità del medaglione, quando gli altri elementi, ossia lo spessore e il peso vi concordassero; ma qui è specialmente il punto debole.

È noto come nei medaglioni col diametro cresca proporzionalmente lo spessore e quindi il peso, cosicché questo aumenta in ragione composta del diametro e dello spessore; ma nel caso nostro lo spessore sta in ragione inversa del diametro. Mentre avrebbe dovuto misurare da 5 a 6 millimetri, se ci riferiamo al citato medaglione di Commodo, di diametro quasi eguale; o almeno di 4 o 5, se ci riferiamo anche agli altri medaglioni di M. Aurelio e Lucio Vero, di diametro molto minore, non ne misura in realtà che due appena, spessore proprio di un medio bronzo. E a tale deficienza di spessore segue come naturale conseguenza quella del peso, il quale è di soli gr. 190 compreso il cerchio fortissimo, che, a quanto si può giudicare, dovrebbe rappresentare da solo almeno i due terzi del peso totale. I medaglioni di M. Aurelio e di Lucio Vero, del diametro fra i 35 e i 40 millimetri, hanno un peso che oscilla fra i 45 e i 50 grammi; il mio già citato gran medaglione di Commodo ne pesa 135, e il nuovo Medaglione cerchiato di M. Aurelio che descrissi ultimamente in questa Rivista5, avendo soli 38 mill. di diam, pesa gr 175.

Questi argomenti, in parte scientifici in porte tecnici, mi pare dovrebbero bastare a togliere il Bronzo di Brera dal numero dei medaglioni. Ma ve n’ha un altro assai grave ed è l’arte, che non corrisponde certamente all’epoca del medaglione. Il ritratto di M. Aurelio è ben lontano dal rendere esattamente le notissime sue fattezze e principale mente quel suo naso profilato, sottile, caratteristico. Al rovescio poi i cavalli della quadriga mancano di vita, le teste sono mal fatte, le gambe sembrano enfiate, e le zampe sono grossolane e pessimamente disegnate. No, non è questa l’arte romana all’epoca di M. Aurelio!...

Si potrebbe supporre che il bronzo fosse stato in epoca posteriore ritoccato a bulino onde aiutarne la conservazione, operazione che pur troppo, come abbiamo avuto occasione di osservare altra volta6, venne fatta subire a molti pezzi antichi; ma il ritocco non potrebbe giustificare la poco felice distribuzione delle lettere nelle leggende, tanto del dritto come del rovescio, non ammissibile in un vero medaglione. Io non sarei lontano dal ritenere che tutto il bronzo sia stato eseguito a bulino e non coniato.

Finalmente anche la forma del disco convesso nel dritto e concavo al rovescio non corrisponde al tipo del medaglione romano, e non vi corrisponde l’orlo solo esternamente lavorato, e terminante in forma conica, di modo che la parte ornata non appare che di sbieco a chi osserva il rovescio, mentre è affatto invisibile a chi guarda il dritto. E si aggiunga che l’ornato esterno non consiste in una semplice scanalatura fatta al torno, come sovente — o forse sempre, almeno negli esemplari a mia conoscenza — si trova nei medaglioni cerchiati, ma è affatto insolita, constando di un ovolo, che ricorre tutto all’ingiro.

Mancano dunque al nostro bronzo tutti quei caratteri tanto intrinseci quanto estrinseci, ai quali si riconosce senz’altro un medaglione, e conviene quindi rassegnarsi a escluderlo da questa categoria e a trovargli un’altra denominazione e un altro scopo, fuori della numismatica.

M’era passato per la mente che potesse esser stato uno di quei ritratti imperiali (imagines), che ornavano le insegne militari, come li vediamo nei bassorilievi antichi, o nelle rappresentazioni delle monete e dei medaglioni stessi, e a corroborare tale supposizione contribuivano le due rotture laterali, che sembravano segnare il posto ove erano infissi gli appiccagnoli. Ma, oltre che in questo caso le dimensioni non sarebbero state sufficienti, poiché quei ritratti dovevano esser veduti a una grande distanza7, e, oltreché la sconcordanza delle date e il ritratto di L. Vero due anni dopo la sua morte rimarrebbero ancora inesplicabili, v’ha un’altra ragione materiale che esclude tale supposizione. Il dritto e il rovescio sono combinati in modo che l’uno è precisamente in posizione opposta all’altro; quando cioè il pezzo è nella sua giusta posizione verticale pel dritto, il rovescio rimane capovolto, e viceversa. Se avesse dovuto servire allo scopo accennato, tanto il dritto quanto il rovescio sarebbero stati fatti su di un medesimo verso, in modo da potersi vedere contemporaneamente ciascuno nella sua giusta posizione.

Eliminata anche questa supposizione, che, anche ammessa, escluderebbe tuttavia il pezzo dal dominio della Numismatica, a me non si presenta altra possibile destinazione del bronzo che quella di parte centrale o fondo di un vaso o di una patera. La destinazione è più umile, ma a questa mi pare che tutto si accordi mirabilmente. La faccia convessa che porta le due teste avrebbe formato il fondo interno della patera o del vaso, mentre il rovescio sarebbe rimasto al disotto, leggermente concavo e difeso dall’orlo assai sporgente.

L’ornato dell’orlo sarebbe stato esterno e avrebbe formato la parte più bassa della patera, mentre al disopra e precisamente nell’incavo che gira nella parte superiore dell’orlo (dal lato del dritto) vi sarebbe stata saldata la parete circolare destinata a formare la vera patera, ed alle due rotture del cerchio sarebbero state infisse le due anse, le quali probabilmente avranno avuto il loro secondo punto di appoggio all’orlo superiore.

Con questa destinazione del bronzo tutto va perfettamente a posto come lavoro materiale e tecnico, e diventano spiegabilissimi tutti i problemi insolubili quando si voglia mantenerlo fra i medaglioni. La dimensione non obbligata da alcuna legge, né da alcuna consuetudine, era in piena libertà dell’artista, lo spessore è più che sufficiente allo scopo, e la sconcordanza delle date diventa affatto insignificante e trascurabile, quando si pensi che l’ artista, volendo rappresentare i due imperatori, li copiò evidentemente da un medaglione, su cui trovò riunite le due teste. Per ornare poi anche il disotto della patera vi copiò il rovescio d’un medaglione di M. Aurelio e vi copiò pure le leggende quali stavano sui due medaglioni, senza punto preoccuparsi se concordavano o meno. Le due impronte che qui si offrono (i cui originali stanno in un medagliere altrettanto insigne quanto finora sconosciuto.... ma che ho qualche speranza di far conoscere un giorno)



rappresentano il diritto di un medaglione d’Aurelio e Vero (Coh. N. 1) e il rovescio d’uno di M. Aurelio (Coh. N. 392). Chi non vi riconosce a prima vista i modelli che servirono all’autore del bronzo incriminato? Nel dritto il nostro autore s’è preso qualche piccolo arbitrio, aggiungendo una l avanti a vervs e ornando i busti col paludamento — a meno che possedesse una variante di questo medaglione a noi sconosciuta, il che è possibilissimo. — Ma nel rovescio, riproduce tutto — arte a parte — colla più scrupolosa fedeltà, e la forma del carro terminato da una testa d’aquila, e la Vittoria che si volge all’indietro, e la posa dei cavalli e le loro movenze, e perfino quella bizzarria che ebbe l’artista originario di rappresentare tre dei cavalli in movimento, e uno, l’ultimo, in riposo! Si noti che tale strana bizzarria è ripetuta anche nell’altra variante dello stesso medaglione di Marc’Aurelio colla Vittoria Germanica (Coh. N. 893), di cui esiste pure un esemplare, nella splendida serie dei medaglioni romani appartenente all'insigne medagliere, cui si fece allusione più sopra.

A chi non trovasse accettabile la supposta destinazione originaria del bronzo come centro di vaso o patera, ne accennerò anche un’altra, che mi viene suggerita dal Ch.° Prof. Milani, la quale ha anche l’appoggio di esempi simili, ed è quella di emblema o centro di un clipeo votivo od onorario. Il clipeo d’argento di Artaburio nel Museo di Firenze può fornire un esempio, come pure ne possono fornire i clipei a ritratto (imagines clipeatae) nei sarcofagi romani tanto comuni appunto nei secoli II e III dell’era volgare, riprodotti poi anche dai nostri artefici del secolo XVI, esempio il Cellini.

Ma, qualunque sia stata l’originaria destinazione che abbia avuto il bronzo discusso, quello che mi par fuori di contestazione è che esso debba esser tolto definitivamente alla Numismatica per essere consegnato all’Archeologia; il che certamente, se ne cambia la natura, non ne scema il pregio.



  1. Annali dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica. Vol. X. Roma, 1838. Sopra due Medaglioni rappresentanti Marc’Aurelio e Lucio Vero dell’I. R. Gabinetto di Milano e Settimio Severo della Numoteca Borghesi.
  2. Milano, Tip. Bernardoni 1872.
  3. «Le Médaillon est hybride. Les dates de la tête et du revers ne coincident pas.» Vol. VII, pag. 181.
  4. I due medaglioni più grandi conosciuti sono di Commodo. Uno, appartenente al Museo Britannico, è da Cohen descritto al suo N. 447, e l’altro appartiene alla mia Collezione e fu illustrato nel fasc. III di questi appunti. Vedi Riv. It. di Num., Anno I, fasc. III. — Il primo ha un diametro di 54 mill., il secondo di 53.
  5. Vedi Appunti di Numismatica Romana, N. XI.
  6. Vedi Appunti di Numismatica Romana, N. XII.
  7. Difatti l’imago scoperta a Niederbieber misura circa 19 centimetri di diametro, e per di più è lavorata a sbalzo.

Note

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